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giovedì 9 agosto 2018

Conquassabit capita in terra multorum ...


Per i cultori della liturgia tradizionale nonchè per gli avvezzi al canto del Vespero domenicale, segnaliamo un interessante intervento apparso su La Bussola Quotidiana (QUI), in merito alla "revisione" pacifista operata dal legislatore Novus Ordo, anche nella liturgia delle ore...
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Il bianchetto che tolse dai salmi l' "odio perfetto"
di Luisella Scrosati
da "La Bussola Quotidiana"
07-08-2018


Chi asserisce l’impossibilità di pregare “contro” qualcosa delinea una Chiesa sommersa da un'onda pacifista. Ma tutto questo ha una sua causa nel periodo conciliare quando si decise di togliere dal breviario i cosiddetti salmi imprecatori perché non adatti all'uomo moderno. Eppure, nascondere quei passaggi della Scrittura dove l'amore divino non accetta nessun compromesso con il male ha forgiato giorno dopo giorno una “spiritualità” che non capisce più il dramma del peccato. 



Le posizioni di vescovi, sacerdoti, giornalisti cattolici, risolutamente assertori dell’impossibilità di pregare e agire “contro” qualcosa (vedi qui) non possono essere liquidate con una scrollata di capo e tanta tristezza nel cuore. Bisogna cercare di capire come si sia potuti arrivare ad un mondo cattolico convinto che l’essere sempre più “nice” finirà col convincere il mondo della bontà e verità dell’annuncio cristiano. Alla fine l’onda pacifista del “mettete i fiori nei vostri cannoni” ha sommerso la Chiesa ed ha prodotto un inebetimento senza precedenti, figlio del delirio inconfessato di essere in procinto di partorire un cristianesimo migliore di quello che troviamo nelle Scritture e nella Tradizione, un cristianesimo più “buono” di quello insegnato e vissuto da Cristo stesso.

Mi sembra importante andare a vedere cos’era successo, non molto tempo fa, in ambito liturgico, perché sono convinta che siano state proprio alcune modifiche nella preghiera liturgica a viziare il modus orandi cattolico e a favorire, con il passare del tempo, questa mentalità.

Utilizzando per la preghiera i libri della Liturgia delle Ore, vi sarà capitato di osservare di fianco al numero di alcuni salmi una “strana indicazione” di versetti. Prendete, per esempio, i secondi vespri della Domenica, che contemplano sempre il salmo “Oracolo del Signore al mio Signore…”. L’indicazione del salmo è la seguente: 109, 1-5.7: significa cioè che il versetto 6 è stato omesso. Il primo salmo delle lodi mattutine del lunedì della prima settimana, riporta quest’altra indicazione: salmo 5, 2-10.12-13; anche in questo caso, è stato omesso un versetto, l’undicesimo. Gli esempi potrebbero continuare. E’ stato calcolato che nella Liturgia delle Ore manca circa il 5% del Salterio, inclusi tre salmi integralmente omessi (si tratta dei salmi 58 (57), 83 (82) e 109 (108), seguendo la doppia numerazione della Bibbia di Gerusalemme). Non proprio poco. Se si vanno a vedere i salmi e i versetti esclusi, si scopre che essi hanno una caratteristica comune: si tratta di salmi o versetti “imprecatori”, che cioè contengono espressioni d’ira, di vendetta o di odio. Nei due esempi sopra citati, troviamo che il salmo 110 (109), 6 afferma: “Giudicherà i popoli: in mezzo a cadaveri ne stritolerà la testa su vasta terra”; mentre nel salmo 5, 11 si legge: “Condannali, o Dio, soccombano alle loro trame, per tanti loro delitti disperdili, perché a te si sono ribellati”.

Come mai questa scelta di togliere testi che sono Parola di Dio quanto gli altri? Nei Principi e Norme per la Liturgia delle Ore, n. 131 si può leggere questa spiegazione: “L’omissione di questi testi è dovuta unicamente ad una certa qual difficoltà psicologica”. In pratica, si tratterebbe di un’impossibilità pratica a conciliare lo spirito di preghiera cristiano con questi versetti dal sapore vendicativo, ritenuto di impronta veterotestamentaria. Il numero 122 della rivista La vie spirituelle (1970) aveva raccolto una serie di interventi pro e contro la presenza di questi versetti nella preghiera liturgica: quello che emergeva era la difficoltà a pregare con espressioni imprecatorie, nelle quali si vedeva, tra l’altro, il pericolo di uno scandalo dei fedeli. Ma c’era anche chi metteva in guardia dal silenziare, nella preghiera liturgica, alcuni versetti per il solo fatto che potessero creare disagio in chi li pregava. Questa motivazione aveva in effetti il potenziale di aprire una voragine nella liturgia della Chiesa: se altri passi delle Scritture fossero causa di disagio psicologico, cosa si sarebbe dovuto fare?

Il problema era già stato sollevato nell’aula conciliare, durante le discussioni sullo schema De sacra liturgia. Tuttavia la quasi unanimità dei Padri si espresse per la conservazione dell’integralità del salterio, chiedendo però che i 150 salmi venissero ridistribuiti su più settimane, anziché su una soltanto, com’è ancora uso nel Breviario romano del 1962. Eppure la questione venne risollevata durante i lavori del Consilium, incaricato di rendere applicativa la costituzione sulla liturgia Scrosanctum Concilium. Il primo tentativo si verificò nel 1964, quando si cercò di oltrepassare le decisioni del Concilio con una distinzione a dir poco artificiosa: è vero che i Padri avevano respinto i suggerimenti di togliere i salmi e i versetti imprecatori, tuttavia non avevano specificato come conservarli. Sarebbe stato perciò legittimo toglierli dalla preghiera liturgica e mantenerli invece come letture. Ma anche questa fantasiosa “soluzione”, a dir poco capziosa, venne respinta. L’anno successivo si tornò alla carica, mettendo sul tavolo i disagi soggettivi che la preghiera di questi salmi avrebbe presentato. Si venne così a creare una spaccatura: da una parte gli esperti portavano avanti l’istanza di mantenere i 150 salmi integri nel ciclo della liturgia delle ore; dall’altra, una buona parte dei vescovi membri del Consilium optava per la soppressione degli elementi imprecatori.

Paolo VI intervenne per tre volte, declinando sempre di più verso quella che poi diventerà la sua decisione definitiva di omettere i salmi imprecatori. Le manovre di Bugnini furono decisive nell’orientare la decisione di Paolo VI. Infatti, nell’ottobre del 1967, durante il sinodo dei vescovi, venne chiesto ai convenuti, tra l’altro, se fossero favorevoli a che tutti i salmi venissero conservati integri nel salterio; 117 vescovi risposero affermativamente, 25 negativamente e 31 “iuxta modum”. Questi risultati vennero discussi durante un’adunanza del Consilium, che ne inviò al Papa gli atti. Il Segretariato (cioè Bugnini) decise di premettere a questi atti una propria nota esplicativa. Dopo aver comunicato che la maggioranza del Consilium si era espressa per la conservazione di tutti i salmi, Bugnini aggiungeva tuttavia una “nota di tendenza”, osservando che la corrente dei contrari era cresciuta negli anni. E spiegava: “Il disagio spirituale causato da espressioni di ira e di vendetta, ben situabile esegeticamente nell’evolversi della rivelazione, è particolarmente sentito dalle giovani generazioni e da quanti dicono l’ufficio nella lingua parlata. E il motivo è che il salmo è una formula di preghiera, e questa deve essere favorita dal testo. Certe espressioni di ira, odio, imprecazione hanno bisogno di una buona cultura biblica, per essere rettamente intese, e ciò nonostante, quando tornano sulle labbra, non facilitano l’unione e la lode di Dio”. Bugnini inanellava una serie di svarioni piuttosto grossolani, segno della sua mancanza di frequentazione della preghiera liturgica che la Tradizione della Chiesa aveva cercato di custodire e trasmettere; svarioni che però diventarono ben presto il mantra degli “abolizionisti”.

La ragnatela, tuttavia, era stata ben tessuta e Paolo VI ne restò impigliato: “Sembra doversi preferire – così si espresse in un autografo consegnato allo stesso Bugnini – la scelta dei salmi più adatta alla preghiera cristiana”, creando così una profonda discontinuità con la preghiera liturgica cristiana di tutti i secoli precedenti, da Oriente ad Occidente, che aveva custodito questi salmi e versetti. Poi, dall’obiettivo di “essere più adatta alla preghiera cristiana”, si passò all’essere più conforme alla sensibilità del tempo presente, com’è gioco forza che avvenga ogni volta che si crea una cesura significativa con la tradizione. La svolta pastorale della riforma finì così per tradursi, in non poche occasioni, come un adattamento alla sensibilità, alla capacità di comprensione, alle aspirazioni dell’uomo del nostro tempo, che improvvisamente divenne una categoria a se stante, separata dagli uomini di altri tempi: era il nuovo vitello d’oro attorno al quale le diverse riforme dovevano danzare.

In un sodo e profondo intervento nella rivista La Vie Spirituelle, sopra richiamata, un trappista di Bellefontaine, M.- Clément de Beurmont, faceva capire che la scelta di togliere i salmi imprecatori si basava su alcuni fraintendimenti piuttosto gravi, forieri di mali futuri. Anzitutto ricordava che cosa siano i salmi e come ci si debba porre in rapporto alla liturgia: “Io mi pongo di fronte ad essa [la parola del salmo] nello stesso rapporto che ho nei confronti del pane eucaristico: questo pane che assimilo, non sono io a trasformarlo in me, ma è lui che mi trasforma e mi conforma alla sua sostanza. Così è la parola del salmo ad impadronirsi di me, ben più di quanto io m’impossessi di lei e la adegui alla mia situazione presente”.

Poi M.- Clément respingeva l’idea che i versetti imprecatori presenti nei salmi dovessero essere rimossi per il pericolo di essere fraintesi: “Mi sembra incomprensibile che si separino su questo punto i salmi imprecatori dal resto della Scrittura. Perché tutta la Scrittura ha dato luogo a degli enormi fraintendimenti. Ed è in nome della Scrittura che Cristo fu condannato”. In effetti, tra i testi scritturistici utilizzati nella preghiera liturgica non sono pochi quelli che potrebbero essere travisati, o che potrebbero urtare il fedele. Che cosa si dovrebbe fare? Ometterli tutti? Nemmeno si può invocare il fatto che i versetti imprecatori abbiano un sapore veterotestamentario, perché anche il Nuovo Testamento ne è pervaso; basti pensare alla maledizione che Gesù scaglia contro il fico – e che lascia di sasso i discepoli -, figura di una ben altra maledizione che sarebbe caduta su Gerusalemme; oppure alla richiesta, presente nel libro dell’Apocalisse, dei santi posti sotto l’altare, affinché Dio vendichi il loro sangue. Infine M.- Clément metteva in risalto l’aspetto essenziale di queste espressioni di violenza presenti nella preghiera della Chiesa: “Eliminare dai salmi la violenza…, rifiutarci di entrare in questa violenza, significa negare alla Parola il diritto e la possibilità di raggiungerci là dove, in modo unico e paradossale, ella ci può mostrare e può farci vivere, insieme all’odio assoluto del male, l’infinita purezza dell’Amore”.

I salmi imprecatori, in altre parole, hanno sempre educato gli oranti all’ “odio perfetto”, secondo l’espressione latina del salmo 139 (138), 22 (perfecto odio oderam illos), anche questo caduto sotto i colpi dei “censori”; li hanno formati alle esigenze dell’amore divino, che non accetta nessun compromesso con il male, ma che anzi produce nell’anima un’avversione, un disgusto verso ciò che offende l’Amato. Ed è questa santa intolleranza, questo orrore per il male e le sue conseguenze che, in effetti, non si percepisce più nella Chiesa. Bisogna ritornare a far risuonare nelle Chiese questa intransigenza; è necessario che la preghiera della Chiesa torni a pronunciare queste parole ispirate da Dio stesso: “è solamente così che ella [la Parola] s’impadronisce di me, come ne ha diritto, e non solo della mia intelligenza mediante il contenuto nozionale che mi comunica, ma molto di più del mio ‘immaginario’…, ed anche della mia voce… e del mio corpo”.

La preghiera come lotta, la repulsione verso il peccato e il desiderio che sia distrutto, l’impossibilità di conciliare tra loro Cristo e Beliar, la fame e sete di giustizia e l’attesa sofferta del ritorno di Cristo, l’infinita purezza dell’amore di Dio, l’inimicizia radicale con il Maligno e la sua stirpe: tutto questo è pressoché sparito dalla preghiera pubblica della Chiesa, forgiando giorno dopo giorno una “spiritualità” che non capisce più il dramma del peccato, non lo combatte più in tutte le sue forme, non scaglia più contro il demonio e i suoi satelliti le parole del giudizio divino, ma che cerca nella preghiera e in Dio uno stato psicologico consolatorio.

E’ ora di prendere atto che la svolta pastorale è stata in realtà una metamorfosi e un tradimento della pastorale stessa: la Chiesa ha rinunciato ad accompagnare il suo gregge alle fonti purissime della fede, ha rinunciato ad educare il suo modo di pensare, di volere, di pregare, anche a costo di scontrarsi con i sedicenti potenti di questo mondo, e si è piegata alle infermità di noi poveri peccatori, lasciandoci però così come siamo, adeguandosi a noi.

Louis Bouyer lo aveva visto con estrema lucidità, in riferimento al nuovo movimento liturgico dei cui esordi egli fece parte, ma dal quale volle ben presto prendere le distanze: “Era già ben chiaro che la maggioranza dei sacerdoti che si interessavano al nuovo movimento liturgico non vi pervenivano affatto nella prospettiva di restituire alla liturgia tradizionale tutto il suo significato oscurato, tutta la sua realtà di vita, ma di sostituirla poco a poco con un’altra liturgia, o, come di diceva allora, una ‘paraliturgia’, più conforme ai gusti, alla mentalità di quello che queste brava gente chiamava “l’uomo di oggi”, ma che rappresentava soprattutto un homo clericalis, più o meno staccato dalle proprie sorgenti, ben prima che quella che avremmo chiamato ‘apertura al mondo’ sarebbe stata contrapposta alla conversione al Vangelo”.