Ancora su Amoris laetitia.
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Aldo Maria Valli, 10-3-18
Su Amoris laetitia si è ormai detto di tutto e il contrario di tutto, tanto che tornare a parlarne sembra stucchevole. Tuttavia è innegabile che lì, specialmente nel capitolo VIII, c’è un nodo irrisolto, la cui portata va ben oltre la questione della possibile ammissione alla comunione eucaristica dei divorziati risposati.
Merita quindi attenzione Amoris laetitia? I sacramenti ridotti a morale (La Fontana di Siloe, 192 pagine, 19,50 euro), libro nel quale Giulio Meiattini, monaco dell’abbazia benedettina Madonna della Scala (Noci) torna a interrogarsi sul documento papale e lo fa introducendo una questione che, anche per chi non è teologo ma semplice fedele, appare come quella veramente sostanziale.
Scrive dunque Meiattini: «Il vero nodo problematico, nel capitolo VIII di Amoris laetitia, è il seguente: il “metodo” morale del discernimento, basato sul rapporto fra norma e attenuanti soggettive, è del tutto insufficiente a corrispondere alle esigenze di un’etica fondata sul liturgico-sacramentale».
Ciò che l’autore sottolinea è che nel proporre una nuova disciplina circa i divorziati risposati Amoris laetitia punta tutto sulla morale, senza minimamente prendere in considerazione l’aspetto sacramentale del matrimonio, che in fin dei conti, da una prospettiva teologica cattolica, dovrebbe essere quello più importante e decisivo. «La morale del discernimento e del “caso per caso”, che l’esortazione pontificia propone, mostra una debolezza originaria: lo sradicamento della morale matrimoniale dal suo naturale terreno liturgico-sacramentale».
Proprio perché il capitolo VIII di Amoris laetitia è tutto pensato in modo morale, «senza tener conto della mediazione del sacramento», la prassi sacramentale (cioè se assolvere e ammettere alla comunione) viene affrontata in modo riduttivo e sostanzialmente sbagliato.
Meiattini scrive che «gli argomenti teologico-morali sviluppati nel capitolo VIII, pur toccando la vita matrimoniale, non tengono abbastanza conto della teologia del sacramento in questione, anzi la trascurano completamente». In Amoris laetitia si assiste «ad una riduzione morale della forma sacramentale o, se si preferisce, ad un oblio di fatto della teologia del sacramento, in luogo della quale si installa una teologia della coscienza etica», e questo è il vero punto debole del documento.
Di qui due domande irrinunciabili: «AL prende sul serio il principio che tutta la vita della Chiesa trova il suo culmine e la sua origine nell’azione liturgica, principalmente eucaristica? AL applica metodologicamente questa intuizione madre allo specifico della pastorale del matrimonio e dei coniugi, che è una questione di pastorale sacramentale?».
La risposta è purtroppo negativa, perché Amoris laetitia sembra semplicemente ignorare che il matrimonio cristiano è un sacramento della Chiesa e dunque può essere compreso, anche nelle sue inevitabili implicazioni morali e pastorali, solo alla luce della teologia liturgica e sacramentaria.
L’autore, con puntigliosità ma anche con il grande sforzo di rendersi il più possibile divulgativo, passa in rassegna i contenuti del documento e il modo in cui è stato presentato da autorevoli esponenti della Chiesa. Inoltre esamina con attenzione l’interpretazione dei vescovi argentini della circoscrizione di Buenos Aires, che il papa stesso ha definito l’autentica interpretazione del testo, tanto da inserirla negli Acta Apostolicae Sedis insieme alla sua lettera di apprezzamento e approvazione. Peccato che il documento dei vescovi argentini sia pieno di inesattezze e imprecisioni, così da introdurre nuove dosi di confusione. Ma il vero problema è che sia l’interpretazione dei vescovi sia la lettera del papa sono contraddittorie perché pretendono di stabilire punti fermi quando, puntando tutto sull’aspetto pastorale e discrezionale della questione, si pongono su un piano per sua natura opinabile. Infatti il «coscienzialismo» messo al centro dal capitolo VIII, ovvero il primato della coscienza attraverso il discernimento, «è privo di ogni aggancio all’oggettività sacramentale». In altre parole, se si mette al primo posto il discernimento, per cui non esiste norma generale vincolante ma ogni caso è a sé, non riconducibile a criteri oggettivi ed ecclesialmente verificabili, finisce che si sanziona il totale distacco tra coscienza e sacramento.
All’interno di questa riflessione Meiattini segnala poi il problema del male oggettivo, il quale, anche in mancanza di imputabilità soggettiva, resta comunque tale e nuoce sia spiritualmente sia moralmente, come Giovanni Paolo II dice chiaramente in Veritatis splendor. Stando così le cose, ci si domanda come ALpossa affermare il contrario, e cioè che in una situazione si peccato grave si può anche «crescere nella vita di grazia e di carità». Ora, «affermare che pur permanendo in un’unione che Gesù ha definito adulterina, o che contraddice la fedeltà coniugale, si possa vivere e addirittura “crescere” nella grazia di Dio, è un’affermazione quanto meno azzardata. Essa non è pertinente solo all’ambito pastorale e disciplinare, ma in primo luogo alla teologia della giustificazione e della grazia a tutti gli aspetti dottrinali ad essa congiunti. Dove la tradizione permette un simile insegnamento? A quali fonti si può appellare un simile insegnamento?». Senza contare che «restringere tutto a una questione di imputabilità soggettiva riporta a una concezione giuridica della grazia».
L’autore non esita a dire che ci troviamo di fronte a un «vizio di fondo» da cui Amoris laetitia non esce perché, così com’è concepita, non può uscirne. «Un incidente stradale causato da un non colpevole malore non fa cambiare le conseguenze nefaste dell’incidente stradale né la natura patologica del malore».
Meiattini ci perdonerà la semplificazione del suo pensiero, ma si può dire che in Amoris laetitia c’è l’etica, non il sacramento, c’è la coscienza, ma non la legge divina, c’è l’antropologia, ma non la teologia, c’è l’uomo, ma non Dio. Ma «una teologia morale del matrimonio non può procedere etsi sacramentun non daretur», ovvero come se il sacramento non ci fosse. E «questa è una carenza teologica grave».
«Che la colpevolezza e l’imputabilità in generale dipendano anche dalle attenuanti è innegabile, ma questo lo può sapere chiunque, anche senza bisogno della fede, perché si tratta di un criterio prudenziale generalmente condivisibile», ma se parliamo di fede non si può prescindere dal sacramento con tutto ciò che stabilisce e tutto ciò a cui vincola. Non è possibile attribuire alla logica umana del discernimento la responsabilità di dire l’ultima parola sul sacramento. In realtà è vero il contrario: è il sacramento che deve fornire il quadro entro il quale situare e valutare i criteri antropologici, psicologici e situazionali. In Amoris laetitia insomma c’è una preoccupante riduzione moralistica del sacramento. Una scelta forse non del tutto consapevole, ma non per questo meno grave. E come è possibile arrivare a sostenere (si veda qui anche la critica mossa dal professor Josef Seifert) che può essere Dio stesso a chiedere di vivere una relazione difforme da quella da Lui stabilita e comandata? Eppure Amoris laetitia lo dice, dimostrando fino a che punto si spinge nel mettere le pretese umane al posto della legge divina. Ma lungo questa via è l’intera morale cristiana a essere divelta.
Infine, che la dimensione liturgica e sacramentale del matrimonio in Amoris laetitia sia completamente trascurata è dimostrato dal fatto che nel documento la lettura della celebrazione del rito del matrimonio è minimalista. C’è qualche accenno di natura devozionale, ma nient’altro. «Un approccio davvero striminzito!», perché «ancora una volta l’immediatezza morale, l’antropologico, prende il sopravvento sulla lex credendi et vivendi inclusa nella lex orandi».
Un libro, quello di Giulio Meiattini, tutto da leggere, così come la sua critica, proposta in appendice e già apparsa nel blog Settimo cielo di Sandro Magister, dei famosi quattro principi («il tempo è superiore allo spazio», «l’unità prevale sul conflitto», «la realtà è più importante dell’idea», «il tutto è superiore alla parte») che Francesco mette al centro di Evangelii gaudium ma che, a un’attenta analisi filosofica, risultano inconsistenti e privi di fondamento, così da costringere l’autore a rilevare che «dai pronunziamenti magisteriali sarebbe da attendersi un linguaggio più sorvegliato e una maggiore lucidità di pensiero».
In Evangelii gaudium il papa sostiene che è più importante «avviare processi che occupare spazi». Ora, qualunque cosa si voglia intendere con questa affermazione, si può dire che Amoris laetitia di processi ne ha avviati molti, forse fin troppi, sotto forma di dispute, polemiche, polarizzazioni, interpretazioni spesso opposte. Ma, alla fine, per arrivare a che cosa? «Che si tratti di processi virtuosi – osserva Meiattini – questo finora nessuno può dimostrarlo. Personalmente ritengo che non fossero questi i processi che oggi maggiormente serviva attivare per il bene della famiglia». Purtroppo il vero, urgente processo che la Chiesa avrebbe bisogno di avviare, e cioè «generare alla fede e alla vita cristiana degli autentici credenti attraverso il battesimo e l’iniziazione cristiana» sembra interessi a ben pochi.
Aldo Maria Valli