Anche se con qualche mese di ritardo, proponiamo un approfondito saggio di Oscar Sanguinetti per non dimenticare i pericoli della setta socialcomunista. Anche se offerti al Papa con l'effige di Gesù Cristo. A ottantanni dalla Divini Redemptoris (19.03.1937)
L
(Articolo tratto
da Cultura&Identità.
Rivista di studi conservatori, anno IX, n. 15, Roma 25 marzo 2017, pp. 37-41)
Rivista di studi conservatori, anno IX, n. 15, Roma 25 marzo 2017, pp. 37-41)
Oscar Sanguinetti
Sono passati ottant’anni da quando Papa
Pio XI (1922-1939) pubblicava una lettera enciclica indirizzata a tutta la
Chiesa, gerarchie e fedeli, sul “comunismo ateo”, il cui incipit recitava
“Divini Redemptoris promissio”, “la promessa del Divino Redentore”, con
cui sarà consegnata alla storia. Il documento magisteriale conteneva una
descrizione dell’essenza, accompagnata da una condanna radicale e perpetua, del
comunismo, ossia, in specifico, dell’ideologia e del movimento
marxisti-leninisti, la cui dottrina, in radice ma anche in esplicito in quegli
anni, professava il materialismo ateo radicale, in forma aggressiva di ogni
realtà religiosa organizzata, di ogni forma di vita spirituale e anche
semplicemente di ogni atteggiamento teistico, cioè che conservasse l’idea di
Dio.
Non era la prima volta che Papa Ratti
si occupava di socialismo e di comunismo: egli era salito al Soglio di Pietro
nel 1922, pochi anni dopo la presa del potere in Russia e nell’ex impero
zarista da parte dei rivoluzionari “bolscevichi”, e aveva già avuto modo di
osservare le prime mosse della tragica campagna anti-religiosa e
collettivistica promossa nella neonata Unione Sovietica. Così pure, aveva
assistito, con ruolo di primo piano, alla grande persecuzione anti-clericale
che si era scatenata in Messico a partire dal 1911 in coincidenza con la
Rivoluzione messicana. Una persecuzione che, negli anni 1926-1929, aveva fatto
esplodere, per contraccolpo, la grande e sfortunata “rivolta dei cristeros”,
in cui i cattolici avevano combattuto con le armi in pugno contro l’offensiva
pressante di un governo laicista ogni giorno più condizionato dalle sinistre
estreme, abbacinate dall’esperienza staliniana del “socialismo in un solo
Paese”. Proprio nel marzo del 1937 il Papa tornava a rivolgersi ai cattolici
messicani, la cui libertà religiosa dopo la guerra civile non era affatto
migliorata, con l’enciclica Firmissimam constantiam.
Infine, negli anni della Divini
Redemptoris Pio XI vedeva, dall’indomani della proclamazione della seconda
repubblica in Spagna, la drammatica escalation di violenze sempre più
barbare e indiscriminate perpetrate da gruppi anarchici e marxisti contro il
clero e i militanti cattolici, una escalation che nel 1936 provocherà
l’ammutinamento di una parte dell’esercito repubblicano e lo scoppio di una
tragica guerra civile che si concluderà nel 1939 con il trionfo militare dello
schieramento anti-comunista e cattolico spagnolo, sotto l’egida del generale
Francisco Franco Bahamonde (1892-1975).
Davanti a questi esordi già drammatici
del comunismo, il cui avvento in Russia e la sua diffusione da lì in tutto il
mondo erano stati profetizzati nel corso delle apparizioni della Madonna a
Fatima nel 1917, il papa non poteva rimanere inerte.
La Chiesa conosceva infatti da tempo e
bene il pericolo insito nelle dottrine comuniste di ogni genere e sfumatura.
Già nel novembre del 1846 il bea-to Pio IX (1846-1878), nell’enciclica Qui
pluribus, aveva scritto contro «quella nefanda dottrina del cosiddetto
comunismo sommamente contraria allo stesso diritto naturale, la quale, una
volta ammessa, porterebbe al radicale sovvertimento dei diritti, delle cose,
delle proprietà di tutti, e della stessa società umana». Una condanna reiterata
più tardi nel 1864 all’interno del Sillabo, l’elenco degli errori della
modernità accluso all’enciclica Quanta cura. In generale, possiamo dire
che tutti i papi dell’Ottocento e i predecessori di Pio XI nel Novecento, in
documenti specifici e nel loro insegnamento sociale positivo, si erano
costantemente espressi in termini di condanna dell’ideologia socialista nelle
sue varie e successive versioni, da quella “utopistica” del primo Ottocento a
quella “scientifico”-evoluzionistica ideata da Karl Marx (1818-1883) e da
Friedrich Engels (1820-1895), “perfezionata” poi da Vladimir Il’ič Ul’janov
Lenin (1870-1924) e da Antonio Gramsci (1891-1937) nel secolo XX.
Papa Pio XI aveva accennato al
socialismo nella Quadragesimo anno del 1931, nel quarantesimo
anniversario della enciclica — sociale ma anche anti-socialista — del predecessore
Leone XIII (1878-1903) Rerum novarum cupidine, e in diversi altri
documenti. Lo stesso Leone XIII nella Diuturnum illud, nel 1881, dieci
anni prima della Rerum novarum, aveva non a caso definito «orrendi
mali e quasi sterminio della società civile» il comunismo, il socialismo e
il nichilismo, quelle tre «pesti» — ibidem — che nel 1937
rinascevano nel bolscevismo, nel “democratismo sociale” e nel nazionalsocialismo.
Nel 1926 — Lettera apostolica
“Paterna sane sollicitudo” —, nel 1928 e nel 1932 si era rivolto ai
cattolici messicani deprecandone l’incrudire della repressione dopo la
sconfitta armata del 1929, mentre con l’enciclica Dilectissima nobis del
1933 aveva denunciato al mondo le misure anti-religiose e anti-clericali che il
governo repubblicano spagnolo, dominato dalle correnti socialiste e comuniste,
aveva adottato e saranno il prologo della terribile “matanza” di
sacerdoti e di religiosi (circa diecimila) che si scatenerà in Spagna pochi
anni dopo.
Non va dimenticato che l’anti-comunismo
della Chiesa si iscriveva in quella più ampia categoria che era l’opposizione a
ogni totalitarismo a ogni invasione del corpo sociale da parte dello Stato.
Pochi mesi prima dell’enciclica sul comunismo Papa Ratti aveva condannato in
forma solenne, con l’enciclica Mit brennender Sorge (Con ardente
preoccupazione) l’altra realtà che in quel fatidico marzo del 1937
minacciava in Europa ciò che restava della cristianità e la stessa religione
cristiana: il nazionalsocialismo tedesco, dalle torbide origini culturali nella
filosofia superoministica di Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900),
nell’esoterismo occultistico, nel razzismo spirituale e biologico, nel
socialismo nazionale. Si sa anche che egli, nel 1938 aveva pensato di
pubblicare — anzi diede mandato della sua redazione ad alcuni padri gesuiti che
produssero una bozza che arrivò alle soglie della tipografia[1]
— un secondo e più “forte” documento, la Humani generis unitate, contro
il neo-paganesimo hitleriano, disegno che però rimase forzatamente inattuato
per la scomparsa del Pontefice avvenuta il 10 febbraio 1939.
Fra l’altro, in quell’anno 1937,
entrambe le ideologie socialiste, quella “nazionale” salita al potere con Adolf
Hitler (1889-1945) e quella internazionalista al potere in Russia da vent’anni,
erano nel loro momento culminante e, per di più, ciascuna, appoggiata da forze
locali e da regimi “fratelli” — i falangisti, “a destra”, e gli
anarco-socialisti “a sinistra” —, si stavano scontrando sanguinosamente sul
suolo della disgraziata nazione spagnola.
* * *
Riassumere quello che il Papa dice
nell’enciclica esorbita dai limiti di questo appunto. In sintesi, egli descrive
il comunismo come un ateismo militante dalle radici filosofiche nel
materialismo dialettico di Marx e in una visione della storia come processo
meccanico mosso dalle forze materiali — il proletariato mondiale —, la cui meta
fatale è la società senza classi e un mondo “liberato” da Dio.
Una dottrina e soprattutto un movimento
— di cui il liberalismo amorale ottocentesco è premessa e battistrada —
condannati in toto perché radicalmente in antitesi con la visione
cristiana e cattolica del mondo e della storia.
La negazione militante di Dio — il Dio
cristiano o qualunque altro Dio —; il materialismo radicale e totale, anche se non
di tipo volgare bensì sociologicamente ed economicamente raffinato; la
soppressione della proprietà privata, ergo la drastica compressione della libertà umana
concreta; la falsa promessa, quindi l’afflato quasi mistico, della giustizia in
terra; il relativismo morale, che si traduceva in attacco alla famiglia e al
matrimonio, viste come istituzioni puramente umane, da “superare”;
l’onnipotenza, ancorché asseritamente in forma transitoria, dello Stato: tutti
questi aspetti facevano del comunismo un nemico frontale al contempo della
ragione naturale, della fede e della Chiesa.
Nella Divini Redemptoris Papa
Pio XI non si limita a condannare un male, ma propone come antidoto a esso la
grandezza e la bellezza dell’architettura della società che si evince dalla
dottrina sociale della Chiesa: anzi, possiamo affermare che la Divini
Redemptoris è uno dei migliori documenti di magistero sociale della Chiesa.
In esso il Papa propone come rimedio al comunismo un profondo rinnovamento
della vita spirituale e morale delle società umane; indica ai cattolici la
missione di reagire attraverso la preghiera e la penitenza, la diffusione della
dottrina sociale, la devozione a san Giuseppe Operaio, la vigilanza, l’azione
dello Stato libero e soprattutto l’astinenza da ogni forma di collaborazione
dei cattolici con forze che s’ispirino in forma più o meno ortodossa al
comunismo e al socialismo.
* * *
L’enciclica, redatta in una prosa
accorata, sintetica e dottrinalmente ineccepibile, avrà una vasta eco nel mondo
cattolico e al di fuori di esso: appare negli anni fra le due guerre in cui in
Europa molti regimi — totalitari, autoritari e democratici — fanno professione
di anti-comunismo, per cui sarà giocoforza che la condanna sia “indossata”
anche da chi aveva più di uno “scheletro nell’armadio”. Alludo all’Italia
fascista, alla Spagna franchista, alla Germania nazionalsocialista, che avranno
però almeno il merito, grazie anche all’impulso del mondo cattolico, di
spendere il sangue di migliaia dei loro figli nelle due crociate
anti-comuniste: quella — fortunata, almeno pro tempore — combattuta in
Spagna fra il 1937 e il 1939, e poi, quella — sfortunata, perché ìmpari e
spuria — che ebbe come teatro il suolo dell’Unione Sovietica fra il 1941 e il
1944.
Soprattutto rimarrà inattuata tutta la
parte di profilassi spirituale e morale che Pio XI proponeva come baluardo
contro la diffusione mondiale del comunismo. Anche negli ambienti cattolici
l’appello al rinnovamento e a una più rigorosa attenzione alla dottrina sociale
avrà eco effimera. Se si assiste a una certa divulgazione dei motivi
dell’enciclica nella letteratura destinata all’apostolato laicale, alla fine
degli anni 1930 la cultura politica e sociale cattolica naviga già verso altri
approdi. L’oggettiva propensione della Chiesa verso i regimi anti-laicisti e la
spoliticizzazione dell’azione cattolica; il diffondersi di dottrine
neo-corporativistiche sempre più imbevute di statalismo; l’equivoca filosofia
politica di Jacques Maritain (1882-1973); il prevalere delle correnti
cattolico-democratiche — così Gramsci chiamerà i cattolici “ricuperabili” alla
Rivoluzione — faranno impallidire e gradualmente mettere in secondo piano il
dettato dottrinale sociale e smorzeranno l’ardore anti-comunista che il Papa
avrebbe chiesto che si ravvivasse dopo la sua enciclica. Nel secondo dopoguerra,
poi, mentre il comunismo conosce un’avanzata senza precedenti in Europa e nel
mondo e, grazie al presunto ruolo di primo piano svolto nella guerra di
liberazione, riesce ad assurgere a un ruolo di partito egemone nella politica
italiana e francese, non solo l’anti-comunismo e il modello di società
cristiana conosceranno una eclisse sempre più netta, ma il fascino della
prospettiva comunista aumenterà e sedurrà legioni di cattolici, nonostante la
scomunica del 1949, facilmente aggirata mettendo la sordina ai toni
anti-religiosi della propaganda. La politica sempre più aperturistica verso il
PCI portata avanti da settori importanti del partito democristiano e una
cattiva lettura del Concilio Vaticano II (1962-1965), faranno il resto. La Divini
Redemptoris finirà quindi in soffitta, anche se frange non irrilevanti del
mondo cattolico e anti-comunista, in Italia e in Francia, continueranno a
studiarla e a farsene una bandiera.
* * *
Possiamo chiederci a questo punto: ma
“quel” comunismo, aggressivo e totalitario che aveva davanti ai suoi occhi Pio
XI, esiste ancora oggi? Che senso ha riparlare della sua condanna? Quel comunismo
ateo e materialista che fu scomunicato dalla Congregazione del Santo Uffizio
nel 1949 non è cambiato? Osservando la
presenza di elettori, esponenti e deputati cattolici nelle file del partito
comunista in Italia, specialmente dopo la rimozione dallo statuto del partito
della pregiudiziale ateistica, sembrerebbe di sì. Idem dicasi dei
movimenti terroristici marxisti dell’America Latina — ma anche dell’Italia... —
degli anni 1970-1980, letteralmente affollati di cattolici, quando non anche di
sacerdoti e di religiosi.
Oggi formazioni politiche che
esplicitamente si rifacciano all’ideologia marxista-leninista nella sua
integralità esistono ancora — penso al maoismo nepalese o ai partiti
dell’estrema sinistra italiana —, ma hanno un ruolo del tutto marginale nello
scenario politico. I partiti comunisti emanazione della Terza Internazionale o
sono scomparsi, come in Francia, o, come da noi il Partito Comunista Italiano
(PCI), hanno attuato ripetute metamorfosi riciclandosi attraverso sempre nuove
ragioni sociali. La forza politica erede del PCI è oggi — almeno finché dura —
in realtà il frutto di una fusione fra il vecchio tronco bolscevico-gramsciano
e la sinistra cattolica, un tempo ubicata all’interno della Democrazia
Cristiana. Per cui oggi parlare di “comunismo ateo” “intrinsecamente perverso”
non ha forse più senso. Così pure parlare di comunismo nemico della proprietà
privata, ossia condannarne non solo l’ateismo ma anche la radicale
anti-naturalità delle proposte economiche e sociali, dopo aver assistito alla
gigantesca metamorfosi della Cina comunista, passata dal comunismo integrale —
e dalla povertà — delle “comuni” al “turbo-capitalismo di Stato — e a un
relativo benessere —, pare anch’esso privo di senso.
* * *
Ma questo è vero solo in una ottica
superficiale. Se è vero che nessuno oggi incendia conventi o fucila i preti o
fa esplicita propaganda ateistica o espropria i campi e confisca fino
all’ultimo sacco di grano “imboscato”, è altrettanto vero che il nuovo assetto
ideologico che le forze di sinistra post-comuniste hanno assunto giunge, per
altre vie a risultati analoghi, ugualmente penalizzanti e aggressivamente
perseguiti, a quelli paventati a suo tempo da Pio XI.
Dopo la “virata” post-1989 dal “relativismo
totalitario” al “relativismo democratico”, lucidamente analizzata da Giovanni
Cantoni nel 1996[2],
l’ateismo teorico e la sua aggressività sociale sono sostituiti dalla strategia
della lenta erosione delle “radici sociali della Chiesa” — rescinderle era il vero
obiettivo del comunismo di Lenin —: le chiese si svuotano perché è mutato, e
non del tutto spontaneamente, il senso comune della gente, che ha sostituito il
Dio uno e trino con un pluralità di religioni “fai da te” e con un pantheon
di figure mediatiche discutibili e di realtà filantropiche che godono di tutto
lo spazio che vogliono nella galassia delle comunicazioni globalizzate; si è
persuaso l’“intellettuale organico” del cattolicesimo, ossia il clero, a
modificare la sua auto-percezione e ad auto-censurarsi, quando non a
trasformarsi in agente implicito, e talora anche esplicito, di Rivoluzione; i
conventi divengono vieppiù ospizi per anziani e anziane, perché si è distrutto
il fascino della vocazione religiosa nelle chiese in declino del Vecchio
continente. Non si espropria più la ricchezza privata ma la si intacca e la si
riduce attraverso una leva fiscale usata in maniera sempre più spregiudicata e
arrogante o attraverso operazioni finanziarie internazionali in grado di
mettere in ginocchio in ventiquattr’ore una classe sociale o un intero Paese.
Non si cerca più di distruggere la famiglia strappando brutalmente i figli dal
suo seno per “educarli” nei falansteri statali o facendo lavorare
indiscriminatamente le donne nell’industria pesante: oggi lo si fa ope legis,
ridefinendo la nozione giuridica stessa di famiglia, attraverso il divorzio
sempre più facile, la promozione e il finanziamento dell’aborto, la dissuasione
— esplicita o frutto di meccanismi sociali mortificanti avviati tempo addietro
— dei giovani dallo sposarsi e soprattutto dal mettere al mondo figli,
l’ingerenza dei magistrati “illuminati”
nella vita familiare. Il materialismo, infine, permea oramai la vita della
maggioranza dei nostri concittadini, che ha perso ogni sensibilità per ogni
meta superiore, per una esistenza che va al di là di quella puramente terrena,
quando non puramente animale, sempre più dedita al consumismo, all’impiego del
tempo dedicato alle opere delle fede in passatempi puramente dilettevoli,
quando non malvagi o corruttori.
In parole povere, attingendo alle
categorie del pensiero contro-rivoluzionario, la terza fase della Rivoluzione,
quella a dominante economico-sociale e con obiettivo le macro-strutture, con
gli anni 1970 è passata alla quarta fase, micro-strutturale, quando non
individuale e interiore. Una fase che ha vissuto conflittualmente con la terza
all’incirca dal 1968 al 1989, ma che ora è rimasta la sola, almeno nei Paesi
liberi dell’Occidente, a occupare la scena.
Oggi la frantumazione dei legami
sociali, quando non la “coriandolizzazione” della società, si diffonde in forma
osmotica, ramificata, impalpabile, “ambientale”; le forze della Rivoluzione “cercano”
direttamente il singolo, anche se non disdegnano le macro-strutture. Facendo
l’esempio della droga, da un lato si rende sempre più “forte” e diversificato
il prodotto e se ne amplia capillarmente la distribuzione e il consumo,
dall’altro si allargano sempre più le maglie della repressione dello spaccio
attraverso leggi via via più permissive.
Questa neo-ideologia — le ideologie, le
“grandi narrazioni”, novecentesche saranno anche morte, ma mi pare più
verosimile che abbiano solo cambiato volto... — imbeve ogni centro di propagazione
della cultura sociale, dalle università ai mass-media. In Italia il
recente esempio della campagna per il matrimonio omosessuale è quanto mai
significativo: sia i grandi organi di stampa, nessuno escluso, sia i servizi
giornalistici radio-televisivi, nessuno escluso, hanno dispiegato una “potenza
di fuoco” impressionante, e lo stesso sta avvenendo per le adozioni gay,
per il gender e per l’eutanasia.
Di questi esiti, che indeboliscono
sempre più il tessuto sociale e la tempra della nazione, non voglio dire sia
responsabile solo il comunismo e ciò che ne resta: vi sono state e vi sono —
basti pensare alla galassia del liberalismo radicale, scaturito dal
precocemente dissolto Partito d’Azione degli anni della Resistenza e incarnata
dalla figura del defunto e laicamente, e non solo, “beatificato”, Giacinto
“Marco” Pannella (1930-2016) — altre “agenzie” di elevata virulenza, sotto
l’egida della libertà male intesa, piuttosto che sotto quella dell’uguaglianza,
del pari male intesa.
Ma è un fatto che in tutte le
“battaglie civili” contro la religiosità e il senso comune naturale, contro
l’evangelizzazione operata dalla Chiesa, contro il matrimonio e la famiglia
naturali e cristiani, contro la proprietà privata, contro la giusta tassazione
e la libertà d’impresa — dichiarate come intangibili ma sottoposte a vincoli
sempre più stretti —, le forze un tempo comuniste e in seguito, quanto meno
come pantheon valoriale e mentalità ancora gramsciane, le sinistre
post-marxiste sono state in prima fila, sono state il battistrada, il “motore”
di una “macchina” che ha generato una condizione sociale in cui molte dei
disvalori e delle mete condannati nella Divini Redemptoris sono divenute
una drammatica realtà.
* * *
Allora, in conclusione, non mi pare del
tutto privo di senso rileggere a ottant’anni di distanza l’enciclica pìana. E
ancora di più farlo in questo 2017, a un secolo esatto dall’esordio sulla scena
del mondo della tragica utopia comunista, ma anche a ormai a ventisei anni da
quando, il 25 dicembre 1991, Natale nel mondo cristiano latino, alle 18 e 35,
la bandiera rossa è stata ammainata dalla torre del Cremlino a Mosca.
Quel plesso di cattivi principi e di
disvalori che allora il Pontefice vedeva incarnati nelle forze che si
richiamavano esplicitamente alla Rivoluzione di Ottobre di vent’anni prima e
che condannava come “intrinsecamente perverse” esiste ancora oggi, ancorché
“incartato” in altre confezioni, magari più attraenti e ricche di sfumature. Il
“core”, il nocciolo, lo “zoccolo duro” dell’ideologia comunista, l’odio
per l’Essere, per l’essere umano e per la sua libertà concreta, davanti al
rifiuto che ne ha operato la storia, un rifiuto che ha avuto la sua data
emblematica nel 1989, si è apparentemente
sciolto, ma è riaffiorato in altre forme — coerentemente con la natura
metamorfica radicale del processo rivoluzionario e della filosofia
dialettico-materialistica —, appoggiandosi ad altri soggetti — non più, o non
solo, allo Stato totalitario — e, spingendo più sulla potenza dissolutrice del
relativismo filosofico e della corruzione morale individuale — libertinismo,
droga, pornografia, omosessualismo —, ha segnato successi magari meno “duri e
puri”, ma ciononostante drammaticamente reali, che suonano come altrettanti
scacchi per chi professa una concezione della vita ispirata dalla fede e dal
rispetto per il reale metafisico.
Tutto questo è avvenuto in un quadro di
libertà e doveri formalmente uguali per tutti. Ma è veramente così? Oggi ciò
non avviene più solo grazie al “nuovo diritto” liberal-individualistico, che
cadeva sotto l’accorata e profetica condanna di Leone XIII nella Immortale
Dei del 1885, che in realtà è un diritto “asimmetrico”, dove i soggetti
sociali più “forti”, dotati di maggiori mezzi, siano essi il denaro o la
capacità d’influenzare le opinioni — pensiamo a un George Soros — sono orwellianamente
“più uguali” dei quidam de populo. Oggi il relativismo filosofico e
morale è imposto dispoticamente e il regime democratico conosce deformazioni
sempre più chiaramente lesive della libertà sociale. Alla “dittatura del
proletariato” e allo Stato-società socialista e comunista si sono sostituiti
simbioticamente la “dittatura del relativismo” e una “democrazia dirigista” e
onnipotente, “debole” sulle cose fondamentali e implacabile non solo nel
coltivare normativamente un ugualitarismo che talora raggiunge i vertici del
ridicolo e dell’assurdo, ma anche nell’esigere sempre più onerose corvée dal
cittadino. Una democrazia via via più preda delle lobby finanziarie
globali e prona ai diktat di istituzioni sovranazionali anonime e non
elette, dove il relativismo condiziona e permea, ogni programma di sviluppo e
di governo.
Riprendiamo, dunque, il fondamentale
insegnamento del Magistero sul comunismo, vecchio ma sempre nuovo: in ultima
analisi i cattivi che Papa Pio XI chiamava cattivi ci sono ancora, anche se
“vestono Prada” o portano al polso il Rolex. A ottant’anni dalla Divini
Redemptoris, in tempi di “dittatura del relativismo”, c’è ancora, e più che
mai spazio, per un “anti-comunismo dottrinale” intelligente e aggiornato....
[1] Cfr. Georges Passelecq (1909-1999) e Bernard Suchecky, L’enciclica
nascosta di Pio XI: un’occasione mancata dalla Chiesa nei confronti
dell’antisemitismo, 1995, trad. it., introduzione di Èmile Poulat
(1920-2014) e di Garry Wills, Corbaccio, Milano 1997.
[2] Cfr. Giovanni Cantoni,
Metamorfosi del socialcomunismo: dal relativismo totalitario al relativismo
democratico, conferenza del 27 ottobre 1996, ora in Cristianità,
anno XXV, n. 261, Piacenza gennaio-febbraio 1997, pp. 15-21.
Certo, una frenata al comunismo questa Enciclica gliel'ha pur data. Tuttavia l'alchimia catto-comunista ha prodotto e continua produrre danni talmente macroscopici da sembrare normali. La massa ipnotizzata dei catto-comunisti la fa da padrona, illudendosi di poter conciliare il diavolo e l'acqua santa. Ma il diavolo è talmente scaltro da far credere ai catto-comunisti (ma anche ai catto-liberali e ai catto-democratici) che tutto sommato lui, il diavolo, con l'acqua santa ci può convivere. Capperi se ci può convivere!
RispondiEliminaQuello era il tempo in cui i papi, seguendo i loro predecessori millenari, sentivano il dovere di difendere la Chiesa dai nemici di Cristo. Poi è arrivata la proclamata dai novatori "rivoluzione copernicana" del CVII che, in nome del 'dialogo', ha abbandonato i fedeli alla mercé dei persecutori senza denuncia, l'ultima delle quali fu quella famosa di Pio XII in piazza S. Pietro, quando fu arrestato e torturato il primate d'Ungheria. Ora il pericolo è più forte e nascosto con l'alleanza massonico-marksista e l'assunzione all'interno della Chiesa stessa di quelle ideologie subdolamente mimetizzate dalla 'misericordia' bergogliana, così come i comunisti proclamavano che Cristo era socialista e solo loro osservavano il Vangelo.
RispondiEliminaOTTIMO Articolo
RispondiEliminaBisogna ricordare a tutti (ai cattolici perché non si perdano, a tutti gli altri uomini perché si ravvedano) che il comunismo é ateismo. E che il comunismo é stato SOLENNEMENTE dichiarato eretico da numerosi Pontefici (il beato Pio IX nel suo Sillabo contro le eresie, San Pio X, Pio XI come avete citato ed anche Pio XII). Chiunque anche solo appoggi il comunismo (sono famosi i volantini che portano ad esempio la CGIL ed altre sigle analoghe) é fuori dalla comunione con la Chiesa Cattolica (quella di Gesù Cristo, non quella modernista).
RispondiEliminaUn esempio
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/6/6a/Avvisodiscomunicaxd8.jpg
Ave Maria!
Roncalli che frequentava massoni e teologici modernisti messi al bando dalla Chiesa in Francia e Montini che trattava e simpatizzava coi comunisti....il Concilio, proprio un frutto della Chiesa!
RispondiElimina