A fronte di diverse richieste da parte dei lettori, riproponiamo un articolo del 2015 che uno stimato lettore, don M. G., ci inviò tempo fa. Lo ringraziamo per averci concesso gentilmente di pubblicare questo suo dotto studio canonistico sulle ordinazioni in rito antico secondo quanto disposto dall'Universae Ecclesiae.
Roberto
Sulla
domanda quanto la posizione restrittiva riguardo il conferimento
degli ordini nella forma classica del rito romano si possa inserire
senza rottura della logica giuridica di Summorum Pontificum
Il contenuto di questi nostri
riflessioni sarà un’analisi, se la posizione restrittiva della
Santa Sede quanto riguarda l’amministrazione degli sacri ordini
come fu l’usanza nel 1962, in confronto alle altre leggi riguardo
quella forma del rito romano, rappresentino una rottura oppure se
siano piuttosto una loro conseguenza, logica in se stessa.
Prima di tutto vale: Roma locuta,
causa finita. Senza dubbio è un buon diritto della Santa Sede di
promulgare una qualsiasi legge, logica o meno che sia. Perciò, in
questo articolo ci limitiamo di analizzare, se questa decisione fosse
stata chiara anche prima dell’istruzione Universae Ecclesiae,
oppure se si tratti di una legge che non entri bene nella logica
delle altre leggi che riguardono la forma straordinaria.
Innanzitutto dobbiamo essere
consapevoli del fatto, che il Moto Proprio Summorum Pontificum non è
il vero motivo della legittimazione (oppure, se vogliamo, della
liceità) dell’usanza tradizionale, ma che il Motu Proprio metteva
in luce la legittimazione già (o meglio: ancora) esistente. Non
aveva allora nuovamente rintrodotto una forma di un rito abilita, ma
ha sottolineato che questa forma è ancora, ininterrottamente, in
vigore che dal punto di vista legislativo non fu mai abrogata, e
quindi di principio sempre concesso e legittimo.
Se allora il Sommo Pontefice Benedetto XVI affermava che il Missale 1962 non fu mai vietato
e quindi rimase de iure sempre in uso e che fu sempre lecito farne uso, (anche se sappiamo che de facto si diceva spesso il contrario!) e che quindi non si trattava di una riammissione, ma di una conferma dell’ammissione sempre esistita, lo stesso vale anche per gli altri libri liturgici, che non furono “abrogati” in maniera diversa del Missale Romanum. Se no, come si potrebbe pensare che il missale fosse stato l’unico libro liturgico non abrogato, gli altri invece sì?
e quindi rimase de iure sempre in uso e che fu sempre lecito farne uso, (anche se sappiamo che de facto si diceva spesso il contrario!) e che quindi non si trattava di una riammissione, ma di una conferma dell’ammissione sempre esistita, lo stesso vale anche per gli altri libri liturgici, che non furono “abrogati” in maniera diversa del Missale Romanum. Se no, come si potrebbe pensare che il missale fosse stato l’unico libro liturgico non abrogato, gli altri invece sì?
È vero che Summorum Pontificum non
nomina il sacramento dell’ordine, mentre nomina tutti gli altri
Sacramenti in una maniera o nell’altra. Ma questo di per sé non fu
nessun motivo di presumere prima di Universae Ecclesiae, che Summorum
Pontificum non si riferisse anche al sacro Sacramento dell’ordine.
È vero che Summorum Pontificom pone
l’accento sul Sacramento dell’Eucaristia, ma questo non vuol dire
che esclude altri sacramenti o sacramentali – il fatto che questa
sottolineatura non esclude altri sacramenti si evidenzia ancora di
più in Universae Ecclesiae. Ponere l’accento su un sacramento,
cioè sull’Eucaristia permette di trovare le caratteristiche che
vanno applicate analogicamente anche ad altri sacramenti e
sacramentali, che sono trattati in maniera meno precisa per non
ripetere ciò che si diceva già. Perciò, Summorum Pontificum non
entra nei dettagli neanche quanto riguarda il Breviario, il
battesimo, la cresima ecc, perché presuppone che il profondo
trattamento di un Sacramento fosse sufficiente per capire come sono
da applicare le regole in casi analoghe. Non tutti i casi possibili
sono menzionati in Summorum Pontificum, ma fa capire palesemente, che
un vieto oppure un quasi - vieto degli altri Sacramenti e
Sacramentali fosse al contrario di ciò che era la mens
legislatoris, cioè la volontà del sommo legislatore e quindi il
Pontefice, che diceva che ora non può essere considerato vietato
oppure dannoso ciò che ieri fu ancora lecito e santo (cfr. la
lettera del Papa ai Vescovi allegata a Summorum Pontificum). Ogni
volta che Summorum Pontificum parla di un sacramento oppure un altro
tipo di liturgia, lo permette. Non c’era nessun indizio di cui si
poteva dedurre che proprio il sacramento dell’ordine fosse vietato
nel rito classico.
Va ricordato anche al fatto, che un
Motu Proprio è un testo legislativo la cui forma letteraria richiede
necessariamente una certa ristrettezza. Ma la prassi canonistica si
aspetta proprio conclusioni analogiche, deducendole dal testo
legislativo. Sono regole generali che vanno messe in pratica
regolarmente in ogni tipo di testo legislativo, e come sono, tra
l’altro, regolate dalla legge stessa (CIC e altro).
Considerando questo, vediamo
che sarebbe stato legittimo fino alla promulgazione di Universae
Ecclesiae conferire gli ordini nella forma antica del rito romano.
Ma mettiamo anche il caso, che prima
della promulgazione di Universae Ecclesiae ci fosse stato davvero un
dubbio legislativo e applichiamo le leggi interpretative a questo
presunto dubbio:
Nel can. 17 del CIC 1983 leggiamo, che
bisogna ricorrere ai luoghi paralleli in caso di dubbi oppure oscure,
e che si deve anche considerare l’obiettivo e le circostanze della
legge: “Le leggi ecclesiastiche sono da intendersi secondo il
significato proprio delle parole considerato nel testo e nel
contesto; che se rimanessero dubbie e oscure, si deve ricorrere ai
luoghi paralleli, se ce ne sono, al fine e alle circostanze della
legge e all'intendimento del legislatore” (can. 17 CIC 1983).
Dapprima sarebbero da considerare
allora le circostanze e la mens legislatoris: chiedendosi
quale sarebbe l’intenzione del Motu Proprio riguardo il
conferimento degli sacri ordini nella forma straordinaria quando ci
si tiene presenta la situazione generica, solo una risposta
affermativa si fa inserire senza rotture nell’insieme del testo
legislativo. Il Motu proprio non dimostra nessuna tendenza di
limitare la forma straordinaria, anzi, punta verso una generosissima
legittimazione della forma straordinaria in tutti i punti menzionati
in esso. Tutto ciò che il Motu Proprio richiama, viene permesso di
celebrare anche nella forma straordinaria secondo i libri del 1962,
siano i sacramenti, i sacramentali oppure il breviario.
Considerando poi le circostanze che
hanno reso necessaria l’intervento papale vediamo, che furono
proprio le oppressioni che l’uso dei libri che erano in vigore nel
1962 aveva subito e le quali portavano alla promulgazione di Summorum
Pontificum. L’obiettivo del Motu Proprio è stato di ridare una
nuova garanzia giuridica a un rito buono e legittimo in sé. Che
questo non dovesse valere anche per i sacri ordini non fu deducibile
da niente.
Inoltre, bisogna applicare anche il
can. 19 del CIC che cita: “Se una determinata materia manca una
espressa disposizione di legge sia universale sia particolare o una
consuetudine, la causa, se non è penale, è da dirimersi tenute
presenti le leggi date per casi simili, i principi generali del
diritto applicati con equità canonica, la giurisprudenza e la prassi
della Curia Romana, il modo di sentire comune e costante dei
giuristi.”
Senza dubbio manca in Summorum
Pontificum la materia che regolasse la legittimazione dell’ordine
secondo i libri che furono in uso nel 1962, e ovviamente non si
tratta neanche di una materia penale. Perciò vanno considerate le
“leggi date per casi simili”, e la prassi della Curia Romana.
Quanto riguarda le “leggi date per
casi simili”, questo si presenta nel nostro caso concreto sotto due
aspetti:
Da una parte dobbiamo chiedere: “quali
assomiglianze ci sono in altri sacramenti?”, dall’altra parte
bisogna porsi la domanda: “quali sono le assomiglianze in altri
casi non menzionati expressi verbis in Summorum pontificum?”.
E sarà proprio quest’ultima domanda a condurci alla giurisprudenza
e la prassi giuridica della Curia Romana.
Ma rimaniamo ancora un attimo alla
prima domanda. Riguardo gli altri sei sacramenti bisogna costatare,
che senza dubbio Summorum Pontificum ha ammessi tutti, ma non solo
essi ma anche le varie liturgie non-sacramentali (funerali, breviario
ecc.). Ciò leggiamo indubbiamente negli articoli 1ff. (Santa Messa),
art. 9 §2 (Santa Cresima), art 9 §1 (battesimo, penitenza, estrema
unzione, matrimonio). Per quell’ultimo, cioè il matrimonio,
bisognerebbe aggiungere anche art. 5 §3, nel quale è detto lo
stesso anche per i funerali.
E qui, nell’art. 5 §3 siamo arrivati
a un’altra assomiglianza, ma sempre appartenendo alla prima
domanda: il paragrafo 3 dell’articolo cinque parla di “occasioni
speciali”, i quali deve permettere il parroco ai fedeli che lo
richiedono. Sono elencati alcuni esempi di questi “occasioni
particolari”, cioè i funerali, il matrimonio e celebrazioni in
occasioni speciali, come per esempio pellegrinaggi. Esplicitamente
non si tratta di una elencazione completa delle possibilità a cui
pensa il legislatore – cosa che risulta evidente per esempio
tramite l’uso di “per esempio”. Il legislatore intende allora
anche i casuali (“occasioni speciali”, “celebrazioni in
occasioni particolari”)
e cita alcuni esempi, i quali evidenzia come tali.
Allora abbiamo a che fare con altre
“casi simili”, ai quali rimanda il codice come aiuto
d’interpretazione per casi non menzionati: anche l’ordinazione è
una tale “occasione particolare” e fa parte del “per esempio”.
Che in questo caso, però, la legge si riferisce al vescovo e non al
parroco, come detto in art. 5 §3 risulta dalla natura del caso
stesso, perché in quel caso l’amministratore del Sacramento non
può essere il parroco ma per forza il Vescovo. Perciò bisogna
applicare la legge analogicamente al vescovo, perché l’accento
dell’art. 5 §3 non è messo sul “parroco”, ma il legislatore
intende di regolare casi eccezionali e casuali e di far sì che anche
in questi casi si possano celebrare le liturgie relative secondo il
rito come fu usato nel 1962.
Quanto riguarda il secondo caso d
similitudine, cioè quello che si riferisce alla questione
dell’ordinamento in altri casi che non sono nominati
esplicitamente, possiamo attingere a un concreto caso risolto, e
addirittura coincide con un altro principio di ermeneutica
canonistica per i casi non trattati esplicitamente, ovvero quello
della concezione canonistica e della prassi canonistica come
istruttiva base d’interpretazione. Si tratta della questione, se
Summorum Pontificum valesse pure per il rito ambrosiano, il quale non
è nominato in maniera esplicita dal Motu proprio Summorum
Pontificum, che parla esclusivamente dal “Ritus Romanus”. Da
questo fatto qualcuno concludeva, che non riguardasse anche il rito
ambrosiano di Milano, e quindi Summorum Pontificum non potesse essere
applicato pure a quel rito. Però, una risposta, in seguito di un
dubium presentato in data 7. Gennaio 2009, al dicastero
interessato della Santa Sede dice espressamente, che il Motu Proprio
Summorum Pontificum sarebbe in vigore anche per il Rito ambrosiano,
pur non essendo nominato appositamente. Letteralmente lo scritto di
risposta della pontificia commissione Ecclesia Dei, datato 22. Maggio
2009, (Prot. Nr. 73/2009), dice: “Mentre è vero che il motu
proprio del Santo Padre non cita esplicitamente il rito ambrosiano
non esclude nemmeno gli altri riti latini; se la volontà del Sommo
Pontefice vale per il rito romano, considerato il superiore in
dignità, di conseguenza, tanto più per gli altri riti latini,
incluso il rito ambrosiano.”
Quindi è palese qual è la posizione
giuridica della Curia Romana: il fatto, che Summorum Pontificum non
fa esplicito riferimento a una certa cosa, non significa di per sé,
che il Motu Proprio non si riferisse anche su essa. Quindi,
un’eccezione dovrebbe essere citata appositamente come tale; Un
semplice non essere nominato non può essere interpretato in tal
maniera, che Summorum Pontificum non si riferisse anche al sacramento
dell’ordinazione.
All’ultimo è da considerare anche il
principio interpretativo del can. 21 del CIC 1983, che cita:
“Nel dubbio la revoca della legge
preesistente non si presume, ma le leggi posteriori devono essere
ricondotte alle precedenti e con queste conciliate, per quanto è
possibile.”
Anche da qui risulta, che ci vorrebbe
un divieto chiaro ed esplicitamente nominato, nel caso che il
sacramento dell’ordinazione fosse come unico dei sette sacramenti
eccettuato dalla validità del Motu Proprio Summorum Pontificum.
Conclusivamente possiamo allora
riassumere, che la posizione restrittiva nei confronti del
conferimento dei sacri ordini nella forma straordinaria del Rito
romano non si fa inserire né nel testo del Motu Proprio, né nei
criteri della ermeneutica canonistica senza rompere la loro logica
intrinseca.
Comunque, una instructio non
promulga mai una nuova legge, essendo la definizione autentica di una
legge già esistente prima, e quindi è sempre da considerare come
vincolante coma la legge stessa, perché non si può affermare nel
senso più stretto, che, nel caso delle ordinazioni, il regolamento
di Universae Ecclesiae sarebbe proprio una contraddizione alla legge
che interpreta. Ma nonostante ciò non si vede nessuna vera logica,
perché proprio il sacramento dell’ordinazione dovrebbe essere
eccettuato dalla liceità generale di tutti gli altri sacramenti,
sacramentali e preghiere di essere fatti nella forma straordinaria.
Almeno prima della promulgazione di
Universae Ecclesiae non si poteva presupporre, che Summorum
Pontificum non valesse anche per il sacramento dell’ordinazione.
Era proprio quel dubbio legislativo stesso che indicava la liceità
del conferimento della ordinazione nella forma straordinaria.
Pure la mens legislatoris
dimostra altrettanto palesemente, che l’intenzione del legislatore era di precisare, che l’usus come era in vigore nel 1962 è pure
oggi pienamente legittimo, senza nessuna restrizione.
Anche casi diversi ma comparabili, e
non per l’ultimo la concezione giuridica e la prassi della Curia
Romana dimostrano, a differenza dell’interpretazione di Universae
Ecclesiae, che il Motu Proprio Summorum Pontificum avesse avuto
illimitato vigore anche per il sacro sacramento dell’ordinazione:
perché non si dimostrava come un privilegio concesso, bensì si
tratta di un vere e proprio diritto.
I monsignori del Vaticano, in spasmodica attesa di promozione, non sanno più quale subdolo cavillo inventarsi per ostacolare la tradizione canonica e l'applicazione del SP del, da loro, odiato papa Benedetto gratificato di insulti proprio dall'interno del Vaticano, ad iniziare dal famigerato ex ministro delle cerimonie. La FSSPX non si faccia imbrogliare dalla sirena sudamericana perché rischia di fare la fine dei FI, cardinali, Istituto GPII. Ordine di Malta, etc. etc.
RispondiEliminaConcordo. Nessuna resa.
EliminaAll'interno del Vaticano? Qua qualsiasi pretonzolo si permetteva insulti e critiche feroci al Papa e il muro di opposizione fu invalicabile...... pur non essendo tradi, mi permetto di consigliare di non fidarsi affatto, vale per tutti i gruppi tradi, sento puzza di inganno.
RispondiEliminaPer quanto giuristi.. canonisti.. intellettuali vari possano con i loro scritti illuminare sul senso e la validita' delle disposizioni che vanno in favore della tradizione, non ci rimane che prendere atto ogni qual volta, di come tali leggi vengano ignorate e osteggiate da chi governa la chiesa: il bianco diventa nero.. ed il nero bianco pur di riuscire ad impedire le celebrazioni in forma antica!!
RispondiEliminaVisto l' andazzo attuale e' il totale disorientamento in cui mi ritrovo dall' elezione del Papa attuale che piu' d' una volta ho chiesto a Nostrosignore durante le mie preghiere, di farmi concludere la vita terrena prima di vedere il completo annientamento del cattolicesimo.
I signori che hanno introdotto il Novus Ordo Missae e hanno modificato i Sacramenti avevano, a mio giudizio, un unico obiettivo: abolire il Sacrificio sulla faccia della Terra e in generale rendere nulli tutti i Sacramenti.
RispondiEliminaLa Madonna de La Salette è stata del resto molto chiara affermando nel 1846: "La Chiesa sarà eclissata, il mondo sarà nella costernazione." Eclissata ma non cancellata! Infatti il Sacrificio, sempre a mio giudizio, viene ormai celebrato solo in pochi luoghi sulla Terra. Tolto Cristo, che è Luce e Verità, l'uomo non può che restare nelle tenebre, come in un'eclissi.
Solo così è possibile spiegare l'odio satanico di cui sono oggetto i Sacramenti amministrati secondo la Tradizione della Chiesa Cattolica.
Gli Ordini sacri conferiti col Vetus Ordo sono certamente validi. Quelli conferiti col Novus Ordo non si sa. Viene da pensare male, molto male, ma forse ci si azzecca. Il Nemico che pretende di cancellare l'Eucaristia dalla faccia della terra certamente sa il fatto suo.... e ci prova.
RispondiEliminaTEOFILATTO
La FSSPX non si deve fare imbrogliare sono d'accordo. Quando e se Roma riavrà un Papa sulle orme dottrinali di Pio XII allora ne potremo parlare.
RispondiElimina