Mala tempora currunt.
L
Aldo Maria Valli 10-3-17
«Guarda qui!».
Quando mia moglie Serena, detta Santa Subito, mi interpella così, significa che ha trovato pane per i miei denti.
Siamo seduti al vecchio tavolo della cucina, per la colazione del mattino. Che per noi due si traduce in una specie di rassegna stampa casareccia. Lei mi segnala un po’ di cose che ha letto e ha trovato interessanti, e io faccio lo stesso. Il rapporto in realtà non è proprio paritario, perché Santa Subito al posto degli occhi ha uno scanner e legge molti più articoli del sottoscritto. Comunque sia, questa mattina il suo «guarda qui!» ha un che di perentorio e nello stesso tempo di complice.
Guardo, ed effettivamente la pagina merita una lettura accurata.
Settimanale «L’Espresso» (n. 10, 5 marzo 2017), rubrica «Noi e Voi», dove una gentile giornalista risponde alle lettere che arrivano in redazione.
Sotto il titolo «Il papa che piace ai laici» (e qui c’è già un’imprecisione, perché laici sono tutti i non consacrati, anche cattolici, mentre qui si vuol far passare l’idea che laico equivalga a non credente o a non aderente alla dottrina della Chiesa) c’è la lettera di un signore, Matteo, che dice di voler ringraziare papa Francesco, «un grande papa che mi fa sentire compreso e accolto dalla Chiesa anche nelle mie debolezze».
Perché il signor Matteo si sente compreso e accolto? Perché, in quanto convivente da quasi cinque anni con una «compagna», è rimasto colpito molto favorevolmente dalle parole rivolte da Bergoglio ai parroci, quando ha chiesto loro di «farsi prossimi, con lo stile del Vangelo, nell’incontro e nell’accoglienza di quei giovani che preferiscono convivere senza sposarsi».
Convivenza riconosciuta?
Quando ho letto quelle parole, dice Matteo, «quasi non credevo ai miei occhi». Il papa, sottolinea, ha detto proprio «preferiscono», non ha fatto riferimento a «obblighi dettati da condizioni esterne o da motivi inconfessabili». Dunque, ne deduce Matteo, Francesco «ha riconosciuto come valida una scelta di vita che esclude, in piena consapevolezza, il sacramento del matrimonio».
Dice poi il lettore: «Io, come avrà capito, sono felicemente convivente e per ora non ho progetti matrimoniali. Con la mia compagna siamo insieme da quasi cinque anni, abbiamo un bambino di due e facciamo una vita pienamente familiare, con nonni, zii e molti amici, sposati e no. Come tanti nostri coetanei, siamo andati a vivere insieme per vedere se funzionava. Cinque anni dopo possiamo dire che sta funzionando».
«C’è da aggiungere – prosegue Matteo – che siamo entrambi cattolici, anche se non praticanti, e, se mai decidessimo, ci sposeremmo in chiesa».
Ed ecco l’ultimo passaggio: «Ma ha idea della fatica che comporta? Corsi obbligatori di preparazione, insegnamenti teologici, prove psicologiche che durano mesi, come se non ci si fidasse delle decisioni consapevoli di una coppia. Quindi noi restiamo felicemente conviventi, ora anche con l’approvazione del papa».
Bene. Mi sembra che la lettera di Matteo sia emblematica della situazione che si è venuta a creare nel rapporto tra il papa Francesco e tantissime persone.
È evidente che il signor Matteo, sebbene sostenga di essere cattolico, non crede nel matrimonio in quanto sacramento. Se ci credesse, non perderebbe tempo e correrebbe in chiesa a sposarsi. Anzi, se ci avesse creduto, l’avrebbe fatto già da un bel po’ di tempo. Però, con tutta evidenza, non ci crede. E siccome non crede nel sacramento, dimostra di non credere nemmeno nella Chiesa, che i sacramenti li amministra per mandato divino. È assai probabile che il signor Matteo creda in Dio, ma certamente è un Dio che, per farsi trovare, non ha bisogno della mediazione della Chiesa e dei suoi ministri. E la riprova si ha nel fatto che Matteo, che si dice non a caso non praticante, quando parla dei corsi in preparazione del matrimonio, pensati dalla Chiesa per aiutare i suoi figli ad accostarsi in modo più consapevole al sacramento, li dipinge (esagerando) come una specie di tortura e di inutile perdita di tempo. Dice così perché non ci crede.
E dall’altra parte chi abbiamo? Abbiamo un papa, Francesco, che con un verbo, «preferiscono», lascerebbe intendere non solo di capire, ma di giustificare e di avvallare la scelta di convivere. Ma è proprio così?
Le parole vere
Sono andato nel sito del Vaticano e mi sono riletto le parole esatte pronunciate dal papa nel discorso (25 febbraio 2017) ai partecipanti al corso sul processo matrimoniale.
Ed ecco che cosa dice Francesco ai parroci (i corsivi sono nel testo originale): «Nessuno meglio di voi conosce ed è a contatto con la realtà del tessuto sociale nel territorio, sperimentandone la complessità variegata: unioni celebrate in Cristo, unioni di fatto, unioni civili, unioni fallite, famiglie e giovani felici e infelici. Di ogni persona e di ogni situazione voi siete chiamati ad essere compagni di viaggio per testimoniare e sostenere».
«Anzitutto – prosegue Francesco – sia vostra premura testimoniare la grazia del Sacramento del matrimonio e il bene primordiale della famiglia, cellula vitale della Chiesa e della società, mediante la proclamazione che il matrimonio tra un uomo e una donna è segno dell’unione sponsale tra Cristo e la Chiesa. Tale testimonianza la realizzate concretamente quando preparate i fidanzati al matrimonio, rendendoli consapevoli del significato profondo del passo che stanno per compiere, e quando accompagnate con sollecitudine le giovani coppie, aiutandole a vivere nelle luci e nelle ombre, nei momenti di gioia e in quelli di fatica, la forza divina e la bellezza del loro matrimonio».
«Ma io mi domando – dice il papa – quanti di questi giovani che vengono ai corsi prematrimoniali capiscano cosa significa “matrimonio”, il segno dell’unione di Cristo e della Chiesa. Sì, sì, dicono di sì, ma capiscono questo? Hanno fede in questo? Sono convinto che ci voglia un vero catecumenato per il Sacramento del matrimonio, e non fare la preparazione con due o tre riunioni e poi andare avanti».
E ancora: «Non mancate di ricordare sempre agli sposi cristiani che nel Sacramento del matrimonio Dio, per così dire, si rispecchia in essi, imprimendo la sua immagine e il carattere incancellabile del suo amore. Il matrimonio, infatti, è icona di Dio, creata per noi da Lui, che è comunione perfetta delle tre Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. L’amore di Dio Uno e Trino e l’amore tra Cristo e la Chiesa sua sposa siano il centro della catechesi e della evangelizzazione matrimoniale: attraverso incontri personali o comunitari, programmati o spontanei, non stancatevi di mostrare a tutti, specialmente agli sposi, questo “mistero grande” (cfr Ef 5,32)».
Come si vede bene, il papa non manca di sottolineare il valore e il significato del sacramento del matrimonio. Tuttavia avverte anche il bisogno di fare i conti con la realtà, e quindi aggiunge: «Mentre offrite questa testimonianza, sia vostra cura anche sostenere quanti si sono resi conto del fatto che la loro unione non è un vero matrimonio sacramentale e vogliono uscire da questa situazione. In questa delicata e necessaria opera fate in modo che i vostri fedeli vi riconoscano non tanto come esperti di atti burocratici o di norme giuridiche, ma come fratelli che si pongono in un atteggiamento di ascolto e di comprensione. Al tempo stesso, fatevi prossimi, con lo stile proprio del Vangelo, nell’incontro e nell’accoglienza di quei giovani che preferiscono convivere senza sposarsi. Essi, sul piano spirituale e morale, sono tra i poveri e i piccoli, verso i quali la Chiesa, sulle orme del suo Maestro e Signore, vuole essere madre che non abbandona ma che si avvicina e si prende cura. Anche queste persone sono amate dal cuore di Cristo. Abbiate verso di loro uno sguardo di tenerezza e di compassione. Questa cura degli ultimi, proprio perché emana dal Vangelo, è parte essenziale della vostra opera di promozione e difesa del Sacramento del matrimonio. La parrocchia è infatti il luogo per antonomasia della salus animarum».
Chiedo scusa per le citazioni lunghe, ma qui sono necessarie. Si vede che l’attenzione del papa per i conviventi è inserita in un ragionamento ampio, il cui contenuto complessivo non equivale, come sostiene il signor Matteo, al «riconoscere come valida una scelta di vita che esclude, in piena consapevolezza, il sacramento del matrimonio». Semplicemente, Francesco raccomanda ai parroci di stare vicini sia a coloro che, avendo scelto in un primo tempo di convivere, ora avvertono il desiderio del matrimonio sacramentale, sia ai giovani che preferiscono la convivenza. Giovani che il papa definisce «poveri e piccoli» nel senso di bisognosi di una crescita nella fede.
Ma di tutto questo ragionamento del papa che cosa resta nella sintesi fatta dal signor Matteo? Resta solo la parte che gli fa comodo e che sembra mettere un sigillo papale alla sua scelta di non sposarsi in Chiesa.
Qualcuno dirà: Francesco poteva evitare di usare il verbo «preferiscono», perché con quel verbo sembra giustificare la scelta della convivenza. Se ne può discutere. Sta di fatto che il signor Matteo per portare l’acqua al suo mulino opera una forzatura: estrapola un passaggio del discorso di Francesco e lo isola da tutto il resto.
Purtroppo però questa operazione viene fatta di continuo nei confronti del papa.
Passi da gigante…
E ora veniamo alla risposta della giornalista. Che incomincia così: «Papa Francesco continua a fare passi da gigante verso la modernità. Anche chi non è credente sente la forza innovativa della sua visione aperta e inclusiva. Il papa che viene dalla fine del mondo, come disse lui steso il giorno dell’investitura, ha in questi quattro anni dato non poche scosse agli atteggiamenti più pigri e retrivi del clero. Soprattutto su quei temi che in precedenza erano stati motivo di dure battaglie pubbliche».
Poi, dopo aver citato il Family Day del 2007 come esempio di quelle battaglie «retrive», la giornalista continua: «Francesco ha cambiato verso senza forzature divisive, il più delle volte inserendo giudizi inaspettati all’interno di altri discorsi. Sul numero di figli ha detto per esempio che i buoni cattolici non devono comportarsi come conigli. Sui gay si è chiesto chi fosse lui per giudicarli. In seguito ha invitato a dare la comunione ai divorziati risposati, fino ad allora discriminati, e ha chiesto che il perdono alle donne che hanno abortito fosse dato da tutti i preti, e non più da pochi per delega del vescovo. Adesso ammette la validità delle unioni fuori dal matrimonio. Sono importanti tasselli di un dialogo tra un uomo di Chiesa che sa osservare il mondo che cambia e una società laica che non rinuncia alle proprie scelte, ma riconosce una guida come la sua».
La risposta della giornalista, proprio come la lettera del signor Matteo, è a sua volta emblematica. Dimostra infatti come alcune prese di posizione papali sui temi controversi della morale familiare siano lette dalla cultura laicista, che vi vede sempre e comunque ciò che ha deciso di vedervi, e cioè una legittimazione delle proprie scelte.
Ora, è vero che Francesco ha detto quel che ha detto sull’avere figli come i conigli, però lo ha fatto richiamando il caso di una madre all’ottava gravidanza dopo sette tagli cesarei, e sottolineando che in ogni caso il cattolico deve essere aperto alla vita. Quanto ai gay, è vero che si è chiesto chi è lui per giudicare, però in quella frase famosa, o famigerata, aggiungeva che parlava di una persona omosessuale comunque in cerca di Dio con buona volontà. Quanto alla comunione ai divorziati risposati e «discriminati», non ha genericamente invitato a concederla, ma vi ha scritto sopra una parte di un lungo e complesso documento, l’«Amoris laetitia», nel quale lascia intendere che la comunione ai divorziati risposati può essere una soluzione in certi casi e a determinate condizioni. Quanto alle donne che hanno abortito, non ha concesso un generico «perdono», ma ha stabilito che tutti i preti, e non più soltanto alcuni su concessione papale, possano assolvere il peccato di aborto, ma sempre nel sacramento della confessione. Quanto infine alle convivenze, come abbiamo visto, il papa non ne ha mai proclamato «la validità», ma ha chiesto ai parroci di occuparsi con sollecitudine pastorale delle persone che fanno quella scelta.
Il circolo vizioso
Insomma, bisognerebbe distinguere. Ma gran parte delle persone e dei mass media non lo fa. È un circolo vizioso, del quale il signor Matteo e la giornalista che gli ha risposto sono rappresentanti esemplari. Da un lato abbiamo un sedicente cattolico che vuole vedere nelle parole del papa solo ciò che gli permette di legittimare la propria scelta fondamentalmente opposta all’insegnamento cattolico, dall’altro una professionista dell’informazione che informa male, in modo incompleto e distorto, per presentare non ciò che il papa ha detto, ma ciò che si vuole che il papa abbia detto, per legittimare così la propria posizione ideologica.
La strumentalizzazione dell’uno alimenta quella dell’altra, e viceversa, e in questo modo entrano in circolo idee false e sconclusionate, come ho avuto modo di verificare ascoltando una signora, anche lei sedicente cattolica, secondo la quale il papa avrebbe detto che «bisogna convivere».
Ora mi chiedo: perché, quando si parla di fede, religione, papa e Chiesa cattolica, ognuno si sente libero di manipolare i dati di partenza?
Se io mi permettessi di manipolare i dati di partenza nell’affrontare un problema matematico (che so, mettendo una x al posto di una y, un due al posto di uno zero), certamente mi procurerei il biasimo di molti esperti di tale disciplina, che avrebbero tutti i motivi per darmi non solo dell’incompetente ma del falsificatore. Lo stesso succederebbe se modificassi i dati di partenza affrontando una teoria economica, così da vanificare l’intera teoria. E via dicendo. Invece, quando si tratta di papa, religione e Chiesa, la manipolazione dei dati di partenza è un fatto quotidiano, praticato alla luce del sole, come se la cosa non fosse per nulla scorretta.
Concorso di colpa
Alla fine, in ogni caso, credo sia necessario ammettere che, purtroppo, lo stesso Francesco dà un contributo all’opera di manipolazione.
È vero, i laicisti spesso non fanno altro che tirarlo per la tonaca e falsificarlo allo scopo di strumentalizzare ciò che va dicendo, tuttavia Bergoglio ci mette del suo.
Se, per esempio, in alcune sue dichiarazioni (tipo i «figli come conigli» o il «pugno» che deve aspettarsi chi critica la sua mamma) fosse più prudente; se in altre (tipo il rapporto con i luterani e la questione dell’intercomunione) fosse più chiaro e circostanziato; se non lasciasse passare l’idea (come in «Amoris laetitia») che la morale del caso per caso su base soggettiva può sostituirsi a quella regolata dalla norma generale di origine divina; se non facesse ripetutamente ricorso in modo generico alla categoria della misericordia senza chiamare in causa quella del giudizio e alla categoria del discernimento senza precisare a che cosa si deve agganciare e a che cosa deve portare; se spesso (vedi alcune interviste, ma anche la «Laudato si’») non tradisse il desiderio di piacere alla cultura laicista; se a volte non sminuisse l’osservanza della retta dottrina come se si trattasse del retaggio di una religiosità vecchia e superata; se evitasse di dipingere come falsi e farisei quei cattolici che invece la retta dottrina la vogliono rispettare, ecco che i manipolatori e i falsificatori dei suoi messaggi di certo non sparirebbero, ma almeno avrebbero vita più difficile. E invece sembrano quasi ricevere un incoraggiamento a comportarsi come si comportano.
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