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mercoledì 1 febbraio 2017

Una bussola nella babele di "Amoris laetitia"


Un "Vademecum" come questo proprio ci voleva, per indicare la strada nella babele delle opposte interpretazioni di "Amoris laetitia" e soprattutto del suo controverso capitolo ottavo, quello sulla comunione ai divorziati risposati:
Chiaro, argomentato, autorevole, questo "Vademecum" è stato pensato e scritto proprio in quell'istituto pontificio che Giovanni Paolo II ha voluto creare a sostegno della pastorale della famiglia, con sede centrale a Roma nella Pontificia Università Lateranense, con sedi periferiche in tutto il mondo e con primo suo animatore e preside Carlo Caffarra, poi arcivescovo di Bologna e cardinale.

Ne sono autori tre docenti di questo istituto: gli spagnoli José Granados e Juan-José Pérez-Soba, teologi, e il tedesco Stephan Kampowski, filosofo.
La versione italiana del libro, edita da Cantagalli, è uscita in questi giorni. E così la spagnola. Quella tedesca, pubblicata da Christiana-Verlag, sarà in libreria in febbraio. E presto uscirà anche l'inglese.
Così Livio Melina, preside fino a pochi mesi fa del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, ha presentato i contenuti di questo "Vademecum" sulla rivista "Tempi":
Qui sotto è riprodotta la parte centrale della sua presentazione, quella che va al cuore della controversia.
Interpretando e applicando "Amoris laetitia" come qui indicato, non avrebbero più ragion d'essere i "dubia" presentati a papa Francesco da quattro cardinali e finora rimasti senza risposta.
Un motivo in più per riflettere con serietà sugli argomenti di questo "Vademecum". Se tanti vescovi che finora sono rimasti in silenzio lo facessero proprio e lo offrissero come linee guida ai propri sacerdoti e fedeli, la controversia che dilacera la Chiesa muterebbe salutarmente di segno.
*

NEMMENO SANT'IGNAZIO QUI AMMETTEVA ECCEZIONI

di Livio Melina
L’integrazione in una comunione piena di quelle persone che vivono segnate da un amore smarrito (AL 291) non può in nessun modo essere confusa con una mera inclusione sociale. Se si confonde la dinamica ecclesiale, di cui parla "Amoris laetitia" che la intende come partecipazione al mistero di comunione, con una logica sociologica, allora si tenderà a concepire ogni ostacolo all’inclusione come un’ingiusta discriminazione che vìola diritti fondamentali e si cercherà la soluzione non nel richiamo e nell’aiuto alla conversione, ma nel cambiamento delle norme ingiuste.
L’integrazione dovrà mirare ad una rigenerazione delle persone, perché, come nel caso dei divorziati entrati in nuove unioni, si ristabilisca una condotta di vita in armonia col vincolo indissolubile del matrimonio validamente celebrato. Per questo non si dovrà mai parlare di «situazioni irreversibili».
Contro l’idea individualistica e spiritualistica di una “chiesa invisibile” in cui tutto è risolto nel foro insindacabile della coscienza privata, gli autori richiamano i criteri oggettivi di appartenenza al Corpo di Cristo: la confessione pubblica della stessa fede, la comunione visibile con la Chiesa, la condotta di vita in armonia con i sacramenti.
In tal senso ciò che nei divorziati entrati in una seconda unione si oppone alla piena integrazione, anche eucaristica, non è tanto il “fallimento” del matrimonio validamente celebrato, quanto la seconda unione stabilita in contraddizione col vincolo sacramentale indissolubile. […] Proprio per questo il proposito serio di uscire dalla situazione obiettivamente contraddittoria con il vincolo coniugale validamente contratto è condizione necessaria per la validità dell’assoluzione sacramentale.
Il foro sacramentale infatti non può essere la semplice legittimazione della coscienza individuale, magari erronea, ma aiuto alla conversione per una autentica integrazione al Corpo visibile della Chiesa, secondo le esigenze di coerenza tra proclamazione della fede e condotta di vita.
In tal senso vengono anche proposte delle spiegazioni delle note 336 e 351, rispettivamente dei nn. 300 e 305 di AL, che ne mostrano la continuità col magistero precedente della Chiesa, in particolare di "Familiaris consortio" 84 e di "Sacramentum Caritatis" 29. È questa la novità che il documento di papa Francesco porta alla pastorale ecclesiale: la misericordia non è semplice compassione emotiva, né può confondersi con una tolleranza complice del male, ma è offerta – sempre gratuitamente e generosamente proposta alla libertà – di una possibilità di ritorno a Dio, che ha la natura di un itinerario sacramentale ed ecclesiale.
Quanto al discernimento, esso non può avere come oggetto né lo stato di grazia delle persone, su cui la Chiesa sa di dover lasciare il giudizio solo a Dio (cfr. Concilio di Trento, DH 1534), né può vertere sulla possibilità di osservare i comandamenti di Dio, per i quali sempre è donata la grazia sufficiente a chi la chiede (Concilio di Trento, DH 1536). Il giudizio della Chiesa di non ammettere all’eucaristia i divorziati risposati civilmente o conviventi non equivale al giudizio che essi vivano in peccato mortale: è piuttosto un giudizio sul loro stato di vita, che è in contraddizione oggettiva con il mistero dell’unione fedele tra Cristo e la sua Chiesa.
Contro ogni individualismo e spiritualismo, la tradizione magisteriale della Chiesa ha proclamato la realtà pubblica e sacramentale del matrimonio e dell’eucaristia: per accedervi il non aver coscienza di peccati mortali è condizione soggettiva necessaria, ma non sufficiente.
Gli autori ricordano opportunamente come sant’Ignazio di Loyola, maestro del discernimento degli spiriti, affermasse che su due cose non poteva esserci discernimento: sulla possibilità di compiere atti cattivi, già condannati da comandamenti di Dio, o sulla fedeltà ad una scelta di vita già effettuata e suggellata da un sacramento o da una promessa pubblica. E il comandamento di «non commettere adulterio» non è mai stato considerato dalla Chiesa un consiglio, ma un precetto di Dio che non ammette eccezioni.
L’oggetto del discernimento può dunque riguardare tre fattori della vita.
In primo luogo il proprio desiderio rispetto all’eucaristia: desidero veramente la comunione con Cristo, da cui è inseparabile l’impegno di una vita conforme al suo insegnamento, o piuttosto desidero qualcos’altro? L’eucaristia infatti non è mai per nessuno un diritto ed essendo un sacramento della Chiesa non è una mera questione privata “tra me e Gesù”.
In secondo luogo, oggetto del discernimento è il vincolo matrimoniale, che dev’essere anch’esso oggetto di una dichiarazione giuridica pubblica, riguardando un atto sacramentale di unione tra due persone.
Infine e soprattutto il discernimento auspicato da "Amoris laetitia" deve riguardare i passi concreti per un cammino di ritorno ad una forma di vita conforme al Vangelo: la riconciliazione è possibile?
Difendendo il vincolo la Chiesa non solo è fedele alla parola di Gesù, ma anche è paladina dei più deboli e indifesi. La verifica può riguardare anche l’obbligo di lasciare l’unione non coniugale, cui ci si è impegnati, e se sussistano le «ragioni gravi» per eventualmente restarvi. Infine il discernimento può riguardare i modi per giungere a vivere l’astinenza e per riprendersi dopo eventuali cadute.
L’obiettivo del discernimento non è perciò quello di aggirare le leggi con eccezioni, ma di trovare i modi di un cammino di conversione realistico, con l’aiuto della grazia di Dio.

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