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giovedì 26 gennaio 2017

Quando il papa è infallibile, e perchè si può criticare

Righi

 Libertà e Persona, Antonio Righi, 16-1-2017
Ma come si permette il cardinale Raymond Burke, di rilasciare certe interviste a La verità, e di criticare una decisione del papa? Chi crede di essere?
Lui, che si atteggia a tradizionalista, non dovrebbe obbedienza all’autorità “infallibile” del pontefice? Simili dichiarazioni abbondano sulla rete, ad opera soprattutto dei cattolici progressisti e dei loro zelanti fiancheggiatori laici.
Chi sino a ieri derideva il dogma dell’infallibilità pontificia come un rottame del passato, oggi si nasconde dietro la dottrina, dietro la legge, dietro l’autorità, per impedire non ad uno, ma a molti cardinali, di porre delle semplici domande.  Domande, si badi bene, che hanno l’unico difetto di essere chiare, inequivocabili; di impedire a priori, a chi le riceve, per la loro stessa formulazione, una risposta ambigua, vaga, diciamolo pure, gesuitica.
Gesù, nel Vangelo, dedica al matrimonio poche, chiare parole, e invita chi lo ama, ad osservare i suoi comandamenti.  Amoris laetitia, al contrario, è un documento verboso, inconcludente, in cui le novità dottrinali, per le quali è stato concepito, sono messe pudicamente in tre note (che vanno lette e rilette  per capire cosa vogliano dire). Amoris laetitia è, ancora, un documento sinodale, non scritto dai padri sinodali ma da alcuni ghost writer scelti ab origine per le loro posizioni; redatto all’inizio, e non, come dovrebbe essere, alla fine del Sinodo; imposto da una minoranza interna alla Chiesa che ha voluto diventare maggioranza appoggiandosi ai media ostili alla dottrina cattolica sul matrimonio. Un po’ come l’alleanza tra Giuda, i farisei e Pilato, contro Gesù.

Bisogna dirsi la verità: è in atto una vera guerra, nella Chiesa, con due schieramenti sempre più definiti. I cardinali più vicini al magistero su vita e famiglia di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, da una parte; i vecchi contestatori alla Walter Kasper, dall’altra.
Nel campo giornalistico, lo schieramento è quello che ci si poteva aspettare: coloro che hanno sempre amato Benedetto, come Sandro Magister, Marco Tosatti, Antonio Socci, Giuseppe Rusconi, Lorenzo Bertocchi… a raccontare quanta poca dottrina, sinodalità, tolleranza, misericordia via sia nell’attuale gestione della Chiesa; il fronte progressista di Alberto Melloni, Luigi Accattoli, Marco Politi eccetera, a celebrare invece, con dosi massicce di incenso e appositi turiboli, “le magnifiche sorti e progressive” della nuova chiesa di Francesco. Con qualche sorpresa: l’ex destrorso Andrea Tornielli, un tempo contiguo agli ambienti più tradizionali della Chiesa, passato armi e bagagli ad esaltare ciò che ieri condannava o snobbava (lo vogliamo definire “governativo”?), e Aldo Maria Valli, vaticanista storicamente della sinistra ecclesiale moderata, oggi smarrito e leggermente adirato di fronte alla mutazione genetica in atto.
Ma, tornando a pesce al cardinal Burke e agli altri cardinali: possono, dei cattolici, criticare il papa?
La risposta, alla luce della teologia tradizionale, è scontata: certamente!
Anzitutto per un motivo semplicissimo: il loro ruolo, la loro carica. I cardinali non sono dei camerieri con eleganti calzette rosse, ma gli elettori e i più intimi collaboratori del papa. Se poi Francesco preferisce confrontarsi con Pannella, Bonino, Scalfari, Di Caprio e compagnia, diventa quasi obbligatorio, per i suddetti cardinali rimasti senza lo straccio di una risposta e di una udienza, rendere pubblici i loro dubbi; “resistere in faccia” a Pietro, come fece, provvidenzialmente, san Paolo nella Chiesa delle origini.
Si badi bene: i famosi “dubia” sono affidati al papa. Si chiede proprio a lui di rispondere. Nel 2017, a cinquecento anni dalla rivolta di Martin Lutero, dopo l’esaltazione del monaco ribelle proposta dallo stesso Francesco, Burke e gli altri cardinali non apostrofano il papa con gli appellativi luterani (“anticristo”, “impostore”, “servo del demonio” …); non delegittimano la sua autorità: gli chiedono di pronunciarsi, di parlare, finalmente, chiaramente. Forse convinti che il papa non abbia il coraggio di contraddire apertamente i suoi predecessori; oppure confidando nello Spirito Santo, che, secondo molti teologi, più che “scegliere” il papa, come spesso erroneamente si dice, impedisce che egli possa proclamare, solennemente, ex cathedra, un’eresia esplicita.
Il papa, questo è l’insegnamento tradizionale della Chiesa e della storia, può sbagliare sia nella vita personale, sia come teologo privato. Scriveva san Vincenzo da Lerino: “Dio alcuni papi li dona, altri li tollera, altri ancora li infligge”.
Proprio a seguito della proclamazione del dogma della infallibilità pontificia (1870), il beato cardinal John Henry Newman, nella Lettera al duca di Norfolk, volle chiarirne il significato, consapevole delle banalizzazioni e delle incomprensioni che ne sarebbero derivate: “Con tutto ciò sono lontano dall’affermare che i papi non abbiano mai torto; che non ci si debba mai opporre a loro, oppure che le loro scomuniche abbiano sempre effetto. Non sono tenuto a difendere la politica e gli atti di singoli Papi… Indubbiamente ci sono azioni di papi alle quali nessuno amerebbe aver avuto parte”. E aggiungeva che la Chiesa docente non è sempre stata, nella storia, “lo strumento più attivo dell’infallibilità: vedi il caso della crisi ariana”: “Fu forse Pietro infallibile, quando ad Antiochia Paolo gli si oppose a viso aperto? O fu infallibile san Vittore allorché separò dalla sua comunione le chiese dell’Asia, o Liberio quando, egualmente, scomunicò sant’Atanasio?…”.
Argomentando in questo modo, Newman ricordava di non dire nulla di nuovo, ma di essere nel solco del pensiero millenario della Chiesa.
La forza di Burke, Caffarra e degli altri cardinali, anche di quelli più timorosi e ondivaghi, come il cardinal Mueller, sta in questo: tutto ciò che fanno è per amore della Chiesa di Cristo.
Se cercassero successo, onori, vita tranquilla, starebbero al calduccio dall’altra parte.
La Verità, 14/1/2016