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giovedì 19 gennaio 2017

Delirio e Amoris laetizia


Ci scusiamo dei continui post su AL, ma ormai siamo al delirio della logica dove si dice che il fedele "illuminato" non ha però, pur essendo molto illuminato (speriamo non in qualche Loggia) non ha consapevolezza dell'adulterio. E poi ci dicono che i Dubia non servono. Quem Juppiter vult perdere dementat prius...
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Quella dei vescovi di Malta è solo l'ultima delle istruzioni che alcuni vescovi hanno dato alle rispettive diocesi, su come interpretare e mettere in pratica "Amoris laetitia".
Istruzioni spesso tra loro contraddittorie, per cui avviene che in una diocesi la comunione ai divorziati risposati che vivono "more uxorio" è ammessa, mentre in un'altra diocesi, magari confinante, no.
Ma c'è di più. Accade persino che in qualche diocesi siano ammessi ufficialmente sia il "sì" che il "no", tutti e due insieme.
È questo il caso, ad esempio, dell'arcidiocesi di Firenze.
Qui l'arcivescovo, il cardinale Giuseppe Betori, ha fatto partire un "percorso diocesano di formazione" per istruire i sacerdoti e fedeli sulla giusta lettura di "Amoris laetitia".
Nella prima tappa del percorso, lo scorso 8 ottobre, per una introduzione generale al documento di papa Francesco, Betori chiamò il cardinale Ennio Antonelli, suo predecessore come arcivescovo di Firenze e poi presidente dal 2008 al 2012 del pontificio consiglio per la
famiglia, un'autorità in materia.
Antonelli dettò istruzioni in perfetta continuità con il magistero dei precedenti papi, escludendo quindi la comunione ai divorziati risposati che vivono "more uxorio". E tenne fermo questo divieto nonostante pochi giorni prima, per la diocesi di Roma, il cardinale vicario Agostino Vallini avesse dato il via libera alla comunione, con l'approvazione di Francesco:
Dopo di che, una volta al mese, Betori ha chiamato e sta chiamando altri oratori, per illustrare l'uno dopo l'altro i vari capitoli di "Amoris laetitia".
Ma a chi affiderà, il 25 marzo, il compito di dettare le linee guida per l'interpretazione del capitolo ottavo, quello più controverso?
A monsignor Basilio Petrà, presidente dei teologi moralisti italiani, cioè a uno dei più accesi sostenitori del via libera alla comunione ai divorziati risposati.
In un ampio commento dell'esortazione sinodale pubblicato lo scorso aprile sulla rivista "Il Regno", Petrà ha addirittura escluso come "non necessario" l'affidarsi al sacerdote e al foro interno sacramentale, cioè alla confessione, per "discernere" se un divorziato risposato può fare la comunione.
Ha scritto:
"Il fedele illuminato potrebbe giungere alla decisione che nel suo caso non ci sia la necessità della confessione".
E ha spiegato:
"È [infatti] del tutto possibile che una persona non abbia l'adeguata consapevolezza morale e/o non abbia libertà di agire diversamente e che, pur facendo qualcosa oggettivamente considerato grave, non compia un peccato grave in senso morale e dunque non abbia il dovere di confessarsi per accedere all'eucaristia. 'Amoris laetitia' al n. 301 allude chiaramente a questa dottrina".
Come dire: libero ciascuno di fare da sé, "illuminato" o inconsapevole che sia.
Al 25 marzo mancano un paio di mesi. E da qui ad allora per il clero e i fedeli di Firenze dovrebbe continuare a valere  il "no" dettato e argomentato dal cardinale Antonelli.
Ma dopo il 25 marzo anche il "sì" avrà valore ufficiale. Nella stessa diocesi. E ci si stupisce se poi nascono dei "dubia" sulla chiarezza di "Amoris laetitia"?

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