E se a Malta due vescovi sembrano rinnegare Cristo, meno male che tre loro colleghi (mons. Schneider, Mons. Lenga e Mons. Peta) lo difendono!
Roberto
Apprendiamo da Corrispondenza Romana di ieri (18.1.2017) che:
Il 18 gennaio, giorno della antica
festa della Cattedra di san Pietro, Tomash Peta, Arcivescovo Metropolita
dell’arcidiocesi di Maria Santissima in Astana; Jan Pawel Lenga,
Arcivescovo-Vescovo emerito di Karaganda e Athanasius Schneider, Vescovo
ausiliare dell’arcidiocesi di Maria Santissima in Astana hanno rivolto
un Appello alla preghiera: perché Papa Francesco confermi la
prassi immutabile della Chiesa riguardo alla verità dell’indissolubilità
del matrimonio. Accogliendo quest’appello, ne riportiamo il testo integrale.
APPELLO
Appello alla preghiera: perché Papa Francesco confermi la
prassi immutabile della Chiesa riguardo alla verità dell’indissolubilità
del matrimonio
Dopo la pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia
in alcune chiese particolari sono state pubblicate norme applicative e
interpretazioni, secondo le quali i divorziati che hanno contratto un
matrimonio civilmente con un nuovo partner, nonostante il vincolo
sacramentale che continua a legarli ai loro legittimi coniugi, possono
essere ammessi ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia senza
adempiere il dovere Divinamente stabilito di interrompere la violazione
del loro vincolo matrimoniale sacramentale.
La convivenza more uxorio con una persona che non è il
legittimo coniuge, rappresenta allo stesso tempo un’offesa all’Alleanza
della salvezza, di cui il Matrimonio sacramentale è segno (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica,
2384), e un’offesa al carattere nuziale del mistero eucaristico stesso.
Papa Benedetto XVI ha rilevato una tale correlazione: “L’Eucaristia
corrobora in modo inesauribile l’unità e l’amore indissolubili di ogni
Matrimonio cristiano. In esso, in forza del sacramento, il vincolo
coniugale è intrinsecamente connesso all’unità eucaristica tra Cristo
sposo e la Chiesa sposa (cfr. Ef 5,31-32)” (Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis, 27).
Pastori della Chiesa che tollerano o persino autorizzano – sia pure
in casi singoli
o eccezionali – i divorziati cosiddetti “risposati” a
ricevere il sacramento dell’Eucaristia, senza che essi abbiano la “veste
nuziale”, prescritta da Dio stesso nella Sacra Scrittura (cfr. Mt 22, 11 e 1 Cor
11, 28-29) in vista di una degna partecipazione alla cena nuziale
eucaristica, collaborano in tal modo ad una continua offesa al vincolo
del sacramento del matrimonio, al vincolo nuziale tra Cristo e la Chiesa
e al vincolo nuziale tra Cristo e l’anima che riceve il Suo Corpo
eucaristico.
Diverse chiese particolari hanno emanato o raccomandato orientamenti pastorali con tale o simile formulazione: “Se
la scelta di vivere in continenza è difficile da praticare per la
stabilità della coppia, non si esclude la possibilità di accedere alla
Penitenza e all’Eucarestia. Ciò significa una qualche apertura, come nel
caso in cui vi è la certezza morale che il primo matrimonio era nullo,
ma non ci sono le prove per dimostrarlo in sede giudiziaria. Non può
essere altri che il confessore, ad un certo punto, nella sua coscienza,
dopo tanta riflessione e preghiera, a doversi assumere la responsabilità
davanti a Dio e al penitente e a chiedere che l’accesso ai sacramenti
avvenga in maniera riservata”.
I menzionati orientamenti pastorali contraddicono l’universale
tradizione della Chiesa cattolica, la quale per mezzo dell’ininterrotto
ministero Petrino dei Sommi Pontefici è stata sempre custodita
fedelmente e senza ombra di dubbio o di ambiguità sia nella dottrina sia
nella prassi per ciò che riguarda la verità dell’indissolubilità del
matrimonio.
Le summenzionate norme ed orientamenti pastorali contraddicono
inoltre nella prassi le seguenti verità e dottrine che la Chiesa
cattolica ha insegnato ininterrottamente ed in modo sicuro.
- L’osservanza dei Dieci Comandamenti di Dio, ed in particolare del
Sesto Comandamento, obbligano ogni persona umana senza eccezione sempre e
in qualsiasi situazione. In questa materia non si possono ammettere
casi o situazioni eccezionali né parlare di un “ideale più pieno”. San
Tommaso d’Aquino dice: “I precetti del decalogo racchiudono
l’intenzione stessa del legislatore, cioè di Dio. Quindi i precetti del
decalogo non ammettono alcuna dispensa” (Summa theol., 1-2, q. 100, a. 8c).
- Le esigenze morali e pratiche, derivanti dall’osservanza dei Dieci
Comandamenti di Dio e in particolare dell’indissolubilità del
matrimonio, non sono semplici norme o leggi positive della Chiesa, ma
l’espressione della santa volontà di Dio. Conseguentemente non si può
parlare a questo proposito del primato della persona sulla norma o sulla
legge, ma si deve invece parlare del primato della volontà di Dio sulla
volontà della persona umana peccatrice affinché questa sia salvata,
compiendo con l’aiuto della grazia la volontà di Dio.
- Credere nell’indissolubilità del matrimonio e contraddirla con i
propri atti, considerandosi addirittura allo stesso tempo esente dal
peccato grave e tranquillizzando la propria coscienza con la sola fede
nella misericordia Divina, rappresenta un auto-inganno, contro il quale
ammoniva già Tertulliano, un testimone della fede e della prassi della
Chiesa dei primi secoli: “Alcuni dicono che per Dio è sufficiente
che si accetti la Sua volontà col cuore e coll’anima, anche se i fatti
non siano corrispondenti: così pensano, di peccare, potendo mantenere
per altro integro il principio di fede e di timor di Dio: ciò è
perfettamente lo stesso che se uno pretendesse di mantenere un principio
di castità, violando e corrompendo la santità e l’integrità del vincolo
matrimoniale” (Tertulliano, De paenitentia 5, 10).
- L’osservanza dei Comandamenti di Dio, ed in particolare
dell’indissolubilità del matrimonio, non può essere presentata come un
ideale più pieno da raggiungere secondo il criterio del bene possibile o
fattibile. Si tratta qui invece di un obbligo da Dio stesso
inequivocabilmente comandato, la cui inosservanza comporta secondo la
Sua parola la condanna eterna. Dire ai fedeli il contrario
significherebbe ingannarli e spingerli a disobbedire alla volontà di
Dio, mettendo in tale modo in pericolo la loro salvezza eterna.
- Ad ogni uomo Dio dà l’aiuto per osservare i Suoi Comandamenti,
qualora egli Lo chieda rettamente, come la Chiesa lo ha infallibilmente
insegnato: “Dio non comanda ciò che è impossibile, ma nel comandare
ti esorta a fare quello che puoi, e a chiedere ciò che non puoi, e ti
aiuta perché tu possa” (Concilio di Trento, sess. 6, cap. 11) e “Se
qualcuno dice che anche per l’uomo giustificato e costituito in grazia i
comandamenti di Dio sono impossibili da osservare: sia anatema” (Concilio di Trento, sess. 6, can. 18). Seguendo questa dottrina infallibile san Giovanni Paolo II insegnava: “L’osservanza
della legge di Dio, in determinate situazioni, può essere difficile,
difficilissima: non è mai, però, impossibile. È questo un insegnamento
costante della tradizione della Chiesa” (Enciclica Veritatis splendor, 102) e “Tutti
i coniugi, secondo il disegno divino, sono chiamati alla santità nel
matrimonio e questa alta vocazione si realizza in quanto la persona
umana è in grado di rispondere al comando divino con animo sereno,
confidando nella grazia divina e nella propria volontà” (Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 34).
- L’atto sessuale al di fuori di un valido matrimonio, ed in
particolare l’adulterio, è oggettivamente sempre un peccato grave;
nessuna circostanza e nessun fine possono renderlo ammissibile e gradito
agli occhi di Dio. San Tommaso d’Aquino afferma che il Sesto
Comandamento è obbligante anche nel caso che con un atto d’adulterio si
potesse salvare un paese dalla tirannia (De Malo, q. 15, a. 1, ad 5). San Giovanni Paolo II insegnava questa verità perenne della Chiesa: “I
precetti morali negativi, cioè quelli che proibiscono alcuni atti o
comportamenti concreti come intrinsecamente cattivi, non ammettono
alcuna legittima eccezione; essi non lasciano alcuno spazio moralmente
accettabile per la «creatività» di una qualche determinazione contraria.
Una volta riconosciuta in concreto la specie morale di un’azione
proibita da una regola universale, il solo atto moralmente buono è
quello di obbedire alla legge morale e di astenersi dall’azione che essa
proibisce” (Enciclica Veritatis splendor, 67).
- Un’unione adultera di divorziati civilmente “risposati”,
“consolidata” come si dice nel tempo e caratterizzata da una cosiddetta
“provata fedeltà” nel peccato di adulterio, non può cambiare la qualità
morale del loro atto di violazione del vincolo sacramentale
matrimoniale, cioè del loro adulterio, il quale rimane sempre un atto
intrinsecamente cattivo. Una persona che ha la vera fede e il timore
filiale di Dio non può mai avere “comprensione” verso questi atti
intrinsecamente cattivi, quali sono gli atti sessuali al di fuori di un
matrimonio valido, poiché questi atti offendono Dio.
- L’ammissione dei divorziati “risposati” alla Santa Comunione
costituisce nella prassi una dispensa implicita dall’osservanza del
Sesto Comandamento. Nessuna autorità ecclesiastica ha il potere di
concedere una tale dispensa implicita nemmeno in un unico caso o in una
situazione eccezionale e complessa o allo scopo di raggiungere un fine
buono (come ad esempio l’educazione della prole comune nata in un’unione
adultera), invocando per la concessione di una tale dispensa il
principio della misericordia, della “via caritatis”, della cura materna
della Chiesa, affermando in questo caso di non voler porre tante
condizioni alla misericordia. San Tommaso d’Aquino diceva: “Per nessuna utilità qualcuno dovrebbe commettere adulterio (pro nulla enim utilitate debet aliquis adulterium committere)” (De Malo, q. 15, a. 1, ad 5).
- Una normativa che permette la violazione del Sesto Comandamento di
Dio e del vincolo matrimoniale sacramentale anche solo in un unico caso o
in casi eccezionali, presumibilmente al fine di evitare un cambiamento
generale della normativa canonica, comporta sempre, nonostante tutto,
una contraddizione con la verità e la volontà di Dio. Di conseguenza è
psicologicamente fuorviante e teologicamente erroneo parlare in questo
caso di una normativa restrittiva o di un male minore in contrasto con
una normativa di carattere generale.
- Essendo il matrimonio valido dei battezzati un sacramento della
Chiesa e, per sua natura, una realtà di carattere pubblico, un giudizio
soggettivo della coscienza sulla invalidità del proprio matrimonio che
contrasti con la sentenza definitiva del tribunale ecclesiastico, non
può comportare conseguenze per la disciplina sacramentale, poiché essa
ha sempre un carattere pubblico.
- La Chiesa, ed in concreto il ministro del sacramento della
penitenza, non ha la facoltà di giudicare sullo stato della coscienza
del fedele o sulla rettitudine dell’intenzione della coscienza, poiché “ecclesia de occultis non iudicat”
(Concilio di Trento, sess. 24, cap. 1). Il ministro del sacramento
della Penitenza non è conseguentemente il vicario o il rappresentante
dello Spirito Santo che può entrare con la Sua luce nelle pieghe delle
coscienze, giacché Dio ha riservato a sé solo l’accesso alla coscienza: “sacrarium in quo homo solus est cum Deo” (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes,
16). Il confessore non può arrogarsi la responsabilità davanti a Dio e
al penitente di dispensarlo implicitamente dall’osservanza del Sesto
Comandamento e dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale per mezzo
dell’ammissione alla Santa Comunione. La Chiesa non ha la facoltà di far
derivare conseguenze riguardanti la disciplina sacramentale in foro
esterno, a partire e sulla base di una presunta convinzione, in
coscienza, della invalidità del proprio matrimonio nel foro interno.
- Una prassi che permette alle persone civilmente divorziate,
cosiddette “risposate”, di ricevere i sacramenti della Penitenza e
dell’Eucaristia, nonostante la loro intenzione di continuare a violare
in futuro il Sesto Comandamento e il loro vincolo matrimoniale
sacramentale, sarebbe contraria alla verità Divina ed estranea al
perenne senso della Chiesa cattolica e alla provata consuetudine
ricevuta, fedelmente custodita dai tempi degli Apostoli e ultimamente
confermata in modo sicuro da san Giovanni Paolo II (cfr. Esortazione
Apostolica Familiaris consortio, 84) e da Papa Benedetto XVI (cfr. Esortazione Apostolica Sacramentum caritatis, 29).
- La prassi menzionata sarebbe per ogni uomo ragionevole una rottura
evidente con la prassi apostolica e perenne della Chiesa e non ne
rappresenterebbe uno sviluppo nella continuità. Contro una tale evidenza
non c’è argomento valido: contra factum non valet argumentum.
Una tale prassi pastorale sarebbe una contro-testimonianza
dell’indissolubilità del matrimonio e una sorta di collaborazione da
parte della Chiesa nella diffusione di quella “piaga del divorzio”, di
cui ha parlato il Concilio Vaticano II (cf. Gaudium et spes, 47).
- La Chiesa insegna per mezzo di quello che fa, e deve fare quello che
insegna. Sull’azione pastorale riguardo alle persone che vivono in
unioni irregolari san Giovanni Paolo II diceva: “L’azione pastorale
tenderà a far comprendere la necessità della coerenza tra la scelta di
vita e la fede che si professa, e cercherà di far quanto è possibile per
indurre tali persone a regolare la propria situazione alla luce dei
principi cristiani. Pur trattandole con grande carità, e interessandole
alla vita delle rispettive comunità, i pastori della Chiesa non potranno
purtroppo ammetterle ai sacramenti” (Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 82).
- Un autentico accompagnamento delle persone che si trovano in uno
stato oggettivo di peccato grave e un corrispondente cammino di
discernimento pastorale non possono fare a meno di annunciare con carità
a tali persone tutta la verità della volontà di Dio, perché esse si
pentano con tutto il cuore dell’atto peccaminoso di convivere more uxorio
con una persona che non è il proprio legittimo coniuge. Allo stesso
tempo, un autentico accompagnamento e discernimento pastorale deve
incoraggiare queste persone affinché, con l’aiuto della grazia di Dio,
cessino di commettere tali atti in futuro. Gli Apostoli e tutta la
Chiesa, durante duemila anni, hanno sempre annunciato agli uomini tutta
la verità di Dio in ciò che riguarda il Sesto Comandamento e
l’indissolubilità del matrimonio, seguendo l’ammonizione di san Paolo
Apostolo: “Non mi sono sottratto al compito di annunziarvi tutta la volontà di Dio” (At 20, 27).
- La prassi pastorale della Chiesa concernente il matrimonio e il
sacramento dell’Eucaristia ha tale importanza e tali conseguenze
decisive per la fede e per la vita dei fedeli, che la Chiesa, per
restare fedele alla Parola rivelata di Dio, deve evitare in questa
materia ogni ombra di dubbio e confusione. San Giovanni Paolo II ha
formulato questa perenne verità della Chiesa: “Intendo inculcare in
tutti il vivo senso di responsabilità, che deve guidarci nel trattare le
cose sacre, le quali non sono di nostra proprietà, come i sacramenti, o
hanno diritto a non essere lasciate nell’incertezza e nella confusione,
come le coscienze. Cose sacre – ripeto – sono le une e le altre – i
sacramenti e le coscienze –, ed esigono da parte nostra di essere
servite nella verità. Questa è la ragione della legge della Chiesa” (Esortazione Apostolica Reconciliatio et Paenitentia, 33).
Nonostante le ripetute dichiarazioni sull’immutabilità della dottrina
della Chiesa riguardo al divorzio, numerose chiese particolari ormai lo
accettano tramite la prassi sacramentale, e tale fenomeno sta
crescendo. Solo la voce del Supremo Pastore della Chiesa può
definitivamente impedire che in futuro la situazione della Chiesa dei
nostri giorni possa essere caratterizzata dalla seguente espressione: “Tutto il mondo gemette e si accorse con stupore di aver accettato il divorzio nella prassi” (ingemuit totus orbis, et divortium in praxi se accepisse miratus est), rievocando un analogo detto con quale san Girolamo aveva caratterizzato la crisi ariana.
Visto un tale pericolo reale e l’ampia diffusione all’interno della
vita della Chiesa della piaga del divorzio, che è implicitamente
legittimato dalle menzionate norme ed orientamenti applicativi
dell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia; visto che le
suddette norme ed orientamenti in alcune chiese particolari sono
divenuti nel nostro mondo globalizzato di dominio pubblico; vista
inoltre l’inefficacia di numerose suppliche fatte a Papa Francesco da
parte sia dei fedeli che dei Pastori della Chiesa, siamo costretti a fare questo urgente appello alla preghiera.
Come successori degli Apostoli ci spinge l’obbligo di alzare la voce
quando sono in pericolo le cose più sacre della Chiesa e la salvezza
eterna delle anime.
Le seguenti parole con le quali san Giovanni Paolo II ha descritto le
critiche ingiuste contro la fedeltà del Magistero della Chiesa, siano
per tutti i Pastori della Chiesa, in questi tempi difficili, una luce e
una spinta ad una azione sempre più unita: “Non di rado, infatti, il
Magistero della Chiesa viene rimproverato di essere ormai superato e
chiuso alle istanze dello spirito dei tempi moderni; di svolgere
un’azione nociva per l’umanità, anzi per la Chiesa stessa. Mantenendosi
ostinatamente sulle proprie posizioni – si dice –, la Chiesa finirà per perdere in popolarità e i credenti si allontaneranno sempre più da essa” (Lettera alle famiglie, Gratissimam sane, 12).
Tenendo conto che l’ammissione dei divorziati cosiddetti “risposati”
ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, senza che sia loro
richiesto il compimento dell’obbligo di vivere in continenza,
costituisce un pericolo per la fede e per la salvezza delle anime e
un’offesa alla santa volontà di Dio; tenendo inoltre conto che tale
pratica pastorale non può essere mai l’espressione della misericordia,
della “via caritatis” o del senso materno della Chiesa verso le anime
peccatrici, facciamo con profonda sollecitudine pastorale questo
urgente appello alla preghiera perché Papa Francesco revochi in modo
inequivoco i citati orientamenti pastorali già introdotti in alcune
chiese particolari. Un tale atto del Capo visibile della Chiesa
conforterebbe i Pastori e i fedeli secondo il mandato che Cristo, il
Supremo Pastore delle anime, ha dato all’apostolo Pietro e, tramite lui,
a tutti suoi successori: “Conferma i tuoi fratelli!” (Lc 22, 32).
Le seguenti parole di un santo Papa e di santa Caterina da Siena,
dottore della Chiesa, siano per tutti nella Chiesa dei nostri giorni
luce e conforto:
“L’errore cui non si resiste, viene approvato. La verità che non viene difesa, viene oppressa” (Papa san Felice III, + 492). “Santo
Padre, Dio vi ha eletto per colonna della Chiesa, acciocché siate
strumento per estirpare l’eresia, confondere le bugie, esaltare la
Verità, dissolvere le tenebre e manifestare la luce” (Santa Caterina da Siena, + 1380).
Quando Papa Onorio I (625 – 638) adottò una posizione ambigua di
fronte alla diffusione della nuova eresia del monotelismo, San Sofronio,
Patriarca di Gerusalemme, inviò un vescovo della Palestina a Roma
dicendo queste parole: “Va alla Sede Apostolica, dove sono le
fondamenta della santa dottrina, e non cessare di pregare finché la Sede
Apostolica non condanni la nuova eresia”. La condanna è stata poi attuata nel 649 ad opera del santo papa e martire Martino I.
Formuliamo questo appello alla preghiera nella
consapevolezza che se non lo facessimo, compiremmo un atto di omissione.
È Cristo, Verità e Pastore Supremo, che ci giudicherà quando apparirà. A
Lui chiediamo con umiltà e fiducia di remunerare tutti i pastori e
tutte le pecore con la corona immarcescibile della gloria (cfr. 1 Pt. 5, 4).
In spirito di fede e con affetto filiale e devoto eleviamo la nostra preghiera per Papa Francesco: “Oremus
pro Pontifice nostro Francisco: Dominus conservet eum, et vivificet
eum, et beatum faciat eum in terra, et non tradat eum in animam
inimicorum eius. Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam
Meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam”.
Come mezzo concreto raccomandiamo di pregare ogni giorno questa
antica preghiera della Chiesa o una parte del santo rosario con
l’intenzione che Papa Francesco revochi in modo inequivoco quelli
orientamenti pastorali che permettono ai cosiddetti divorziati
“risposati” di ricevere i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia,
senza che essi compiano l’obbligo di vivere in continenza.
18 gennaio 2017, antica festa della Cattedra di san Pietro a Roma
+ Tomash Peta, Arcivescovo Metropolita dell’arcidiocesi di Maria Santissima in Astana
+ Jan Pawel Lenga, Arcivescovo-Vescovo emerito di Karaganda
+ Athanasius Schneider, Vescovo
o eccezionali – i divorziati cosiddetti “risposati” a ricevere il sacramento dell’Eucaristia, senza che essi abbiano la “veste nuziale”, prescritta da Dio stesso nella Sacra Scrittura (cfr. Mt 22, 11 e 1 Cor 11, 28-29) in vista di una degna partecipazione alla cena nuziale eucaristica, collaborano in tal modo ad una continua offesa al vincolo del sacramento del matrimonio, al vincolo nuziale tra Cristo e la Chiesa e al vincolo nuziale tra Cristo e l’anima che riceve il Suo Corpo eucaristico.
Onore alla buona volontà e buona fede di questi vescovi ma il loro appello è del tutto inutile poiché Bergoglio, chiaramente determinato a distruggere la dottrina cattolica, ha sempre arrogantemente dimostrato di non ascoltare esortazioni ad osservarla e fare chiarezza, come comanda il ministro petrino comandato da Cristo che già prevedeva e aveva detto a Simone: " uomo di poca fede" e " mi rinnegherai".
RispondiEliminaPietro pianse amaramente. Speriamo che ciò accada anche al guerrigliero sudamericano.
EliminaIn questo specifico caso si tratta di un appello rivolto a tutti i fedeli - non al Papa - affinché preghino per scongiurare il tradimento della bimillenario prassi della Chiesa. Questa a me pare cosa ottima, per non dire l'unica veramente saggia stante il disastro che è sotto gli occhi di tutti.
RispondiEliminaHo un piccolo dubbio. Ma l'arcivescovo Athanasius Schneider quando sta ad Astana?
RispondiEliminaLo sento sempre in giro a lamentarsi e a fare sproloqui.....ma se stesse un pò di più ad Astana a fare il missionario non sarebbe più utile?
Ogni vescovo, ha il dovere di interessarsi della Chiesa universale e difendere la verità scritta nel Vangelo, irritando gli anticattolici.Infatti Bergoglio e compari per giustificare le proprie ideologie sovversive affermano che il Vangelo è tutta un'invenzione mitica. Martini lo diceva a proposito della Resurrezione! Costoro dovrebbero uscire dalla Chiesa ma non lo fanno perché vi sono entrati per distruggerla dall'interno.
EliminaVescovi pastori di... bufale
RispondiEliminaSì bufale argentine!!
EliminaUno come Schneider ad Astana è uno spreco.Uno come Bergoglio a Roma è un abominio.....
RispondiEliminaOgni vescovo ha il dovere di difendere davanti alla Chiesa universale la verità scritta nel Vangelo anche se irrita i suoi nemici. Bergoglio e compari per giustificare le proprie ideologie sovversive dicono che ciò che è scritto come parola di Dio sia un'invenzione. Martini sj lo diceva a proposito della Resurrezione! Costoro sono entrati nella Chiesa solo per distuggerla dall'interno.
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