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giovedì 3 novembre 2016

L’altare verso il popolo. Domande e risposte continuazione

Mosaico della Basilica di San Marco, Venezia:
Messa per l'invenzione delle reliquie di san Marco (XII-XIII sec.)
Proseguiamo con  alcuni articoli - tratti dagli amici di Romualdica - sull'orientamento liturgico: (VEDI QUI).
Per le puntate precedenti vedi QUI e QUI e QUI e QUI e QUI.
L
 
nona domanda

Qual era la posizione del sacerdote e dei fedeli nelle chiese con l’abside orientata, che costituivano, com’è noto, la gran parte degli antichi santuari?

Nelle basiliche a navate multiple e con l’abside orientata, i partecipanti alla messa si disponevano in piedi, anch’essi, per gran parte del tempo, lungo le navate laterali e in fondo alla navata centrale. In tal modo formavano una specie di semicerchio aperto verso Oriente, trovandosi perciò il celebrante nel punto di convergenza di questo semicerchio (al centro del cerchio virtuale).
Invece, nelle basiliche che avevano l’abside a Occidente, il sacerdote, i chierici e i cantori si venivano a trovare alla sommità di questo stesso semicerchio.
Quando, più tardi, i fedeli si misero a occupare l’intera navata centrale, disponendosi come una colonna militare, si venne a creare qualcosa di dinamico, che somigliava alla colonna del popolo di Dio in marcia nel deserto, in direzione della terra promessa: come se la posizione verso Est indicasse anche la meta della colonna: il Paradiso perduto che si cercava a Oriente (cfr. Gn 2, 8). Il celebrante e i suoi assistenti formavano la testa di questa colonna.
La disposizione iniziale, quella che consisteva in un semicerchio aperto, si presentava invece come composta secondo un principio statico: l’attesa del Signore che era asceso in cielo verso Oriente (cfr. Sal 67, 34; Zac 14, 4) e da lì sarebbe ritornato (cfr. Mt 24, 27; At 1, 11). Come quando si riceve una personalità eminente, e si arretra, a formare un semicerchio, per accogliere in mezzo l’ospite d’onore. San Giovanni Damasceno scrive: “Al momento della sua Ascensione, egli salì verso Oriente; è così che l’adorarono gli Apostoli, ed è così che ritornerà, allo stesso modo in cui lo videro salire in cielo, come ha detto il Signore stesso: ‘Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo’ (Mt 24, 27). Poiché lo attendiamo, lo adoriamo rivolti a Oriente. È una tradizione non scritta degli Apostoli” [1].
Sulla base di questa concezione, a partire circa dal secolo VI, in numerose chiese – come si vede nelle pitture dell’epoca a Bawit, in Egitto – si raffigurava l’Ascensione del Signore sotto la volta principale dell’abside: in alto il Cristo glorioso sorretto da due angeli, al di sotto Maria, che rappresentava la Chiesa, orante con le mani volte al cielo, con alla sua destra e alla sua sinistra gli Apostoli. Questa raffigurazione rappresentava sia la glorificazione di Gesù in cielo sia la sua seconda venuta, secondo le parole rivolte dai due angeli agli Apostoli al momento dell’Ascensione: “Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1, 11) [2].
Più tardi, nei dipinti delle absidi occidentali, il Cristo in trono nella mandorla fu tratto da queste antiche raffigurazioni e, come Majestas Domini circondata dai simboli dei quattro evangelisti, divenne il tipico dipinto delle absidi dell’arte romanica. Nell’Oriente bizantino il Signore che ascende in cielo venne dipinto sia sotto la volta principale dell’abside, come Pantocrator, sia sotto la cupola che sovrastava l’altare insieme al complesso dell’Ascensione. In quasi tutti i casi, però, la Madre di Dio non vi figurava più perché la sua immagine era riservata alla decorazione dell’abside.
Un brano dell’Apocalisse ha svolto un ruolo importante per la posizione centrale attribuita a Maria nell’abside: “Allora si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza [destinata a conservare l’eucaristia sull’altare] […] Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle” (Ap 11, 19; 12, 1).
Si noti qui la relazione fra Maria-Ecclesia e Arca dell’Alleanza, ma anche il fatto che il velo del tempio – cioè il santuario che esso copriva – non si apriva che in determinate circostanze. Il mistero, il tremendum, esige – ciò che oggi si dimentica troppo facilmente – di essere velato, da cui nasce il desiderio di vederlo svelarsi.
Scrive l’apostolo Paolo: “Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia” (1 Cor 13, 12). Guardare a Est non significa solo guardare al Signore trasfigurato in cielo e atteso alla fine dei tempi, ma esprime anche il desiderio della manifestazione ultima, della rivelazione della gloria futura.

decima domanda

Tuttavia, il fatto che nelle più antiche basiliche romane l’altare e l’abside si possano trovare praticamente in tutte le direzioni, è in contraddizione con la pretesa che alle origini si sia sempre pregato verso Est, e che di conseguenza le chiese fossero “orientate”. Come spiegarlo?

In questo caso si tratta di chiese edificate su materiali da costruzione risalenti all’Antichità, oppure di chiese che le condizioni locali non permettevano che venissero perfettamente orientate. Ciò non impediva che il sacerdote e i fedeli si volgessero insieme per la preghiera e il sacrificio verso Oriente, come voleva l’uso cristiano abituale.
Così, per esempio, la celebre chiesa romana di San Clemente, che è stata edificata su delle antiche fondazioni, ha l’ingresso a sud-est. Ecco perché il celebrante si dispone dietro l’altare. D’altronde, una celebrazione davanti l’altare non sarebbe assolutamente possibile, data la disposizione dei luoghi. Per guardare verso Oriente al momento del santo sacrificio, al sacerdote basta girare leggermente il corpo in quella direzione. Lo stesso si dica per i fedeli disposti nelle navate laterali (a San Clemente la navata centrale serve per la schola; in essa si trovano anche i due amboni per la lettura dell’epistola, del graduale e del Vangelo).
Nel suo libro Le rite et l’homme, Louis Bouyer scrive: “L’idea che la basilica romana sarebbe la forma ideale della chiesa cristiana, perché permetterebbe una celebrazione in cui il prete e i fedeli si disporrebbero faccia a faccia, è un completo controsenso. È l’ultima delle cose a cui gli antichi avrebbero pensato” (p. 241).
Comunque, come abbiamo già visto, il preciso orientamento delle chiese, come lo si riscontra a partire dal secolo IV-V, non avrebbe avuto senso se non fosse stato in stretta relazione con l’orientamento nella preghiera.
A sostegno dell’opinione secondo la quale l’altare propriamente detto – e la croce che lo sovrasta – sarebbe il punto di riferimento verso il quale si volgono i fedeli e che, idealmente, dovrebbero attorniare, si ama citare, come esempio, l’espressione del memento dei vivi del canone della messa: “et omnium circumstantium” (e di tutti i circostanti). Occorre precisare che, nel suo significato filologico, il termine circumstantes contenuto in questa espressione designa globalmente “le persone presenti” e non solo “quelli che si trovano in cerchio intorno a qualcosa”; tant’è che, dagli scritti dell’epoca, non si ha notizia di casi di fedeli che si sarebbero disposti in cerchio attorno all’altare durante la celebrazione della messa. D’altronde, non avrebbero potuto farlo, non fosse perché i laici, come ancora oggi in Oriente, non avevano il diritto di penetrare nel santuario.
Il rispetto si sviluppa quando è incoraggiato dai comportamenti esteriori e, se è il caso, dalle interdizioni destinate a evitare le profanazioni. Quando, per esempio, un sagrestano può poggiare sull’altare, senza il minimo scrupolo, una sedia o una scala per sistemare dietro l’altare, in alto, dei candelieri o dei fiori, la santità di questo altare ne resta rozzamente offesa. Cosa inimmaginabile in una chiesa d’Oriente!
Per contro, possiamo dire che l’espressione “et omnium circumstantium” può rimandare alla buona abitudine che dovrebbero avere i fedeli durante l’offerta del santo sacrificio: in piedi, pieni di rispetto (cfr. l’immagine di apertura). Ma, ai giorni nostri, queste “persone presenti” si trasformano facilmente in “persone sedute” (in modo confortevole) su delle sedie, ciò cui ha contribuito l’attuale presenza di queste ultime nelle chiese, che invitano a prendersi agio. Certo, cambiare il modo di vedere moderno, in quest’ambito, non è cosa facile; tuttavia non si dovrebbe mai dimenticare che la posa eretta è l’attitudine liturgica per eccellenza, che fra l’altro favorisce lo spirito comunitario.

[1] PG 94, 1136.
[2] Cfr. pure K. Gamber, Sancta sanctorum, pp. 31-34.

[Klaus Gamber, “L’autel face au peuple. Questions et réponses”, in Tournés vers le Seigneur!, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux 1993, pp. 19-55 (pp. 43-48) / 8 - continua]