«La verità genera odio; per questo alcuni, per non incorrere nell'odio degli ascoltatori, velano la bocca con il manto del silenzio. Se predicassero la verità, come verità stessa esige e la divina Scrittura apertamente impone, essi incorrerebbero nell'odio delle persone mondane, che finirebbero per estrometterli dai loro ambienti. Ma siccome camminano secondo la mentalità dei mondani, temono di scandalizzarli, mentre non si deve mai venir meno alla verità, neppure a costo di scandalo» (s. Antonio da Padova, Sermoni).
La Nuova Bussola Quotidiana
Luisella Scrosati 12-6-16
«Nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa»: è questa una delle affermazioni più note e radicali di Joseph Ratzinger e forse anche una delle meno comprese. In fondo, quanti di noi sorridono e scuotono la testa, a metà tra l’ironico ed il compassionevole, al pensiero che il cuore del problema della crisi vocazionale nella Chiesa, dell’apostasia di intere nazioni, della distruzione della famiglia e del crollo della vita morale e sociale in tutti i suoi risvolti, si trovi nel modo con cui si celebra la liturgia!
Eppure, scriveva ormai vent’anni fa il futuro Benedetto XVI, è proprio «nella liturgia [che] si tratta della nostra comprensione di Dio e del mondo, del nostro rapporto a Cristo, alla Chiesa e a noi stessi», perché la liturgia esprime e modella il mondo dell’uomo che vi partecipa, attraverso un insieme di codici, prevalentemente non verbali (sacerdoti un po’ troppo “loquaci” permettendo). La liturgia, nel suo aspetto di azione rituale, influisce giorno dopo giorno sull’uomo, pone un ordine nella sua vita, suscita e modula in lui reazioni emotive, fornisce cornici di significato e riferimenti simbolici: in una parola, plasma la sua vita. Come affermava l’antropologo Victor Witter Turner, grande studioso dei rituali religiosi, «se vogliamo indebolire o togliere vigore a una religione dobbiamo innanzitutto eliminare i suoi riti, i suoi processi generativi e rigenerativi. Perché la religione non è solo un sistema cognitivo, un insieme di dogmi: è esperienza significativa e significato ricavato dall’esperienza».
Detto in altro modo: se vuoi cambiare una società, cambia la sua religione e se vuoi cambiare la religione modifica i suoi riti.
E’ solo collocandoci a questo livello di profondità che possiamo comprendere l’importanza della recente intervista del Cardinal Robert Sarah al settimanale Famille Chrétienne.
«La liturgia è la porta della nostra unione con Dio. Se le celebrazioni eucaristiche si trasformano in autocelebrazioni umane, il pericolo è enorme, perché Dio sparisce. Bisogna cominciare a porre nuovamente Dio al centro della liturgia». La Chiesa infatti esiste per Dio, e quando nel culto questo aspetto viene oscurato o persino negato, allora l’esito è inevitabile: «la Chiesa diventa una società puramente umana, una semplice Ong, come ha detto papa Francesco. Se invece Dio è al cuore della liturgia, allora la Chiesa ritroverà il suo vigore e la sua linfa».
Il Prefetto della Congregazione per il Culto divino suggerisce la necessità di «una conversione interiore», di ritrovare «la sacralità e la bellezza della liturgia» ed anche «il silenzio: questa capacità di tacere per ascoltare Dio e la sua parola». E poi aggiunge con grande chiarezza un’indicazione molto concreta: «Convertirsi significa rivolgersi verso Dio. Sono profondamente convinto che il nostro corpo debba partecipare a questa conversione. Il modo migliore è certamente quello di celebrare – sacerdoti e fedeli – volti insieme verso la stessa direzione: verso il Signore che viene. Non si tratta, come talvolta si pensa, spalle ai fedeli o di fronte a loro. Il problema non è lì. Si tratta di volgersi insieme verso l’abside, che simboleggia l’Oriente dove troneggia la croce del Signore risorto. Grazie a questo modo di celebrare, sperimenteremo il primato di Dio e dell’adorazione, fin nel nostro corpo. Comprendiamo che la liturgia è primariamente la nostra partecipazione al sacrificio perfetto della croce. Ne ho fatto personalmente l’esperienza: celebrando così, al momento dell’elevazione, l’assemblea, con il sacerdote al suo vertice, viene come aspirata dal mistero della croce».
Molti sacerdoti e fedeli pensano erroneamente che tale orientazione sia stata “abolita” dalla riforma liturgica o addirittura dal Concilio Vaticano II stesso e che occorra una specie di “indulto” per celebrare versus orientem. Non si può nascondere che tale persuasione sia molto radicata; perciò il Cardinal Sarah, con grande autorevolezza, avverte il bisogno di fare chiarezza: «In quanto prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, ci tengo a ricordare che la celebrazione versus orientem è autorizzata dalle rubriche del Messale, che precisano il momento in cui il celebrante deve voltarsi verso il popolo. Non c’è dunque bisogno di alcuna particolare autorizzazione per celebrare rivolti al Signore». E per indicare un graduale percorso di realizzazione, il cardinale guineano richiama una proposta da lui fatta lo scorso anno su L’Osservatore Romano, e cioè che «i sacerdoti e i fedeli si voltino verso l’Oriente almeno durante il rito penitenziale, il canto del Gloria, le orazioni e la preghiera eucaristica».
Ed aggiunge: «L’orientazione dell’assemblea verso il Signore è un mezzo semplice e concreto di favorire una vera partecipazione di tutti alla liturgia», la quale «non dev’essere intesa come la necessità di fare “qualcosa”. Su questo punto abbiamo deformato l’insegnamento del Concilio. Al contrario si tratta di lasciare che Cristo ci raggiunga e di unirci al suo sacrificio».
Dare spazio a Cristo: è forse questo il vero modo per dare una svolta a questo processo di secolarizzazione che ha travolto il mondo e incancrenito la Chiesa. E perché ciò non sia solo un pio desiderio che si arresta scoraggiato di fronte a problematiche che appaiono sempre più insormontabili, il Cardinale Sarah ci dà questa semplice ma preziosa indicazione: iniziamo dalle nostre celebrazione a dare spazio a Cristo e ad orientare tutto verso di Lui.