Misericordia, virtù ordinata o passione sregolata?
L’insegnamento di San Tommaso d’Aquino
Da Disputationes Theologicae
La parola misericordia è oggi tra le più abusate e l’improprio utilizzo di un termine così legato alla Sapienza e Bontà divine ha delle conseguenze che si riflettono anche sul modo di intendere la natura di Dio.
Se da una parte è vero che vi possono essere più modi d’intendere la misericordia, dall’altra è importante introdurre alcune precisazioni per non approdare a gravi errori in materia di fede e di morale.
In questo breve articolo vedremo alcune capitali distinzioni che San Tommaso fa nella Summa Theologiae ed analizzeremo principalmente la questione di come vada intesa la nozione di misericordia nell’uomo e la nozione di misericordia in Dio.
Poste queste distinzioni, utili ad evitare tanto lo scoglio del panteismo che quello correlativo dell’antropomorfizzazione eccessiva di Dio, vedremo quali siano le ragioni e le condizioni della misericordia per i peccatori, seguendo il Dottore Angelico.
La misericordia è virtù “secondo ragione”
San Tommaso parla della misericordia sotto il suo aspetto più propriamente morale nella Secunda Pars e, facendo ricorso all’etimologia, ci spiega cosa sia e come la si debba definire.
Si dice misericordia quando qualcuno, guardando alla miseria dell’altro, ha un “misero cuore” o meglio un cuore “commiserevole”[1].
Si dice misericordia quando qualcuno, guardando alla miseria dell’altro, ha un “misero cuore” o meglio un cuore “commiserevole”[1].
Ovvero il cuore di chi ha misericordia si immedesima con chi è nella miseria e - a sua volta - “si fa misero”.
E’ l’attristarsi con chi è triste, ci si identifica in parte con chi sta male e col suo desiderio di bene.
Questo movimento dell’animo è in certa misura qualcosa di innato nella nostra natura, ovvero Dio nella Sua infinita Sapienza ha creato l’uomo dotato di passioni, le quali in sé concorrono a condurci al fine ultimo.
Per esempio davanti ad un’ingiustizia evidente si può avere un moto di collera, che può essere santa e giusta e stimolare all’azione per proteggere la verità o chi è ingiustamente vessato.
La perfezione della creazione ha previsto infatti che per un animale spirituale e sociale come l’uomo, vi fossero delle “reazioni” che in sé hanno lo scopo di stimolare la creatura sensibile al bene proprio e degli altri; tuttavia - principalmente a seguito del peccato originale - le passioni devono essere sempre dirette dalla ragione perché non diventino causa di peccato per la loro sregolatezza.
Per la misericordia vale lo stesso discorso, essa quasi nasce dalle nostre viscere davanti alla “miseria” o al dolore altrui.
Per la misericordia vale lo stesso discorso, essa quasi nasce dalle nostre viscere davanti alla “miseria” o al dolore altrui.
Vista così la misericordia è un movimento dell’anima che San Tommaso chiama “moto dell’appetito sensitivo”.
Aggiunge il santo teologo: “in questo caso la misericordia è una passione e non una virtù”[2].
Ovvero la nostra natura sensibile fa in modo che si scateni una “reazione immediata” davanti alla misera situazione dell’altro, ed a ciò è connessa una spinta interiore nella nostra anima per sollevare il misero da tale male.
E’ questo il primo modo di parlare di misericordia, è il livello “più basso”, quello della passione, siamo ancora in un ambito di “reazione immediata”, radicata nel sensibile, che ha bisogno - come le altre passioni - d’essere ordinata dalla ragione.
Vi è poi un altro modo di parlare di misericordia: in quanto moto dell’appetito regolato dalla ragione.
Questo caso si riferisce a quel movimento dell’anima per cui razionalmente - e non solo passionalmente - ci attristiamo dell’altrui dolore.
Questo caso si riferisce a quel movimento dell’anima per cui razionalmente - e non solo passionalmente - ci attristiamo dell’altrui dolore.
Tale movimento per cui il nostro cuore si fa “misero coi miseri” non è solo un grido, un’esclamazione, un palpito, ma è guidato dalla ragione, è ordinato al fine dal nostro intelletto.
L’Aquinate spiega, appellandosi all’autorità di Sant’Agostino, che il movimento della misericordia è virtuoso quando serve la ragione, quando resta nell’ordine e nel bene, quando è finalizzato alla conservazione della giustizia dell’ordine divino[3].
Ovvero Sant’Agostino e San Tommaso dicono chiaramente che il fine della misericordia non è un romanticismo compassionevole, che abbraccia tutto e tutti come una girandola impazzita, ma è un moto che il Creatore ha iscritto nella natura umana per una ragione precisa, che è principalmente quella di stimolare gli uomini a sollevare il prossimo dalla miseria per entrare nel giusto ordine voluto da Dio.
Non a caso, sulla scorta di Aristotele, l’Angelico aveva detto poco prima che la misericordia è più intensa quando il misero si trova nel male per questioni fortuite, per esempio quando un male improvviso accade a chi stava sperando nell’arrivo d’un bene, ed ancor più forte è la misericordia davanti al male che giunge a colui che ha sempre scelto il bene.
Lì è ancora più intensa perché la vittima non è affatto colpevole, è la sofferenza del giusto, quindi più forte è lo “stimolo” a rientrare nel giusto ordine di cose[4].
( Immagine : Santa Margherita da Cortona, Terziaria Francescana)
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