di John M. Grondeleski
Pubblichiamo la traduzione (cortesia della Prof.ssa Eva Fabbri Baroncini) di un interessante articolo apparso sul blog «Crisis Magazine» il 9-11-2015. L'autore individua e confuta la strategia di Kasper, per prendersi a breve ciò che non è riuscito a ottenere al Sinodo. A meno che l'ISIS non ponga fine drasticamente al dibattito teologico, eliminando - con perfetta par condicio - i rappresentati di tutte le coorenti teologiche.
L'ammissione dei divorziati "risposati" cattolici all'Eucarestia è stata una delle questioni nevralgiche, nel corso del Sinodo sulla Famiglia recentemente concluso. La Conferenza Episcopale Tedesca in generale e il Cardinale Walter Kasper in particolare, si sono mossi per chiedere un cambiamento nella disciplina ecclesiastica, al fine di permettere ad alcuni divorziati e "risposati" Cattolici di accedere alla Santa Comunione. Le proposte oscillavano da forme di adattamento della "epikeia" dell'ortodossia Orientale, fino a forme di pratiche penitenziali.
Alla fine, tutti di sono trovati d'accordo in merito alla tattica da adottare, che sembra andare verso una soluzione da "foro interno"; il documento finale del sinodo è sufficientemente ambiguo e tacito da lasciare le porte aperte a tale pratica.
Il ricorso alle soluzioni da "foro interno" non è nuovo: la gerarchia tedesca aveva iniziato a fare pressioni per qualcosa di simile quasi un quarto di secolo fa, quando il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger, stroncò il tentativo.
Soluzioni da "foro interno" di solito potrebbero funzionare sul seguente canovaccio: un penitente espone la propria situazione al confessore e i due "discernono" se la persona è realmente pentita del proprio misfatto, se sta cercando di fare ammenda per questo, se chiede perdono, se crede sinceramente che quello che sta facendo nella propria corrente situazione di vita sia moralmente retto e giusto, anche se non può essere stabilito nel "foro esterno" (cioè davanti a tutti).
Il ricorso alle soluzioni da "foro interno" possono aver senso, per esempio, in casi in cui una persona è convinta che il proprio "matrimonio" sia invalido ma per circostanze che vanno oltre al proprio controllo (morte o inaccessibilità di testimoni, lassi di tempo prolungati, ecc…), non può provare ciò nel modo ordinario.
Ma come potrebbe applicarsi una soluzione da "foro interno" alla situazione ordinaria di un divorziato e "risposato" cattolico? La risposta, a mio giudizio, è che ciò non è possibile.
Se le soluzioni da foro interno di solito si applicano alla possibilità di stabilire fatti in relazione alle circostanze di ciascuno ( ad esempio: è davvero valido il mio matrimonio?), poi c'è un modo di trattare il caso: il processo di annullamento. Lo scopo dei tribunali matrimoniali diocesani è infatti quello di determinare se un matrimonio cristiano ha effettivamente avuto luogo.
Perché i cattolici dovrebbero fare ricorso ad un tribunale per decidere questo? Una ragione è il vecchio assioma, nemo est iudex in causa sua, "nessuno deve essere giudice nella propria causa". Le parti individuali in un matrimonio sono parti interessate. Certo, poiché il matrimonio è sempre un sacramento che coinvolge due persone, è abbastanza probabile che ogni parte abbia un interesse differente riguardo all'esito finale.
Oltre alla questione della personale parzialità, ci sono comunque altre questioni in gioco qui. Ciò che è in discussione è un sacramento. I sacramenti sono un atto di Dio, che ha promesso nella sua fedeltà di renderli efficaci secondo la parola sacramentale. I sacramenti sono anche atti nella Chiesa, il che significa che hanno luogo nella comunità e in una modalità pubblica e visibile.
Fin dal Concilio di Trento, ad esempio, i matrimoni clandestini sono matrimoni invalidi: un cattolico non può di solito sposarsi se non davanti ad un prete e a due testimoni.
Di conseguenza la Chiesa ritiene che quello che è visibile come un sacramento e che suona come un sacramento È un sacramento, perché Dio realizza ciò che promette di compiere nei sacramenti (ex opere operato).
La fedeltà a Dio e al suo ordine sacramentale implica che le decisioni riguardo al matrimonio non possano essere privatizzate. Analogamente, poiché i sacramenti sono celebrazioni nella e della Chiesa, quello che è celebrato davanti alla comunità non può essere messo da parte nella situazione quasi individuale del confessionale.
Il pericolo delle soluzioni da Foro interno, perciò, è quello di favorire la traiettoria corrosiva occidentale della privatizzazione del matrimonio: il matrimonio è qualsiasi cosa ognuno pensa che sia. Nella legge civile, questo ha portato il matrimonio a perdere le sue caratteristiche essenziali in favore dell'autodeterminazione: la differenziazione sessuale è stata surclassata dalla volontà omosessuale. Nella pratica civile, ciò ha portato all'ascesa della convivenza e alla riduzione del matrimonio a mera cerimonia: se noi ci "amiamo", perché abbiamo bisogno di un certificato e di una chiesa? La soluzione da Foro interno minaccia di importare questa mentalità di privatizzazione dentro la Chiesa: quello che è celebrato davanti a Dio, alla sua Chiesa, e ai suoi testimoni (incluso un prete ordinato), può essere messo in discussione nel luogo quasi privato di una confessione? E come potremo prendere in considerazione le volontà di entrambe le parti? E se entrambi non concordano sulla situazione? Il foro interno non si presta facilmente a valutare multiple coscienze, e la Confessione non lavora in terzetto. Come, allora, proteggiamo il foro interno dal divenire l'equivalente ecclesiastico del "divorzio consensuale" con tutti i suoi difetti e bugie?
Non svilupperò neanche la questione se, data la rovina del sacramento della Confessione nel mondo Occidentale, riaccostarsi ai sacramenti per una "confessione da foro interno" diventerà la corte cattolica del divorzio. Oppure se, nella pratica occidentale, la verità per molti sarà che la Cresima rimarrà il sacramento dell'esodo dalla Chiesa, almeno fino al Matrimonio (per quelli che vogliono uno scenario religioso per le foto del matrimonio, o per tenere mamma buona), che sarà seguito da una Confessione da foro interno per aprire la strada al successivo matrimonio - forse giusto in tempo per la Prima Comunione del primogenito.
Sono anche preoccupato riguardo ad un'espansione ingiustificata della portata degli approcci da foro interno. Il foro interno, correttamente usato, riguarda il raggiungimento di una decisione presa in coscienza, in accordo con gli insegnamenti della Chiesa, con i quali la mia situazione -sebbene non possa stabilirlo con un foro esterno - può essere moralmente cierente. Ma temo che il foro interno sarà stravolto per decidere non riguardo alla mia situazione, ma riguardo all'insegnamento della Chiesa: Io non credo che Dio si aspetti da me, nella mia Lebenswirklichkeit (“situazione di vita reale”), di obbedire all'insegnamento della Chiesa riguardo all'indissolubilità.
Potrei persino dire che potrei prestare il mio assenso esterno - sì, questo è un obiettivo al quale dovrei aspirare, un ideale verso il quale dovrei puntare- ma certamente senza accordarvi alcuna forza vincolante che giudichi la mia vita. Associato alla nozione perversa di coscienza regnante in alcuni circoli - per cui la coscienza è "il sommo giudice" del giusto e dello sbagliato nel senso che essa crea la mia norma morale indipendentemente (e persino in opposizione esplicita), dall'insegnamento della Chiesa - ognuno si rende conto del reale pericolo di coscienze ulteriormente malformate che operano con ulteriori false idee di quello che la Chiesa insegna in modo vincolante riguardo a fede e a morale. Dico "ulteriori" perché abbiamo già incontrato questo processo nel fallimento di larga parte della gerarchia, dopo Humanae vitae, nell'insegnare la fecondità come elemento essenziale degli atti di amore coniugale.
Secondo poi vecchie discussioni, le soluzioni da foro interno tentavano di proteggere il foro esterno, richiedendo alla persona che vuole farne uso di "evitare lo scandalo": per esempio se l'invalidità del matrimonio fosse stata stabilita solo in foro interno, allora la parte avrebbe potuto ricevere la Comunione in una parrocchia dove la persona era sconosciuta. In questo modo, si sarebbe potuto minimizzare lo scandalo, la minaccia alla fede degli altri, e l'intromissione nell'insegnamento della Chiesa sull'indissolubilità.
Se il foro interno, nella modalità che qualche sostenitore di questa "soluzione" sembra immaginarsi essere largamente ("misericordiosa"), applicata in larga scala, come si potranno evitare gli esiti corrosivi delineati qui sopra? Non creeremo invece l'impressione: "la Chiesa si è sbagliata riguardo all'indissolubilità ma non lo ammetterà, quindi ha creato questa via d'uscita"?
Molto probabilmente gli approcci del foro interno possono e quasi certamente saranno abusati, e tutto questo rinforzerà soltanto le false convinzioni riguardo ai sacramenti, alla moralità (specialmente alla morale sessuale), e alla coscienza.