LA MUSICA LITURGICA POSTCONCILIARE E LA BATTAGLIA
DI
BENEDETTO XVI
Nell'introduzione al libro di Benedetto XVI
Lodate Dio con arte
,
Riccardo Muti menziona la di lui denuncia del basso livello della musica nelle nostre
chiese.
La battaglia
per riformare la musica sacra, egli l'ha condotta
guardando alla tradizione ortodossa
, ma anche alla storia antica:
« Quello che Platone e Aristotele hanno scritto sulla musica, mostra che il mondo greco si era trovato, ai loro tempi, di fronte alla scelta tra due tipi fondamentalmente diversi di musica.
Da un lato la musica che Platone riconduce mitologicamente ad Apollo, dio della luce e della ragione, una musica che riporta i sensi all'interno dello spirito e, in questo modo, conduce l'uomo alla totalità; una musica che non supera i sensi, ma li colloca nell'unità della creatura umana.
« Quello che Platone e Aristotele hanno scritto sulla musica, mostra che il mondo greco si era trovato, ai loro tempi, di fronte alla scelta tra due tipi fondamentalmente diversi di musica.
Da un lato la musica che Platone riconduce mitologicamente ad Apollo, dio della luce e della ragione, una musica che riporta i sensi all'interno dello spirito e, in questo modo, conduce l'uomo alla totalità; una musica che non supera i sensi, ma li colloca nell'unità della creatura umana.
Essa innalza lo spirito proprio nel momento in cui li fa essere
una sola cosa con lo spirito; essa esprime così proprio la posizione particolare
dell'uomo nell'intero edificio dell'essere.
Poi c'è la musica che Platone ordina a Marsia e che noi, dal punto di vista della storia della cultura, potremmo anche definire “dionisiaca” .
Essa trascina l'uomo nell'ebbrezza dei sensi, calpesta la razionalità e sottomette lo spirito ai sensi.
Poi c'è la musica che Platone ordina a Marsia e che noi, dal punto di vista della storia della cultura, potremmo anche definire “dionisiaca” .
Essa trascina l'uomo nell'ebbrezza dei sensi, calpesta la razionalità e sottomette lo spirito ai sensi.
Il modo in cui Platone
(e
con più misura, Aristotele)
distribuisce gli strumenti e le tonalità da una parte
e dall'altra è superato e sotto molti aspetti può forse apparirci sorprendente.
Ma questa alternativa, in quanto tale, percorre tutta la stori a religiosa e ancor oggi ci sta davanti in maniera del tutto reale.
Quindi, non ogni forma di musica può entrare a far parte della liturgia cristiana.
Esso esige un criterio e questo criterio è il Logos » : così Joseph Ratzinger ( Introduzione allo spirito della liturgia , San Paolo, pag. 147 ).
Ma questa alternativa, in quanto tale, percorre tutta la stori a religiosa e ancor oggi ci sta davanti in maniera del tutto reale.
Quindi, non ogni forma di musica può entrare a far parte della liturgia cristiana.
Esso esige un criterio e questo criterio è il Logos » : così Joseph Ratzinger ( Introduzione allo spirito della liturgia , San Paolo, pag. 147 ).
La Chiesa, che non trasmette solo dottrina, ma indica anche i modi,
mutevoli secondo i tempi, con cui trasmettere la fede, insegna che la musica è,
per dir così, tra questi modi fondamentali,
ma deve essere dotata di santità,
universalità e bontà di forme per essere degna del culto divino, come stabilì
san Pio X nel Motu proprio Inter sollicitudines
del 1903. Sessant'anni dopo, il
Concilio
Vaticano II ha dichiarato che «
la tradizione musicale di tutta la
Chiesa costituisce un patrimonio di inestimabile valore, che eccelle tra le altre
espressioni dell’arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle
parole, è parte necessaria e in
tegrante della liturgia solenne»
(Costituzione
sulla Sacra Liturgia, n 112).
A questo patrimonio liturgico appartiene il canto gregoriano: una varietà dei testi, propri di ogni celebrazione dell'anno liturgico, sgorgati dalla meditazione sui testi sacri della primitiva Chiesa, ed ornati melodicamente lungo secoli di esperienza viva de lla celebrazione dei misteri della vita di Cristo, che costituisce la lode più perfetta e il patrimonio più prezioso della pietà liturgica.
Testo e musica costituiscono il più elevato poema della lode divina, che la letteratura antica non esitava ad attrib uire alla ispirazione angelica.
Tutto questo è il canto gregoriano che il Vaticano II definisce «canto proprio» della Liturgia Romana: « perciò, nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale» (Ivi, 115).
Dal culto giudaico, il gregoriano ha attinto la proclamazione in canto della Parola di Dio, che si è via via adattata alle diverse situazioni liturgiche, a cantori e a momenti rituali differenti.
Il coinvolgimento dell’assemblea ha dato origine alle forme di salmodia responsoriale e antifonica, sillabica per l’Ufficio delle Ore, e fiorita per la liturgia eucaristica.
Per i momenti di contemplazione spirituale si è sviluppato il melisma, un lungo vocalizzo melodico, dove Dio sembra affermare la sua presenza, comunicando al credente quanto le parole e la stessa Parola biblica non sono in grado di esprimere, e durante il quale si richiede l’apertura totale del cuore e l’attenzione viva della mente, nell’ascolto docile che si fa obbedienza di fede: è il momento musicale dove, più che mai, si manifesta l'aspetto paradossale del canto liturgico: esso diventa pura rivelazione della Parola.
Giovanni Paolo II ha confermato la “legge generale” formulata da san Pio X: « tanto una composizione per Chiesa è più sacra e liturgica, quant o più nell’andamento, nell’ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto meno è degna del tempio, quanto più da quel suprem o modello si riconosce difforme» (Chirografo nel centenario del Motu proprio sulla musica sacra Inter sollicitudines , 2003 , n . 12).
A questo patrimonio liturgico appartiene il canto gregoriano: una varietà dei testi, propri di ogni celebrazione dell'anno liturgico, sgorgati dalla meditazione sui testi sacri della primitiva Chiesa, ed ornati melodicamente lungo secoli di esperienza viva de lla celebrazione dei misteri della vita di Cristo, che costituisce la lode più perfetta e il patrimonio più prezioso della pietà liturgica.
Testo e musica costituiscono il più elevato poema della lode divina, che la letteratura antica non esitava ad attrib uire alla ispirazione angelica.
Tutto questo è il canto gregoriano che il Vaticano II definisce «canto proprio» della Liturgia Romana: « perciò, nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale» (Ivi, 115).
Dal culto giudaico, il gregoriano ha attinto la proclamazione in canto della Parola di Dio, che si è via via adattata alle diverse situazioni liturgiche, a cantori e a momenti rituali differenti.
Il coinvolgimento dell’assemblea ha dato origine alle forme di salmodia responsoriale e antifonica, sillabica per l’Ufficio delle Ore, e fiorita per la liturgia eucaristica.
Per i momenti di contemplazione spirituale si è sviluppato il melisma, un lungo vocalizzo melodico, dove Dio sembra affermare la sua presenza, comunicando al credente quanto le parole e la stessa Parola biblica non sono in grado di esprimere, e durante il quale si richiede l’apertura totale del cuore e l’attenzione viva della mente, nell’ascolto docile che si fa obbedienza di fede: è il momento musicale dove, più che mai, si manifesta l'aspetto paradossale del canto liturgico: esso diventa pura rivelazione della Parola.
Giovanni Paolo II ha confermato la “legge generale” formulata da san Pio X: « tanto una composizione per Chiesa è più sacra e liturgica, quant o più nell’andamento, nell’ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto meno è degna del tempio, quanto più da quel suprem o modello si riconosce difforme» (Chirografo nel centenario del Motu proprio sulla musica sacra Inter sollicitudines , 2003 , n . 12).
Infatti, come il rito è “ordo”
, così il canto e la musica per essere sacre,
ossia idonee alla liturgia,
devono seguire l'ordine testuale e rituale, cosa che è
declinata nelle norme, prescrizioni e rubriche dei libri liturgici,
tra i quali vi
sono il Salterio, l'Antifonario, l'Innario, il Graduale.
Gli stessi Messali, Rituali e Cerimoniali contengono, come parte integrante, i testi con notazione musicale ad uso in primis del sacerdote celebrante e degli altri ministri sacri, non ché le risposte dei fedeli.
Gli stessi Messali, Rituali e Cerimoniali contengono, come parte integrante, i testi con notazione musicale ad uso in primis del sacerdote celebrante e degli altri ministri sacri, non ché le risposte dei fedeli.
La musica sacra è tale perché partecipa del medesimo principio che
regola la sacra liturgia: è di competenza divina, è in gioco il diritto di Dio di
essere adorato come egli ha stabilito.
Il dibattito postconciliare circa l’attuazione della riforma liturgica è
stato contraddistinto, senza dubbio, dalla tensione tra l’esigenza dell’arte e la
semplicità della Liturgia.
Oggi però constatiamo come «
il ripiegamento
sull’usuale non ha reso la liturgia
più aperta, ma solo più povera»
–
concludeva Joseph Ratzinger
–
«
La necessaria semplicità non la si p
uò
4
ottenere con l’impoverimento»
(
La festa della fede
,
Jaca Book, p
ag.
89).
E
successivamente, parafrasando san Tommaso, riporta il pensiero di
sant’Agostino aggiungendo: «
Glorificazione
è il motivo centrale per cui la
liturgia cristiana dev'essere liturgia cosmica e il mistero del Cristo deve per
così dire, intonarsi con le voci della creazione». San
Tommaso dice
testualmente (sempre in Ratzinger),
«
con la lode tributata a Dio l’uomo
si
eleva fino a Dio...
tale ascesa strappa
l’uomo da ciò che è contro Dio».
«
La
lode sonora porta noi egli altri al timore riverenziale»
(Ivi,
pp.
103
-
105).
La
musica liturgica deve essere sommessa, il suo scopo non è l’applauso ma
l’edificazione, come osservava
san
Girolamo, quando rimproverava non il
carattere estatico di una musica cultuale, ma la vanità e la ricerca di effetti
nell’esibizione degli artisti
(
ivi, pag.
109).
Nella crisi presente non vanno smarriti alcuni principi: la liturgia esiste
per tu
tti, cioè è cattolica; ma la cattolicità non significa uniformità; la
actuosa
participatio
non significa solo “discorrere”, ma anche ascoltare, cioè percepire
con i sensi
e con lo spirito commuoversi.
« L’arte che la Chiesa ha espresso è, accanto ai santi che vi sono maturati, l’unica reale “apologia” che ess a può esibire per la sua storia» (Ivi, p ag. 114).
« L’arte che la Chiesa ha espresso è, accanto ai santi che vi sono maturati, l’unica reale “apologia” che ess a può esibire per la sua storia» (Ivi, p ag. 114).
Più che mai oggi urge una riforma del canto e della musica per la
liturgia; ma si stenta a rendere operativi i principi codificati dalla Costituzione
liturgica,
ed esplicitati
dalle più recenti e autorevoli dichiarazioni.
Nell’Esortazione Apostolica
Sacramentum caritatis
Benedetto XVI esprimeva
un desiderio, che ha la dolcezza di una supplica e il valore di un comando (cfr.
Emidio Papinutti in
Rinascita Gregoriana
, giugno 2007, pag.9): «Desidero,
come è stato chiesto dai padri sinodali, che venga adeguatamente valorizzato
il canto gregoriano, in quanto canto proprio della liturgia romana» (n.42).
E
chiede che «
i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminari
o, siano preparati a
celebrare la santa Messa in latino, nonché ad utilizzare testi latini e a eseguire
il canto gregoriano»; e che gli stessi fedeli «
siano educati a cantare in Gregoriano certe parti della liturgia» (n.
62).
L’opposizione al canto gregoriano ha principalmente due motivazioni,
facilitare la partecipazione dei fedeli alla liturgia post
-
conciliare, eliminando
ogni ostacolo quale, a prima vista, sembra essere la lingua latina; e di
conseguenza il canto gregoriano
che
non corrisponderebbe più a
lla sensibilità
musicale del nostro tempo; in secondo luogo, un’irrazionale e quindi non
controllabile presa di posizione contro il fantasma del passato, dove il canto
gregoriano assurge a cifra/simbolo di un mondo dal quale si possono
prendere “finalmente
” le distanze.
In realtà,
dal secolo XIX si son prese le distanze dall'interpretazione
cosmica della musica, perché si è ritenuta superata la metafisica.
Hegel ebbe a interpretare la musica come espressione della soggettività, mentre Schopenhauer ha soste nuto che il mondo non è più ragione, ma «volontà e rappresentazione» : vuol dire che, se la volontà precede la ragione, la musica non deve legarsi alla parola.
Hegel ebbe a interpretare la musica come espressione della soggettività, mentre Schopenhauer ha soste nuto che il mondo non è più ragione, ma «volontà e rappresentazione» : vuol dire che, se la volontà precede la ragione, la musica non deve legarsi alla parola.
L
'esito, riconducibile a questa “svolta
antropologica”, è il primato del fare,
tradotto nella Chi
esa
contemporanea col
primato del “pastorale”
,
del sociale, del pragmatico, sul pensare e il
contemplare, con la conseguente destituzione del valore
dell'ortodossia in
favore dell'
ortoprassi; tutto questo è riassumibile così: «In principio era
l'Azione»
, invece che la Parola
(cfr
.
Introduzione allo spirito della liturgia
,
p
ag.
151).
Ora, il soggettivismo è giunto a configurare la teoria anarchica dell'arte.
Ora, il soggettivismo è giunto a configurare la teoria anarchica dell'arte.
Di conseguenza, si comprende perché siamo in piena “anomia”
–
l'inosservanza di qualsiasi norma
–
anche nella musica sacra.
Né vi pone
rimedio il tentativo di “musealizzare” il gregoriano e la polifonia attraverso i
concerti, in quanto «
ciò che nei musei può essere solo testimonianza del
passato,
ammirata con nostalgia, nella liturgia continua ad essere presente
vivo»
(Ivi, p
ag.
152).
È
necessario,
dunque, anche nel campo della musica sacra cristiana,
illustrato da insigni maestri come il compianto benedettino Anselmo Susca e
Valentino
Miseracs Grau, incrementare il nuovo movimento liturgico
inaugurato dal pensiero e dall'insegnamento di Benedetto XVI.
Immagine: Bento Coelho da Silveira " La glorificazione del Santissimo Sacramento fra angeli musicanti", Franca de Xira (Portogallo)
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