Le Antifone mariane
di Giannicola D'Amico, da Scuola Ecclesia Mater
Nella prassi delle nostre parrocchie, chi si occupa del servizio musicale, pur quando rispettoso di certi “canoni” liturgici, ha un momento di esaltante libertà nel c.d. canto finale.
Anche i più scrupolosi, infatti, si sentono autorizzati in quel punto della Messa a comportarsi più a briglia sciolta: si passa dall’organista serio che si diverte un po’ con Provesi, p. Davide da Bergamo o qualche trascrizione di Wagner, fino alla canzone di Vasco Rossi all’uscita del feretro, nel funerale di qualche povero giovane morto tragicamente o un’Ave Maria di Shubert mentre sortisce di chiesa la bara della vecchia zia (“perché le piaceva tanto!”), passando attraverso sviamenti più “raffinati” come quello ascoltato qualche tempo fa quando, in una fedelissima città del Nord-est, al termine di una celebrazione nella festa di Maria Regina, si è cantato il “Regina Caeli”.
Un tempo il canto finale, o per la “Recessione”, era un punto fermo e solitamente non creava imbarazzi né ai musicisti nella scelta, né ai fedeli nel sentirsi propinare canti impropri, e in più contribuiva a dare una nota ulteriore di cattolicità alla celebrazione (cosa che non guasta, soprattutto oggigiorno): in tutto l’anno liturgico, infatti, a fine Messa si usavano le Antifone mariane (dette anche maggiori).
Qualcuno le ricorderà: Alma Redemptoris Mater, Ave Regina coelorum, Regina coeli e Salve Regina.
Si sapeva con certezza “dottrinale” che la prima si impiegava dall’Avvento fino alla Purificazione, la seconda serviva fino al Sabato Santo, la terza era peculiare del tempo di Pasqua e l’ultima si cantava dalla Ss.ma Trinità in avanti (il c.d. tempo ordinario).
Nulla vieta di eseguirle anche oggi.
Anzi!
Scolorite dall’ingiusto oblio in cui sono cadute (soprattutto le prime due), a volte è sufficiente rimetterle in esercizio per poco: i fedeli anziani le ricordano ancora e i giovani possono impararle presto.
Si tratta infatti di forme antifonali semplici, prive di salmo: in pratica di preghiere alla Vergine – in un latino facilissimo - messe in canto e inoltre quelle consacrate dall’uso comune, nella forma semplice (esistono le versioni nel c.d. tono solenne), sono state per secoli dei veri cavalli di battaglia del nostro popolo.
Dico secoli, ma ormai potrei dire “un millennio” e anche più, perché queste quattro piccole perle di sapienza liturgico-musicale ci giungono dai recessi più affascinanti del Medioevo cristiano.
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