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sabato 21 marzo 2015

Messale in inglese: ha vinto la traduzione voluta da Ratzinger più aderente al latino. E alla tradizione.

 Benedetto XVI potremmo dire che se la ride sotto ai baffi. 

Dopo battaglie più o meno aspre e più o meno esplicite, possiamo dire di aver vinto la guerra. Il campo di battaglia era la liturgia e a essere conteso era la traduzione del Messale in lingua inglese. 
Già nel 2009 i lavori preparatori avevano messo in allarme i vescovi "liberal" d'oltremanica si erano allarmati. Non volevano che Roma, nella persona di mons. Di Noia (appena nominato da Benedetto XVI  Segretario della Congregazione per il Culto) ritoccasse la traduzione del Messale inglese, e che correggesse alcuni errori semantici (e quindi, di riflesso, dottrinali).
A febbraio 2011 (QUI) persino Rodari si era schierato contro la traduzione del Messale in lingua inglese,  più "cattolico" rispetto a quello  usato fino ad allora.
Dalla prima domenica di Avvento 2011 (QUI) il nuovo Messale in inglese però è entrato in vigore con un atto di forza della Congregazione e di Di Noia: ecco i punti che non piacciono ai "progressisti" (pro multis, Padre nostro, Gloria in excelsis", ecc).
A febbraio 2013 (QUI) alcuni vescovi e preti avevano chiesto una revisione della traduzione, secondo loro troppo (???) aderente al testo in latino e alla dottrina tradizionale (e quindi più corretta, per questo scomoda...). 
A marzo 2015, poco tempo fa, con piacevole stupore, S. E. Mons. Roche, segretario della Congregazione per il Culto Divino, ha confermato che il testo del 2011, quello più "cattolico" resta quello in vigore e sono escluse revisioni o modifiche (richieste dai "progressisti riformatori".). Ci stupisce, poiché quando nel 2012 (qui) venne trasferito alla Congregazione per il Culto, ci eravamo preoccupati, viste la sua aperta avversione al Summorum Pontificum. 
Roberto
Messa, inglese: niente innovazioni
di Marco Tosatti, da La Stampa, del 20.03.2015

L’arcivescovo Arthur Roche, segretario della Congregazione per il Culto Divino, ha escluso che si possa tornare al testo liturgico in inglese utilizzato fra il 1998 e il 2011 come chiedevano i liturgisti "riformatori". Resta la versione più aderente all'originale latino.
Non se ne parla. Così in una dichiarazione alla rivista inglese The Tablet il segretario della Congregazione per il Culto Divino, l’arcivescovo Arthur Roche, ha escluso che si possa tornare al testo liturgico in inglese utilizzato fra il 1998 e il 2011. Può sembrare un discorso per addetti ai lavori, ma non lo è, o lo è solo in parte. Riguarda infatti un problema non secondario, e cioè la maggiore o minore aderenza di quello che viene detto e pregato in chiesa all’originale latino dei testi. 

La versione del 1998 era stata ampiamente criticata dagli esperti cattolici più sensibili all’aderenza ai testi base e alla tradizione. E per questo motivo fu sottoposta a una complessa e accurata revisione da parte dell’International Commission on English in the Liturgy (ICEL), di cui è stato presidente proprio l’arcivescovo Roche, che sicuramente non è possibile classificare fra i tradizionalisti. 
 La nuova versione, entrata in vigore nel 2011, è stata criticata, e lo è ancora, dai liturgisti “liberal” che hanno chiesto il ritorno alla versione del 1998. Ma nel 2002 è stata preparata e approvata una nuova versione del Messale in latino; il che naturalmente ha reso obsoleta la versione inglese del 1998. L’arcivescovo Roche ha dichiarato a The Tablet che l’uso di un testo liturgico inglese diverso da quello del 2011 non può avvenire. La nuova traduzione “esprime l’unità dell’intera Chiesa”. 
Il sistema utilizzato in base all’istruzione “Liturgiam autenticam” e che ha condotto alla nuova versione si chiama “equivalenza formale”. In base ad esso bisogna tenere conto di ogni parola latina del testo originale in ogni futura tradizione nelle lingue locali. 
E’ interessante notare che questa riaffermazione della liturgia in base alla tradizione avvenga in un momento in cui si pensava che le radicali sostituzione nella Congregazione per il Culto Divino avrebbero aperto la strada a possibili stravolgimenti in tema di liturgia.