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martedì 17 marzo 2015

Fede, speranza e la Divinità di Cristo

Riceviamo e pubblichiamo. 


Fede, speranza e la Divinità di Cristo 
di Luciana Cuppo

Un esempio di contaminazione 
“Spero fermamente che quanto prima ‘Divinitas’ riprenda la propria attività”.
Sono le parole con cui la Direzione della rivista di critica teologica ‘Divinitas’ annuncia di aver “momentaneamente” sospeso la pubblicazione, e sono quello che in gergo letterario si dice una contaminazione.
Brutta parola, questa, nel linguaggio comune: evoca contagio, inquinamento, corruzione.
Ma in letteratura contaminatio (contaminazione) significa semplicemente che un autore ha preso due testi diversi e li ha usati entrambi in un nuovo ed unico testo – il suo. 
La contaminazione escogitata da monsignor Gherardini (perché è lui il Direttore di Divinitas) merita qualche riflessione e riguarda tutti noi.
Monsignor Gherardini ha dunque contaminato, cioè riunito in un’unica frase, due lemmi provenienti da due frasi diverse, quelle (vi ricordate?) dell’Atto di fede (‘Mio Dio, credo fermamente quanto voi, infallibile verità, avete rivelato’) e dall’Atto di speranza (‘Mio Dio, spero dalla bontà vostra, per le vostre promesse e per i meriti di Gesù Cristo’).
La sua è una speranza ferma perché si fonda sulla fede in Dio ed in Dio solo. Ma prima di continuare il discorso su Divinitas, un interludio: la signora triestina.  

L’(anziana) signora triestina 
Anziana è, non c’è dubbio.
Ne ha tutti i segni: capelli fini e bianchi, un bastone per camminare, difficoltà a fare i gradini, un fisico fragile, e tante, tante rughe. 
Ma non mi riuscirebbe di chiamarla una vecchietta, come si usa fare per le anziane signore che, come lei, frequentano la Messa domenicale.
È lì che la vedo quasi ogni domenica, tranne quando fa molto freddo.
Non la conosco di persona né le ho mai parlato, ma in chiesa siamo, per così dire, vicine di banco, assieme a qualche altro frequentatore regolare della Messa delle 18.
Perché, vedete, i banchi dove ci troviamo ad essere vicine non sono quelli della navata centrale ma quelli dell’altare del Santissimo, in una cappella adiacente all’Altare maggiore, da dove si vede l’altare, ma dove la cacofonia miagolante di invocazioni, canti à la page, letture ed improvvisazioni varie giunge misericordiosamente attutita; e dove, soprattutto, si è fisicamente a pochi passi dal tabernacolo a ricordarci che, per quante baggianate continuino ad inventarsi i sedicenti esperti di liturgia, Cristo è lì ed è Lui che conta.
Ed a chi non lo capisse, basterebbe osservare l’anziana signora durante la Messa. 
È sempre impeccabilmente vestita, con innata distinzione. 
Il taglio degli abiti è quello di molti anni fa, ma ciò fa risaltare maggiormente la sua dignità di donna che evidentemente non si lascia influenzare da frivolezze quali la moda femminile o il “cosa dirà la gente”. 
Non c’è tempo per queste cose, perché la signora è costantemente, serenamente immersa in una preghiera senza tempo, seguendo un suo libro di preghiere con la copertina nera, forse “Massime eterne”, forse un messale. 
Ma quando vi sono le letture la signora siede e le segue sui foglietti appositi. 
Nessuna contestazione da parte sua, ma quanto a partecipazione, cioè al rispondere a voce alta alle preghiere, sedersi, alzarsi, è evidente che la cosa neppure la sfiora, perché lei è occupata con Gesù nel tabernacolo; e così ogni benedetta domenica, finché Dio vorrà.  

Ritorno a Divinitas 
Lo “spero fermamente” di monsignor Gherardini si può leggere nel suo contesto nel blog http://lepaginedidoncamillo.blogspot.it, post del 4 febbraio 2015. 
Don Camillo commenta sobriamente la notizia, e se ha ragione da vendere quanto al fatto che in curialese “momentaneamente” vuol dire “in perpetuo”, c’è quello “spero fermamente” che fa polpette del curialese e vuol dire invece, nel linguaggio della fede: ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio. 
Ma il punto centrale del commento di don Camillo, quello che va al nocciolo della questione, è un altro: “LA SCUOLA ROMANA ha chiuso l’ultimo punto di divulgazione certo ed esatto. 
Oramai culturalmente parlando siamo senza più appigli.” 
 Ed infatti: ‘Divinitas’ è stata sin dalla sua fondazione 58 anni fa l’espressione della Scuola Romana di teologia, risolutamente fedele al Magistero della Chiesa ed altrettanto risolutamente impegnata nella ricerca e nella critica teologica. 
Teologia vuol dire ragionamento (logos) intorno a Dio (theos): Dio è il centro di tutto ed il teologo usa la ragione per carpire ed elucidare, passandolo poi ad altri, qualche barlume di quel che ci è stato rivelato. 
Quest’insistenza nel porre Dio al centro è l’elemento insostitutibile di ‘Divinitas’. 
Lo dice il titolo stesso, poiché divinitas vuol dire divinità. Ma la divinità, il Dio in cui crediamo, viene a noi con un volto umano – quello di Cristo, vero Dio e vero uomo. Questo è quanto ci ricorda, un mese dopo l’altro, il frontespizio di ‘Divinitas’.

Il commiato di monsignor Antonio Livi 
La rivista “momentaneamente” sospesa è la risposta alla situazione denunciata pochi giorni orsono con chiarezza estrema dal professor Antonio Livi. 
Nella sua lettera di commiato al blog ‘L’isola di Patmos’, che potete trovare per intero su www.isoladipatmos.com, 21 febbraio 2015, monsignor Livi scrive: “Oggi, nella pubblicistica teologica, soprattutto se animata da intenti apologetici o polemici, tali distinzioni [ fra la dottrina rivelata che bisogna credere ed opinioni teologiche legittime, fra verità divina (rivelata) e verità umana] non vengono mai prese nella dovuta considerazione, anche perché l’ideologia del modernismo è riuscita a imporre surrettiziamente in ogni ambiente cattolico, persino tra i “tradizionalisti”, il fideismo teologico, e con esso il pregiudizio anti-metafisico e il disprezzo della logica. Invece di confermare a ogni passo la sostanziale razionalità della “fides qua creditur” e le premesse razionali della “fides quae creditur”, si fa appello al sentimento, al senso religioso, al senso di appartenenza, alla “ricerca di senso”, alla cosiddetta “esperienza di fede” (che semanticamente è un ossimoro, e teologicamente è uno dei capisaldi del modernismo).” 
Monsignor Livi sottolinea il carattere antimetafisico ed in ultima analisi irrazionale di questa deriva umana troppo umana: ricerca di senso, senso religioso, senso di appartenenza, un’impossibile “esperienza di fede”; e poiché è un gentiluomo, tralascia altre concomitanti realtà quali gli insulti, le ripicche ed invettive scagliati da blog a blog, ma soprattutto quella, particolarmente squallida, di scriventi che mettono se stessi al centro dell’universo, pur professando – a parole – di voler difendere la fede. In realtà, quello che difendono è il senso religioso, senso di appartenenza, esperienza (si fa per dire) di fede: cioè il loro punto di vista e le loro fisime pseudoteologiche.

Il gran silenzio 
A ben considerare sia la sospensione della pubblicazione di ‘Divinitas’, sia le parole ben ponderate di monsignor Livi, il dire (e lo si è detto) che il distribuire ingiustificate “patenti d’eresia” sia costato l’adesione di monsignor Livi ad un certo sodalizio, come se si fosse trattato di semplici divergenze sui lefebvriani, rivela notevole miopia spirituale.
C’è, in realtà, molto di più; c’è la deriva fideistica, il rifiuto della ragione, ma soprattutto il rifiuto di mettere Dio al centro della teologia. 
E qui ‘Divinitas’ ed il commiato di monsignor Livi vengono, provvidenzialmente, a coincidere.
Perché, pur nella diversità delle rispettive posizioni, ciò che esse hanno in comune è la risoluta volontà di porre Dio al centro ed il rivendicare il ruolo della ragione. 
Questo è teocentrismo, che si oppone da sempre a chi si preoccupa esclusivamente del proprio io ed in pratica se non a parole mette al primo posto l’uomo. 
È perciò tanto più inspiegabile il silenzio, da parte di alcuni valorosi paladini della dottrina e della tradizione, sulla sospensione della pubblicazione di ‘Divinitas’
Certo, la cosa è stata annunciata solo in un blog ed in una lettera agli abbonati, e non tutti passano le loro giornate a perlustrare i vari blogs al PC, ed è quindi possibilissimo che in molti non sapessero. Ma questa possibilità non convince nel caso di quelli, frequentatori e titolari di blog, che captano con rapidità fulminea quanto avviene sullo stesso blog che ha dato notizia di ‘Divinitas.’ 
Possibile che questi non sapessero? 
Queste sono persone che si dilettano a discettare di teologia e delle sue scienze ausiliarie; possibile che non sappiano cosa sia ‘Divinitas’, che proprio di teologia si occupa; e se lo sanno, perché l’apparente indifferenza? 
Specie quando si tratta di persone che hanno pubblicato articoli su ‘Divinitas’, che si fregiano, senza peraltro notarne le riserve, delle prefazioni scritte da monsignor Gherardini per le loro opere; persone che si profondono in lodi per Brunero Gherardini, da cui hanno ricevuto (dicono) tante luci, ma quando una di queste luci si estingue lasciano tranquillamente la lampada sotto il moggio. 
Devo credere – me lo impone l’ottavo comandamento – che vi sia qualche motivo che io ignoro. 
Ma le apparenze, e voglio sperare che tali siano, sono, francamente, vomitevoli.

La macchina del tempo: quasi un millennio e mezzo fa 
Ed ora portiamoci indietro nel tempo fino a quasi 1500 anni fa, per la precisione fino all’anno 555. 
Non è difficile e non occorre neppure un grande sforzo d’immaginazione, perché grazie ai prodigi della tecnologia moderna un codice redatto appunto in quell’anno è visibile a tutti a mezzo CD, e lo schermo del PC riporta fedelmente ciò che qualcuno scrisse un millennio e mezzo fa (il codice stesso è alla Biblioteca Capitolare di Verona, e forse qualche lettore di MiL vorrà pensarci se sarà lì il prossimo 14 marzo per la presentazione del libro del cardinal Burke). 
Ebbene, in quel codice c’è il De viris inlustribus di Gerolamo/Gennadio, che comprende una breve vita di S. Agostino; vita che però, e solo in questo codice, si allunga di parecchie carte, perché qualcuno, evidentemente il committente del codice, vi fece aggiungere il catalogo delle opere di S. Agostino, che sono tante. 
Questo committente o proprietario fece poi, nella stenografia del tempo, più di 100 correzioni al lavoro dell’amanuense. 
Questo committente-correttore altri non era altri che Cassiodoro (mia opinione; se errata, penseranno i colleghi a farmi le pulci), di ritorno in Italia dopo diversi anni trascorsi a Costantinopoli dove si era svolto il V Concilio Ecumenico, incentrato sulle questioni della divinità ed umanità di Cristo. 
Erano questioni che Cassiodoro conosceva bene. 
Ed un segno di quei dibattiti sono tre aggiunte, o meglio la stessa aggiunta ripetuta tre volte, in punti diversi, al catalogo delle opere di Agostino alla Capitolare. 
Non sono correzioni, perché il testo è perfettamente corretto; sono aggiunte al testo, e ciò che Cassiodoro aggiunge è la parola Dominus, Signore, ogni volta che il testo ricorda Gesù. Gesù Signore, padrone assoluto (dominus) in cielo ed in terra: così Cassiodoro avrebbe chiamato sempre Gesù anche negli anni successivi, e la Madonna sarebbe sempre stata per lui Dei Genetrix, la madre di Dio.  

Conclusione
Torniamo al presente.
Tre situazioni diverse, una molto lontana nel tempo, le altre due provenienti da ambienti lontani fra loro.
Ma al di là del tempo e dello spazio, entrambi insignificanti di fronte alle cose di Dio, esse hanno in comune la volontà di affermare che Dio è Signore. 
Lo afferma la signora triestina, senza parole, semplicemente facendo capire col suo contegno che lei va a Messa per il Signore e nient’altro; lo afferma ‘Divinitas’, tesa da sempre nella ricerca di Dio; lo affermò Cassiodoro, che volle assicursi che nessuno leggesse “Gesù” senza leggere anche che Gesù è Dio e Signore. Tre esempi di fede e di speranza; e gli esempi, si sa, sono contagiosi – più di mille parole. 

Luciana Cuppo

5 commenti:

  1. Luciana ha pienamente ragione. La chiusura di Divinitas, benché si tratti di una gravissima perdita per la sana ricerca teologica, è passata sotto silenzio.
    Il PC di mons. Brunero Gherardini è in tilt da parecchio tempo, e forse ora starà raccogliendo i dati più importanti, le pagine di nuovi studi, e non ha tempo per rispondere alle lettere degli amici.
    Che la rivista, edita nella Città dl Vaticano, desse fastidio in alto loco è risaputo. Che sia morta e sepolta non è detto. Si spera che sia una pausa per la riorganizzazione del periodico, che si avvale di più giovani forze pronte a sostenere l'anziano prelato.

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  2. Per il giornale Osservatore Romano sganciano soldi da cinquant'anni tanto da far andare in passivvo il bilancio dello stato per la rivista Divinitas neanche un centesimo. Credono ancora nella Divinità di Cristo? Ne dubito.

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  3. Anche io mi domando sempre più: siamo di fronte ad una "nuova chiesa"?

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  4. Beh bisognerebbe includere anche Avvenire che costa un botto e vende niente, per glissare elegantemente sui costi spropositati di tv 2000 assolutamente inguardabile, ma da notizie certe pare che il clero in blocco legga solo Repubblica dove imperversa il papa rosso ed i suoi epigoni......che volete è la primavera della CB (chiesa bergogliana), ci sarebbero tante domande da farsi anche su Sfamiglia scristiana, ma qui siamo nell'imponderabile. Leggo volentieri il blog, non amo la scurrilità di certuni, ma tant'è. Grazie per l'eventuale pubblicazione.

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  5. Un pensiero affettuoso per "l'anziana signora triestina"

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