Una puntuta risposta al gesuita causidico
di Roberto de Mattei, da "Il Foglio" 7 ottobre 2014
Lo strappo nella morale Tradizionale non ha basi storiche e teologiche. I
gesuiti cercano le radici nella Chiesa orientale, ma non va bene nemmeno il
divorzio greco.
Il Sinodo che si è aperto non entrerà nella storia per i suoi documenti ma
per il significato che viene attribuito all’evento: quello di uno “strappo”
nella morale tradizionale, riassunto dalla formula del primato della prassi
pastorale sulla dottrina.
La tesi viene suffragata da interventi storici e teologici deliberatamente
fuorvianti, come l’articolo del gesuita Giancarlo Pani apparso, alla vigilia del
Sinodo, sulla “ Civiltà Cattolica”, con il titolo Matrimonio e seconde nozze
al Concilio di Trento (Quaderno n. 3943 del 4 ottobre 2014). In questo
saggio l’autore rievoca la storia di «uno dei decreti più innovativi del
Concilio di Trento: quello sul matrimonio, detto “Tametsi”», affermando che
nel canone settimo del documento, la Chiesa, mentre condanna la dottrina di
Lutero e dei riformatori, «lascia impregiudicate le tradizioni dei greci
che, nel caso specifico, tollerano le nuove nozze».
I Padri conciliari avrebbero infatti addolcito il testo, evitando di portare
anatema contro la prassi vigente in alcune colonie veneziane dove si ammetteva
la possibilità di divorzio e di nuove nozze in caso di adulterio, secondo il
costume invalso nella chiesa scismatica greca.
Padre Pani, che giustifica questa prassi, scrive che anche al cristiano
«poteva accadere di fallire nel proprio matrimonio e di passare a una nuova
unione; questo peccato, come ogni peccato, non era escluso dalla misericordia di
Dio, e la Chiesa aveva e rivendicava il potere di assolverlo. Si trattava
proprio dell’applicazione della misericordia e della condiscendenza pastorale,
che tiene conto della fragilità e peccaminosità dell’uomo. Tale misericordia è
rimasta nella tradizione orientale sotto il nome di oikonomia: pur riconoscendo
l’indissolubilità del matrimonio proclamata dal Signore, in quanto icona
dell’unione di Cristo con la Chiesa, sua sposa, la prassi pastorale viene
incontro ai problemi degli sposi che vivono situazioni matrimoniali
irrecuperabili. Dopo un discernimento da parte del vescovo e dopo una penitenza,
si possono riconciliare i fedeli, dichiarare valide le nuove nozze e
riammetterli alla comunione».
Questa è per padre Pani, la lezione di misericordia che proviene dal Concilio
di Trento. «Oggi - conclude - appare singolare che al
Concilio in cui si afferma l’indissolubilità del matrimonio non si condannino le
nuove nozze per i cattolici della tradizione orientale. Eppure questa è la
storia: una pagina di misericordia evangelica per quei cristiani che vivono con
sofferenza un rapporto coniugale fallito che non si può più ricomporre; ma anche
una vicenda storica che ha palesi implicazioni ecumeniche».
Ma qual è la verità dei fatti? Il Concilio di Trento fu
convocato, come è noto, per far fronte al protestantesimo. Lutero e Calvino
avevano negato o svuotato del loro significato i sacramenti della Chiesa, tra
cui il matrimonio. Il Concilio volle dunque ribadire solennemente, anche su
questo punto, la retta dottrina. L’11 novembre 1563, nella sessione XXIV, fu
promulgato un decreto sul Sacramento del matrimonio che comprendeva dodici
canoni. Il testo del settimo è il seguente: «Se qualcuno dirà che la Chiesa
sbaglia quando ha insegnato e insegna che, secondo la dottrina del Vangelo e
degli apostoli, il vincolo del matrimonio non può essere sciolto per l’adulterio
di uno dei coniugi; e che nessuno dei due, nemmeno l’innocente, che non ha dato
motivo all’adulterio, può contrarre un altro matrimonio, vivente l’altro
coniuge; e che commette adulterio il marito che, cacciata l’adultera, ne sposi
un’altra, e la moglie che, cacciato l’adultero, ne sposi un altro, sia
anatema».
Gli ambasciatori della Repubblica di Venezia avevano chiesto e ottenuto dai
Padri conciliari che il canone, pur ribadendo l’indissolubilità del matrimonio,
evitasse di scomunicare esplicitamente chi diceva che il matrimonio si può
sciogliere per l’adulterio dell’altro coniuge.
La richiesta nasceva dalla preoccupazione di non creare divisioni nelle isole
greche soggette alla Serenissima , dove molti cristiani seguivano i riti
orientali pur essendo guidati da vescovi latini. Il significato di questo
canone, nella sua formulazione finale, tuttavia non ammette alcun dubbio. Esso
costituisce una definizione dogmatica dell’indissolubilità del matrimonio.
In quel momento il nemico da combattere erano i protestanti e non i greci e
il Concilio anatemizza le affermazioni dei protestanti che negavano
l’indissolubilità intrinseca del matrimonio. Il fatto che non si condannasse
esplicitamente la prassi degli orientali non significava in alcun modo
un’accettazione del loro divorzio. Il canone tridentino, benché direttamente
anatemizzasse solo i protestanti, perché accusavano la Chiesa di errare,
condannava indirettamente anche coloro che vi opponevano sul piano del
comportamento.
A Trento, inoltre, i Padri conciliari mostravano di credere che i greci
dissolvessero il matrimonio solo in caso di adulterio, mentre da oltre un secolo
la pratica del divorzio andava dilagando. Già prima della caduta di
Costantinopoli (1453) il Sinodo patriarcale concedeva il divorzio per cause come
le seguenti: 1) seria malattia di una delle due parti; 2) completa
incompatibilità di carattere: 3) diserzione di una delle parti per un periodo di
tre anni, o anche meno; 4) delitto da parte di uno dei coniugi seguito da
sentenza comportante notevole disonore; 5) mutuo consenso in casi speciali
approvati dal Patriarca per ragioni di cui egli si dichiarava l’unico
giudice.
Il matrimonio aveva dunque perduto il carattere di indissolubilità e si
poteva sciogliere a volontà, come ancora oggi accade. Gran parte dei casi
praticati dai greci cadevano poi direttamente sotto l’anatema del canone 5 del
Concilio di Trento, che stabilisce: «Se qualcuno dirà che il vincolo
matrimoniale può essere sciolto per eresia, per incompatibilità di carattere o
per l’assenza intenzionale da parte di un coniuge, sia anatema». Gli altri
casi vi cadevano indirettamente.
Va ricordato infine che se prima della promulgazione del decreto tridentino
la prassi greca poteva essere scusata, dopo il Concilio fu considerata grave
colpa, condannata da numerosi pronunciamenti della Chiesa. Nel 1593 papa
Clemente VIII (1592-1605) emanò un’istruzione sui riti degli italo-greci in cui
stabilisce espressamente che i vescovi non dovevano, per nessun motivo,
tollerare il divorzio e che se qualcuno era stato approvato doveva essere
dichiarato nullo e invalido.
Urbano VIII (1623-1644) compilò una professione di fede da imporsi ai membri
della chiesa greca scismatica che venivano ricevuti nella Chiesa cattolica.
Questo documento contiene una dichiarazione che, sebbene l’adulterio possa
giustificare una separazione, non rende assolutamente lecito contrarre un nuovo
matrimonio. Benedetto XIV (1740-1758), nella sua istruzione per gli italo-greci
(1742), ripete, parola per parola, il decreto di Clemente VIII. Di fronte alla
rilassatezza di costumi che si andava diffondendo in materia matrimoniale tra i
polacchi, lo stesso Benedetto XIV, con il decreto Dei miseratione del 3
novembre 1741 ordinò che in ogni diocesi venisse nominato un defensor
vinculi, il cui compito doveva essere quello di impugnare ogni mozione per
decreto di nullità; e in caso che il decreto venisse accordato, di fare appello
ad un tribunale superiore.
Il principio della doppia sentenza conforme, consacrato dal Codice di Diritto
canonico del 1917, è stato recepito nella codificazione promulgata da Giovanni
Paolo II con la costituzione apostolica Sacrae Disciplinae Leges del 25
gennaio 1983, ma oggi viene messo in discussione dal partito kasperiano.
L’articolista della “Civiltà Cattolica” mostra di ignorare come proprio
all’interno della Compagnia di Gesù, canonisti come i padri Franz Xaver Wernz
(1842-1914) e Pedro Vidal (1867-1938) e teologi come il padre Giovanni Perrone
(1794-1876), hanno già affrontato il problema che egli ritiene inedito,
dimostrando come le nozze more graeco ricadano sotto la condanna della
Chiesa. Il padre Perrone, uno dei più illustri esponenti della scuola teologica
romana nel XIX secolo, trattando “de Graecorum more ac praxi” nella sua
opera fondamentale sul matrimonio, spiega come l’errore dei greci proviene dalla
prassi e non dalla dottrina, ma non è per questo meno grave e il Concilio
Tridentino in nessun modo tollera o può tollerare (nullo modo tolerat imo
nec tolerare potest) una prassi contraria alla dottrina della Chiesa
(De matrimonio cristiano, Dessain, Leodii 1861, vol. III, pp.
359-361).
La posizione di chi nega l’indissolubilità del matrimonio è formalmente
eretica. La posizione di chi pur accettando in tesi l’indissolubilità del
matrimonio la ammette nella prassi viene definita dal padre Perrone
“prossima all’eresia”. Tale è la censura che secondo i teologi e i
canonisti più sicuri cade sulla posizione del cardinale Kasper e di coloro che
la condividono.
Bisogna ridurre Kasper allo stato laicale.
RispondiEliminaMa tanto kasper diffonde miasmi immondi poiché è stato tra quelli che ha messo un papa fasullo proprio per non essere soggetto a censure canoniche.
Stessa cosa i vari Marx ed eretici italioti che oramai spernacchiano e fan de cul trombetta impunemente.
Lo dimonio è libero ormai ,la vera Chiesa è nascosta in luogo sicuro,pare che il tutto durerà 3 anni e mezzo.
Forte il De Mattei.... per non scrivere "Bergoglio" scrive "coloro che la condividono".... è già è proprio una lince De Mattei....
RispondiEliminaUn altro che per svegliarsi aspetta la catastrofe.
De Mattei è uno della prima linea della Tradizione e come al solito si ritrova in ritardo e del tutto spiazzato.
EliminaL'attacco alla bestia è cominciato da parte di Socci il quale non mi pare che straveda per la Messa Antica,è seguace dei messaggini di medjugore ,è di C.L. che di solito quando partono quelli di C.L. per le crociate si fermano andosemagnabene.
Come molti dei summorum che che non riescono a staccare la mammella da mamma C.E.I. anelando briciole da un potere che ,allo stato e grazie a Dio, è nullo.
Come sempre eccezionale
RispondiEliminaIl problema è che Pani stiracchia le norme del Decreto Tametsi...i padri conciliari a trento difesero la santità del matrimonio, non condannarono i preti orientali per lo stesso motivo per cui non condannarono Lutero, era inutile per cui si astennero. Non quindi per i motivi capziosoi addotti dal Pani. Capisco che Francesco abbia detto di remare ma se remano male finiranno sugli scogli e naufragherannocome ai tempi di Clemente XIV... Tutto dipende dal favore di un papa e quando il loro papa non ci sarà più a proteggerli temo per loro tempi amarissimi e tristi.Stiano attenti
RispondiEliminaL'articolo di De Mattei è argomentato sulla base di affermazioni solenni della Chiesa. Nessun Pani può contestarne l'alto valore.
RispondiEliminaMi sembra che al momento regni la confusione più sovrana....speriamo bene...
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