statua di san Michele nella grotta del Santuario nel Gargano |
San Michele Arcangelo, il comandante delle milizie celesti,
il capo delle schiere angeliche fedeli a Dio Onnipotente, il vincitore della
battaglia primordiale contro Lucifero e i suoi seguaci, raccontata nel capitolo
XII dell'Apocalisse, è sempre stato molto
venerato dal popolo cristiano, sia in Oriente
che in Occidente.
Nel Messale Romano il suo nome è citato due volte nel
Confiteor e nel rito di benedizione dell'incenso, mentre, in tempi più recenti,
Papa Leone XIII inserì, dopo aver avuto una spaventosa visione, una speciale
preghiera a San Michele dopo l'Ultimo Vangelo della S. Messa.
Presso Roma, al settimo miglio della via Salaria, sorse
probabilmente la prima basilica, oggi scomparsa, a Lui dedicata.
La sua costante protezione sulla Chiesa venne inoltre
esercitata anche attraverso alcune apparizioni, risalenti principalmente al
primo millennio della Cristianità. Le più importanti, fra queste manifestazioni
straordinarie, avvennero certamente sul Gargano, in Puglia, nel periodo che
andò dal 490 al 493 quando, secondo la Tradizione, egli richiese di essere
onorato all'interno di una grotta ipogea dove venne poi ritrovato un altare non
consacrato da mani umane.
Un'altra famosa apparizione dell'Arcangelo risale all'epoca
del pontificato di San Gregorio Magno
(590 - 604). In tale occasione il grande Papa, mentre infuriava una pestilenza,
vide il Princeps Militiae Celestis sul tetto del mausoleo
dell'imperatore Adriano, nell'atto di rinfoderare la sua spada fiammeggiante.
L'evento fu interpretato come il segno di una speciale
protezione e, difatti, il contagio prontamente rientrò Da quel momento quindi
il mausoleo fu rinominato, e così viene indicato ancor oggi, Castel S. Angelo.
In questa rapidissima panoramica sulle manifestazioni
soprannaturali di San Michele non possiamo però dimenticare anche
l'apparizione, risalente al 709, al Vescovo di Avranches Sant'Auberto. Tale
episodio è all'origine del notissimo santuario di Mont Saint Michel in
Normandia. La Tradizione racconta che l'Arcangelo avrebbe richiesto la
costruzione di una chiesa, a lui dedicata, sulla piccola isola nel Canale della
Manica. Ma il presule ignorò, per ben tre volte, il desiderio espresso e il
comandante delle milizie divine, allo scopo di mostrare la sua potenza, gli
bruciò il cranio toccandolo con un dito, e producendo un foro circolare che
tuttavia lasciò in vita l'ecclesiastico. Ancor oggi il capo forato di S.
Auberto è conservato, in un reliquiario, all'interno del santuario
normanno.
LE ORIGINI DELLA SACRA
Sappiamo con certezza che già i Longobardi, convertitisi al
Cristianesimo grazie alla loro regina Teodolinda (570 - 627), nutrivano una
grandissima venerazione verso San Michele. Essi anzi attribuivano direttamente
una loro vittoria militare dell'anno 662, contro l'imperatore bizantino
Costante II, ad un suo intervento diretto sul campo di battaglia al fianco del
re Grimoaldo.
Il culto micaelico si diffuse dunque con grande rapidità
nell'Italia settentrionale e qualche storico sostiene che forse la prima cappella
dedicata all'Arcangelo sul monte Pirchiriano, che si trova all'imbocco della
Val di Susa, potrebbe risalire proprio all'età longobarda. Non esistono però,
in proposito, nè documenti scritti, nè testimonianze archeologiche precise.
Tutte le cronache giunte fino a noi, seppur frammentarie
come per la maggior parte degli eventi così lontani nel tempo, fanno invece
risalire la fondazione della Sacra agli ultimi anni del X secolo, in un lasso
di tempo che va dal 966 al 983 circa.
Una fonte, riferita da un monaco Guglielmo che scrisse
intorno al 1090, fa direttamente riferimento alla figura di San Giovanni
Vincenzo (955 - 1000). Quest'uomo di Dio pare fosse stato in precedenza
Arcivescovo di Ravenna per poi ritirarsi a vita eremitica sulle montagne della
Val di Susa. La tradizione riporta che egli avrebbe desiderato costruire una
cappella in onore dell'Arcangelo sul Monte Caprasio, vetta posta nel versante
opposto della valle.
I materiali raccolti però in vista dell'edificazione furono
traslati miracolosamente sul Monte Pirchiriano ed il Santo Vescovo comprese
così che quella doveva essere, per volontà celeste, la collocazione del santuario più gradita a
Dio.
Un'altra narrazione, riferita nella "Chronica Coenobii
Sancti Michelis de Clusa" riferisce dell'arrivo del Vescovo di Torino Amizzone
che trovò, come nel santuario garganico, un'altare dedicato all'Arcangelo già
consacrato.
Ad ogni modo gli eremiti iniziarono a costruire un piccolo
monastero e, fra gli architetti coinvolti, pare ci sia stato anche il celebre
San Guglielmo da Volpiano (962 - 1031).
Prima furono edificate tre cappelle, che oggi fungono da
cripta. La grande chiesa abaziale invece, per innalzare la quale fu necessario
erigere un poderoso basamento in pietra alto ventisei metri, iniziò a svilupparsi
intorno alla metà del XII secolo.
Nei decenni successivi sorse poi un convento più grande, di
cui oggi restano soltanto le imponenti rovine, che poteva ospitare varie decine
di religiosi. Nacquero così anche la foresteria, il solenne scalone romanico
che consentiva di salire sul basamento, officine e laboratori.
Da quest'epoca, fino al XVII secolo, si sviluppò altresì una
specifica Congregazione Benedettina autonoma, non soggetta all'autorità dei
vescovi del luogo, e sciolta, su richiesta dei duchi di Savoia, con una bolla
di Papa Gregorio XV nel 1622.
Nel periodo successivo, e fino al 1836, l'amministrazione
del santuario passò ai Canonici della Collegiata di Giaveno, una cittadina poco
lontana, nella limitrofa Val Sangone.
IL SALTO DELLA BELL'ALDA
Un'altro evento assai significativo, sebbene oggi
considerato quasi unanimemente leggendario, ci è stato tramandato dallo storico
piemontese P. Gallizia che ne parlò per primo nel 1699, sostenendo di aver
udito il racconto da alcuni vecchi che avevano vissuto all'epoca dei
fatti.
Una giovinetta, di nome Alda, si era recata a pregare nella
chiesa abaziale ma, all'uscita dal tempio, venne improvvisamente aggredita da
alcuni soldati nemici che infestavano la zona. Ella, spaventata per quanto avrebbe
potuto capitarle, si mise a correre lungo il muraglione di cinta e, giunta
sulla torre angolare del medesimo, piuttosto di cedere alle angherie dei suoi
aggressori, preferì gettarsi nel vuoto nel dirupo sottostante. Gli angeli le
vennero però in aiuto, sostenendola miracolosamente durante la caduta e
posandola dolcemente su un prato in fondo alla valle.
Purtroppo la ragazza non seppe tuttavia far tesoro del
favore celeste che aveva ottenuto. Ella si innorgoglì e pensò di poter ordinare
agli Angeli, a suo piacimento, di soccorrerla anche in futuro.
Così, qualche giorno dopo, Alda radunò sul monte le sue
amiche e gli abitanti del villaggio dove abitava. Davanti a tutti, per una
civettuola scommessa, risalì sulla torre e si gettò nuovamente nel precipizio.
Questa volta però nessuno venne a salvarla e la giovane, che
si era insuperbita, si schiantò rovinosamente sulle rocce morendo sul colpo.
Non bisogna tentare Dio, ci insegna del resto la sana Dottrina, e la Chiesa,
quando si è trovata a dover giudicare sulla veridicità dei miracoli, ha sempre
accertato che essi avessero una funzione salvifica e non puramente
spettacolare.
LE VICENDE PIÙ RECENTI
Anche il nostro augusto monastero, come tanti altri luoghi
sacri, dovette subire purtroppo la chiusura e pesanti danni ad opera delle
truppe napoleoniche che invasero il Piemonte nel 1798. L'istituzione, sebbene notevolmente
impoverita, fu comunque ripristinata nel 1817 ma solo nel 1836, per effetto di
un Breve di Papa Gregorio XVI, e grazie all'interessamento di Re Carlo Alberto
(1798 - 1849), l'intera struttura fu assegnata alla Congregazione della Carità
fondata da Antonio Rosmini (1797 - 1855). L'abazia passò inoltre sotto la
giurisdizione dei Vescovi di Susa.
Si ebbe così una notevole rifioritura del convento. La
chiesa venne nuovamente officiata con regolarità e il Re Carlo Alberto, che
teneva molto al rilancio dell'insigne monumento, fece trasportare alla sacra le
salme di ventiquattro suoi antenati, affidandone ufficialmente la custodia ai
padri rosminiani.
Questi ultimi, che giunsero ad essere fino a quattordici,
riuscirono a restare stabilmente nel monastero anche dopo le famigerate leggi
del 1867 che prevedevano l'incameramento, da parte dello Stato, di tutti i beni
ecclesiastici.
Oggi però, a seguito della crisi vocazionale che ha colpito
quasi tutti gli ordini religiosi dopo il Concilio Vaticano II, i padri
permanentemente presenti alla Sacra sono solo tre. L'antico santuario, a
seguito comunque anche della legge regionale n. 64/1994, è stato ufficialmente
proclamato "Monumento simbolo del Piemonte" e, grazie anche a questo
riconoscimento, ha potuto beneficiare di numerosi approfonditi restauri. Esso
domina l'imbocco della Val di Susa è lo si scorge anche da lontano sulla vetta
del monte Pirchiriano (m. 960 slm). Nell'ammirarne l'arditezza e l'imponenza
della costruzione non si può che restarne stupefatti: certo quei monaci
architetti erano davvero abili ed animati da una grande Fede.
La Sacra di S. Michele è visitata ogni anno da numerosi turisti
ma ben pochi purtroppo, oltre ad ammirare il panorama o scattare fotografie
alle principali opere artistiche, salgono le pendici del monte Pirchiriano con
lo spirito dei pellegrini devoti al Principe delle Milizie Celesti.
I tempi sono dunque davvero cambiati e l'architettura delle
chiese contemporanee, ben diversa dalla solennità di questo complesso, ne è una eloquente testimonianza.
Marco BONGI
articolo pubblicato sul periodico "Il
Cedro", bollettino informativo del Priorato "San Carlo Borromeo"
di Montalenghe della FSSPX (n. 2 / 2014)