di Cristina Siccardi
Le ragioni della profonda crisi della Fede e della Chiesa, che con costernazione
molti cattolici osservano e vivono oggi, sono quelle individuate con logica e
realismo da san Pio X, il grande Pontefice riformatore e restauratore che guidò
la Chiesa nel primo Novecento fino allo scoppio della prima Guerra mondiale. Il
centenario del suo dies natalis, 20 agosto 1914 – 20 agosto 2014, viene
così a cadere in un tempo in cui l’obiettivo del suo Magistero, Instaurare
omnia in Christo, diventa di sorprendente attualità: come allora Papa
Sarto, di fronte agli assalti secolarizzanti del liberalismo e del modernismo,
vide come unico rimedio la necessità di ricapitolare ogni cosa in Cristo, così
oggi le parole di San Paolo diventano insegnamento di urgente attuazione per
difendere la Chiesa da quei mali fotografati, esaminati e analizzati
nell’enciclica Pascendi Dominici Gregis che San Pio X scrisse nel 1907
e che resta, nel Magistero petrino, uno dei documenti più importanti e più
celebri di tutti i tempi.
San Pio X avviò un piano santamente ambizioso e di riforma generale poiché
non solo le forze nemiche, liberali e massoniche, minacciavano la Chiesa, e i
semi avvelenati del liberalismo e del modernismo (termine presente per la prima
volta nella Pascendi) avevano ormai attecchito con successo in alcuni
ambienti “cattolici”, sia nel clero, sia fra i laici; ma si era andato formando,
in particolare sotto il Pontificato di Leone XIII, un clima di stanchezza e di
apatia nei Seminari, nelle parrocchie e persino nelle celebrazioni delle Santa
Messe, dove erano entrati addirittura canti profani, bande musicali, arie di
opere liriche… fra le azioni di Papa Sarto ci fu anche la Riforma della musica
sacra: avvalendosi della consulenza di un eccellente esperto e compositore come
Lorenzo Perosi (1872-1956), diede al canto gregoriano la preminenza assoluta
nella Liturgia.
Il Modernismo, definito nella Pascendi, «sintesi di tutte le
eresie», tentava di coniugare Vangelo e positivismo, Chiesa e mondo, filosofia
moderna e teologia cattolica; esso aveva visto i suoi albori in Francia, dove si
era consumata la Rivoluzione che aveva abolito il diritto divino, incoronando la
«dea ragione». Il motto «liberté, egalité, fraternité», che aveva
prodotto il testo giuridico della Déclaration des Droits de l’Homme et du
Citoyen (26 agosto 1789), divenne, lungo i decenni, il lite motive
di molti pensatori cristiani che decisero di inchinarsi al mondo, senza più
condannare gli errori e senza più preservare l’integrità della dottrina della
Fede. Fu proprio contro questa mentalità che San Pio X decise di combattere al
fine di tutelare gli interessi di Dio e della Sposa di Cristo.
Profonda Fede, amore immenso per la Chiesa, grande umiltà e grande
sensibilità. Uomo dalle poche parole e dai molti fatti, era sempre teso a
compiere la volontà di Dio, anche quando, chiamato ad alte mansioni, sentiva
tutto il peso gravoso delle responsabilità; ma una volta accolto l’impegno, la
sua preoccupazione era quella di rispettare e far rispettare leggi e principi
divini, senza distrazioni verso il rispetto umano e il consenso delle opinioni
del mondo. Non cercò mai i riflettori, ma soltanto la difesa dei diritti del
Creatore e la salvezza delle anime.
Dal campanile di Riese, dove nacque il 2 giugno 1935, passò a quelli di
Salzano e di Treviso per poi arrivare a quello di San Marco a Venezia e
approdare a quello di San Pietro a Roma, tuttavia rimase sempre identico a se
stesso: libero da ogni passione terrena, continuò a voler vivere in povertà,
come lasciò scritto nel suo Testamento: «Nato povero, vissuto povero e sicuro di
morir poverissimo». Povertà per sé, ma non per Dio: non lesinava mai corredi e
paramenti nella Sacra Liturgia.
San Pio X si caratterizza per la sua formazione tomista, per il suo sano e
disincantato realismo, per la sua tangibile pastoralità (vicina ai reali e non
demagogici problemi), per il suo attaccamento alla Fede e non all’ideologia, per
il suo tenere le distanze dalla politica; ma proprio per questo suo
atteggiamento di pastore-missionario fu sempre stimato e rispettato in vita.
Questo Pontefice, seppure con discrezione ed umiltà, come era di sua natura, è
diventato interprete determinato e determinate della Chiesa militante e
continua, senza rumore, ma nel proficuo e fertile silenzio di Dio, a fare
scuola.
Diede vita ad un’immensa opera di restaurazione con l’obiettivo di
Instaurare omnia in Christo, come ebbe a scrivere nella sua enciclica
programmatica E Supremi Apostolatus del 4 ottobre 1903:
«Le ragioni di Dio sono le ragioni Nostre; è stabilito che ad esse
saranno votate tutte le Nostre forze e la vita stessa. Perciò se qualcuno
chiederà quale motto sia l’espressione della Nostra volontà, risponderemo che
esso sarà sempre uno solo: “Rinnovare tutte le cose in Cristo».
Agì su due fronti: da un lato riformò e dall’altro condannò.
Riformare per restaurare. Dirà lo spagnolo Cardinale Rafael Merry del Val,
non solo Segretario di Stato di San Pio X, ma suo braccio destro, suo
confidente, suo amico d’anima:
«La riforma della curia romana, la fondazione dell’istituto Biblico,
l’erezione dei seminari centrali e la legislazione per una migliore formazione
del clero, la nuova disciplina per la prima – per la frequente – comunione, la
restaurazione della musica sacra, il suo poderoso atteggiamento contro i fatali
errori del cosiddetto modernismo e la sua energica difesa della libertà della
Chiesa in Francia, in Germania, in Portogallo, in Russia e altrove – per non
parlare di molti atri atti di governo – basterebbero indubbiamente per additare
Pio X come un grande pontefice e un eccezionale condottiero di uomini. Posso
attestare che tutto questo enorme lavoro fu dovuto principalmente, e spesso
elusivamente, al suo progetto e alla sua iniziativa personale. La storia non si
limiterà a proclamarlo semplicemente un papa la cui “bontà” nessuno sarebbe
capace di mettere in questione».
Quel suo passato da cappellano a Tombolo (1858-1867); da parroco a Salzano
(1867-1875); da canonico, da Direttore di Seminario, da cancelliere, da Vicario
capitolare a Treviso (1875-1884); da Vescovo di Mantova (1884-1893); da
Cardinale e Patriarca di Venezia (1893-1903), fu basilare per il gigantesco
piano riformatore che mise in moto durante il suo Pontificato, che durò 11 anni,
dal 1903 al 1914.
Quando Giuseppe Sarto divenne sacerdote (18 settembre 1858), si dedicò subito
e con particolare attenzione all’istruzione catechistica, considerando
l’ignoranza religiosa il primo grave problema che un ministro di Dio deve
affrontare. «Frequentare la Messa», diceva, «e ignorare le verità
della fede sono cose che si elidono a vicenda, perché non è possibile accettare
verità che non si conoscono». Diede così vita al Catechismo
Maggiore (1905) e al Catechismo della dottrina cristiana (1912),
maggiormente divulgato.
Diede anche avvio alla formulazione di un Codice di Diritto canonico, il
Codex iuris canonici, mai esistito nella Chiesa. Era un’esigenza viva e
sentita da Vescovi e canonisti. E finalmente volle dare rimedio al caos delle
norme, alla poca chiarezza di molte di esse, alla contraddittorietà delle une e
delle altre che andavano spesso a elidersi a vicenda e alla difficoltà del
reperimento di fonti certe, tanto che molte erano persino sconosciute a chi
avrebbe dovuto servirsene.
Il Codex, dove sono presenti spirito di Fede, intransigenza sui
principi e profonda pietà, è risultato essere un grande strumento di utilità
pastorale, sovvenendo così alle nuove ed inedite necessità organizzative e
funzionali che si sono presentate alla Chiesa del XX secolo e, allo stesso
tempo, si inserisce a pieno titolo nel programma di restaurazione cattolica che
caratterizza il Pontificato di San Pio X.
L’Eucaristia fu un asse portante della dottrina pastorale di Giuseppe Sarto.
Già Patriarca egli raccomandava vivamente la Santa Messa quotidiana. Il decreto
Sacra Tridentina Synodus (1905) verte sulla comunione frequente, mentre
il decreto Quam singulari (1910) sull’anticipazione «all’età dell’uso
della ragione» (7 anni) della prima comunione. Atti molto innovativi, che
mettevano al centro della vita di ogni fedele, come della stessa Chiesa, Gesù
Eucaristico. La ragione per cui volle anticipare la prima comunione era per
rispondere all’esigenza di preservare il più possibile l’innocenza nei bambini,
quell’innocenza che oggi la civiltà laica e senza Cristo fa di tutto per violare
ed infrangere.
Né si può tralasciare la sua ampia azione di denuncia contro le leggi
anticristiane della Francia. Ricordiamo, in particolare, la Lettera
all’episcopato francese Notre charge apostolique (1910), contro la
concezione secolarizzata della democrazia.
Uomo di profonda e riflessiva intelligenza, non aveva difficoltà alcuna a
parlare con tutti, ad ascoltare tutti, ad avere un atteggiamento di carità
concreta (i suoi agiografi ne hanno registrato l’immensa portata, oltre che
descrivere grazie e miracoli ottenuti per sua intercessione e ancora in vita) e
intellettuale con ogni individuo: traboccante di umiltà, non fu mai né altero,
né superbo, neppure quando venne avviato il piano repressivo nei confronti dei
modernisti; il suo cuore rimase sempre generosamente evangelico, seppure
fieramente dalla parte di Cristo. Spirito né settario, né fanatico, egli fu
realmente cattolico e la sua intransigenza in materia di Fede non si trasformò
mai in zelo amaro. Rimase sempre padre misericordioso e curato d’anime.
Sapienza e fecondità sono presenti nelle sue sedici encicliche, documenti
sentiti, partecipati, vissuti e supportati da una Fede adamantina che esige di
essere applicata. In esse si coglie la gioia della Buona Novella dell’uomo di
Dio che dai tetti annuncia la rivelazione del Salvatore a tutte le genti e
trasmette un unico insegnamento, quello di Gesù Cristo, a dispetto di chi
vorrebbe silenziarlo, oppure profanarlo, oppure cambiarne il significato a
proprio piacimento.
Fonte: "Corrispondenza Romana"
Fonte: "Corrispondenza Romana"
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