Connubio tra potere e diritto
La
disputa tra Lotario II e Niccolò I sul matrimonio.
Una
casistica tratta dalla storia
del Cardinale Walter Brandmüller
Sommario: 1. Premessa. 2. La
vicenda. 3. Lo scenario giuridico. 4. Imparare dalla storia. 5. Conclusione.
1.
Premessa – La caduta dell’impero di Carlo Magno in Occidente
e lo scisma da Roma del patriarca Fozio di Costantinopoli caratterizzano il
contesto politico-ecclesiale nel quale s’inserisce la disputa che, tra l’855 e
l’869, ha scosso il regno e la Chiesa e, addirittura, ha portato l’imperatore
Ludovico a invadere Roma con il suo esercito.
Questa
disputa sul matrimonio ha lascito tracce così profonde nella consapevolezza dei
contemporanei che, ad oggi, sia le fonti, sia le ricerche sul regno di quel re
franco sono interamente sotto il segno del suo confronto con l’influente
arcivescovo Incmaro di Reims e, soprattutto, con Niccolò I.
Nella
persona di quel papa, il re dei franchi incontrò un uomo di straordinaria
grandezza spirituale e caratteriale. Perfino l’esponente della storiografia
pontificia nazional-liberale protestante Ferdinand Gregorovius scrisse a tale
riguardo: «Questa tragedia – la disgrazia di una regina e la trionfante
insolenza di una concubina reale – ha agitato paesi e popoli, Stato e Chiesa, e
ha dato al papa l’occasione di salire su una vetta, sulla quale era avvolto da
uno splendore più grande di quello che potevano fornirgli i dogmi teologici.
L’atteggiamento di Niccolò I dinanzi a questo scandalo reale fu fermo e grande,
l’autorità sacerdotale appariva in lui come un potere morale che salvava la
virtù e puniva i peccati … in un tempo barbaro …».
2.
La vicenda – Bisogna dunque domandare anzitutto che
cosa era accaduto. Prima di assumere il potere nell’anno 855, Lotario II aveva
vissuto in un rapporto detto Friedelehe
– il termine sarà spiegato in seguito – con una tale Gualdrada (o Waldrada),
proveniente da una famiglia aristocratica ignota. Tuttavia, una volta diventato
re, contrasse matrimonio formale con la sorella del margravio Uberto del
Vallese, che deteneva il controllo su una regione dell’attuale Svizzera ed era
anche abate titolare di St. Maurice d’Agaune. Questa regina si chiamava
Teutberga (o Teoberga). Due anni dopo, Lotario si separò da lei e ritornò da
Gualdrada, dalla quale probabilmente ebbe un figlio di nome Ugo. Per
giustificare il proprio comportamento, accusò Teutberga di rapporti incestuosi
con il fratello. Ciò suscitò l’opposizione degli ambienti aristocratici. Per
dimostrare la sua innocenza, Teutberga non esitò a sottoporsi al giudizio di
Dio, come si usava fare all’epoca.
Nel
suo caso, l’ordalia consistette
nell’estrarre un oggetto da un paiolo pieno di acqua caldissima (il cosiddetto Kesselfang). Poiché – e fu questo il
segno della sua innocenza – le ustioni della persona che si sottopose alla
prova in sua vece guarirono senza problema alcuno, ella uscì innocente dal
giudizio divino. Lotario, pertanto, pressato dalla sua aristocrazia, riaccolse
Teutberga, senza però proseguire la comunione matrimoniale, e la tenne sotto
rigorosa custodia. Il processo si era svolto dinanzi a un tribunale composto da
nobili lotaringi.
Lotario
non accettò affatto l’esito, contestò l’ordalia e trascinò la questione davanti
ad un sinodo, che si tenne nel gennaio dell’860 ad Aquisgrana. Dinanzi a questo
sinodo, Lotario raccontò con voce mesta che la moglie aveva intenzione di
entrare in convento, ritenendosi indegna del matrimonio con lui. Il motivo
addotto per questa decisione fu che il re era venuto a conoscenza del fatto
che, prima del matrimonio, Teutberga aveva commesso incesto con suo fratello
Uberto. La stessa donna lo aveva confessato ai vescovi, i quali pertanto
avevano proibito a Lotario di proseguire il matrimonio.
Durante
il sinodo che si svolse ad Aquisgrana nel febbraio seguente con un numero anche
maggiore di partecipanti, Teutberga ripeté la sua confessione, per cui fu
condannata alla penitenza pubblica e mandata in un convento. Ma in tutto ciò
non venne espresso alcun giudizio sulla validità stessa del matrimonio. Che
quella confessione potesse corrispondere alla realtà appare, di fatto,
abbastanza dubbio. Piuttosto, si deve presumere che fu fatta sotto una notevole
pressione da parte di Lotario. I contemporanei, perlomeno, ne erano convinti.
Teutberga,
intanto, riuscì a fuggire ed a raggiungere il fratello Uberto, il quale si era
recato da Carlo il Calvo nel Regno dei Franchi occidentali per chiedere
protezione e sostegno.
A
questo punto intervenne Incmaro, figura dominante della Chiesa franca nella
seconda metà del IX secolo. Dall’845 arcivescovo molto influente di Reims,
grazie all’attività legislativa e politica, e soprattutto la zelante opera
pastorale, si era assicurato un ruolo di guida tra l’episcopato franco.
L’occasione per intervenire nella questione matrimoniale di Lotario gliela
fornirono i vescovi lotaringi e i nobili del Regno, presentandogli una serie di
domande a riguardo, alle quali Incmaro rispose con lo scritto De divortio Lotharii et Teutbergae.
Questa ricca opera, la cui edizione critica è apparsa per la prima volta nel
1990, è indirizzata ai re della stirpe carolingia, agli altri vescovi ed a
tutti i fedeli, ed è stata emanata a nome dei vescovi suffraganei della
provincia ecclesiastica di Reims. In essa, il dotto canonista spiega,
appoggiandosi alla Sacra Scrittura e ai suoi esegeti – i Padri – il diritto
canonico e anche civile. La sostanza delle sue spiegazioni è il concetto che
nessuno, fintanto che è in vita il legittimo consorte, può sposarsi di nuovo.
Così la disputa fu elevata a principio. Incmaro chiese dunque un processo
contro Lotario per adulterio e Teutberga si appellò al Papa.
Messo
così alle strette, alla fine di aprile dell’862, Lotario riunì un nuovo sinodo
ad Aquisgrana, ancora una volta costituito soltanto dai vescovi del suo dominio.
Questi acconsentirono di permettere al re un nuovo vincolo matrimoniale, poiché
quello con Teutberga era da considerarsi nullo a causa del già menzionato
rapporto incestuoso. A tal fine fecero riferimento alla proibizione dei
matrimoni incestuosi, sancita dal can. 30 del concilio di Epaone in Borgogna
(ca. 517). Ovviamente a torto, poiché Teutberga, sempre che avesse avuto un rapporto
incestuoso, certo non l’aveva avuto con Lotario.
Pare
che all’interno del sinodo ci sia stata un’opposizione vana contro questa
procedura più che discutibile. Di fatto, insieme ad essa è stata tramandata
anche una perizia che porta ad un giudizio opposto. Ad ogni modo, alla fine
dell’862 Lotario sposò ufficialmente Gualdrada e la fece incoronare regina.
Giunti
a questo punto, intervenne il papa dopo le molteplici richieste di aiuto che
Teutberga gli aveva rivolto. Convocò un sinodo a Metz nel giugno dell’863, da
svolgersi sotto la presidenza di legati pontifici, al quale invitò
espressamente soprattutto i vescovi della Franconia occidentale e di quella
orientale. La sua intenzione fu però vanificata, giacché di nuovo vi
parteciparono solo vescovi lotaringi. Le fonti che sono giunte fino a noi
comunque non consentono di tracciare un quadro chiaro degli eventi. Ad ogni
modo, ancora una volta la decisione fu favorevole a Lotario.
Con
questo risultato, i vescovi lotaringi Tilgaldo di Treviri e Guntero di Colonia
si recarono a Roma, certi di poter far valere, presentandosi direttamente al
papa, il loro punto di vista, ovvero quello di Lotario. Il fatto che Niccolò I
li fece aspettare tre settimane senza riceverli probabilmente smorzò un poco la
loro certezza di vittoria. Poi però il papa convocò un sinodo, dinanzi al quale
Tilgaldo e Guntero furono chiamati solo per ricevere la loro sentenza di
deposizione con scomunica. Le decisioni del sinodo di Metz, che Niccolò
paragonò a quello del famigerato brigantaggio di Efeso, furono cassate, e i
suoi partecipanti parimenti destituiti, offrendo loro però la possibilità di
chiedere la grazia, poiché considerati meramente conniventi. Alcune delle loro
lettere di scusa a Niccolò I sono giunte fino a noi.
Profondamente
indignati, gli arcivescovi si rifugiarono presso l’imperatore Ludovico II, che
stava soggiornando a Benevento, riuscendo a convincerlo a schierarsi a favore
di Lotario. Nel febbraio dell’864 entrò a Roma con il suo esercito.
Privo
di qualsiasi protezione militare, Niccolò I ordinò un digiuno e rogazioni per
implorare l’aiuto dal Cielo. Una di quelle processioni fu assalita dall’esercito
di Ludovico mentre si dirigeva verso San Pietro, i partecipanti furono
malmenati, le croci spezzate e le insegne strappate, ma soprattutto, una
reliquia della croce fu gettata nel fango. Dinanzi a questa aperta violenza, il
papa di nascosto si rifugiò presso la tomba di Pietro, dove trascorse due
giorni e due notti in preghiera, senza acqua né cibo.
Tra
i romani crebbe visibilmente l’indignazione per tutto ciò, e quando la persona
che aveva oltraggiato la reliquia della croce morì all’improvviso e Ludovico
stesso fu colto da febbre, l’imperatore fu pronto a mostrarsi conciliante.
Grazie alla mediazione dell’imperatrice Engelberga, ci fu un colloquio a
quattr’occhi tra il papa e l’imperatore, che a quel punto abbandonò i due
arcivescovi che lo avevano cacciato nell’impresa e accettò il giudizio del papa
su Lotario e il suo matrimonio. Tilgaldo e Guntero, ai quali ordinò di tornare
in Germania senza che fosse stata loro tolta la scomunica, prima di partire per
il Nord redassero una lettera di protesta contro Niccolò I, dal cui linguaggio
altezzoso emergeva che il loro obiettivo era la creazione di una Chiesa
nazionale indipendente da Roma. Guntero di Colonia incaricò suo fratello
chierico Ilduino di consegnare la lettera al papa o, nel caso questi avesse
rifiutato di riceverla, di deporla sulla confessio
di San Pietro.
Poiché
fu proprio questo ciò che avvenne, Ilduino, insieme a un gruppo di uomini
armati, si recò a San Pietro, dove i chierici della basilica cercarono di
impedire la loro impresa. Sfoderarono dunque le spade, ne stesero uno,
gettarono il libello sulla confessio
e fuggirono dalla basilica, aprendosi la via con le armi.
La
permanenza dell’imperatore a Roma fu accompagnata da assassini, incendi,
saccheggi e altre atrocità simili. Scrive il Gregorovius: «Tale tempesta non
piegò però la forza di papa Niccolò. Con la fermezza di un antico romano,
quello spirito fiero e inflessibile rimase in piedi. Minacciò con gli strali
della scomunica, e furono temuti come veri fulmini: i vescovi della Lotaringia
inviarono le loro dichiarazioni penitenti ... il suo legato, con una mano
condusse al re, che si ritraeva dinanzi allo strale della scomunica, la
consorte ripudiata e con l’altra gli levò l’amante». Così la questione fu
risolta, non di fatto e in modo definitivo, ma almeno di principio.
3.
Lo scenario giuridico – Dopo questa descrizione
sintetica degli eventi, ora verrà esaminato lo scenario nel quale si svolsero.
Per
farlo, occorre anzitutto osservare che il matrimonio tra Lotario II e Teutberga
era stato contratto per motivi del tutto politici. Il re si legava in tal mondo
con la casata nobiliare che, nell’ambito dei valichi alpini, controllava
importanti capisaldi. Poteva così sperare di migliorare la propria posizione di
partenza per un intervento nel territorio burgundo. Il fratello di Teutberga
era inoltre abate laico del convento di St. Maurice d’Agaune, che era situato
in una posizione strategica. L’altra speranza nutrita da Lotario, ovvero quella
di cacciare il fratello minore Carlo dalla Borgogna per salire sul trono, fu
però vanificata quando papa Benedetto III, l’anno dopo il matrimonio tra
Lotario e Teutberga, riuscì a risolvere in modo pacifico la lotta tra i due
fratelli.
Così
la ragione politica del matrimonio era diventata inconsistente. A ciò si
aggiungevano l’antipatia personale, e forse anche un conflitto profondamente
radicato, con la famiglia di Teutberga. Lotario tornò di nuovo da Gualdrada,
con la quale prima aveva vissuto in una Friedelehe,
dalla quale erano nati un figlio di nome Ugo e diverse figlie.
Si
pone perciò la domanda sulla qualità giuridica, e dunque anche sacramentale, di
questa prima unione. Se non si trattava di un matrimonio giuridicamente valido,
e quindi sacramentale, il matrimonio con Teutberga sarebbe stato impossibile
già in partenza. Ciò però può essere escluso, poiché Lotario ha davvero un
valido contratto di matrimonio con Teutberga.
Che
cos’era dunque la Friedelehe di
Lotario con Gualdrada?
La
letteratura della storia del diritto non offre un quadro chiaro ed univoco. Si
può però stabilire quanto segue: la Friedelehe
– da friedila, ovvero amante,
consorte – si realizzava attraverso il consenso tra uomo e donna, il Brautlauf (termine con cui si definivano
le usanze sponsali), ed il concubito. Con questa forma di comunione l’uomo non
otteneva la Munt, ovvero la potestà
coniugale sulla donna. Non veniva pagato un Muntschatz;
era dunque un matrimonio senza dote. La donna riceveva però la Morgengabe, un regalo prezioso offerto
la mattina dopo. In particolare la Friedelehe
veniva scelta – parliamo qui dell’ambito giuridico germanico – quando vi era
disparità di ceto, quando l’uomo entrava a far parte della famiglia della donna
attraverso il matrimonio o in caso di rapimento. Questo tipo di matrimonio esisteva
anche come matrimonio secondario. È dunque questo il tipo di rapporto nel quale
convivevano Lotario e Gualdrada.
Da
esso si distingueva in modo sostanziale la cosiddetta Muntehe, fondata su un contratto tra le due famiglie coinvolte,
ovvero tra lo sposo e il padre o il tutore della sposa. In tal caso lo sposo
riceveva la Munt della donna, ovvero
la tutela, e come contropartita pagava il Muntschatz,
cioè la dote, detto anche Wittum,
ossia controdote. La conclusione di tale contratto era seguita da una serie di
atti giuridici: la consegna solenne della ragazza, l’accompagnamento della
stessa nella casa dello sposo (il cosiddetto Brautlauf), ed il concubito. Attraverso questo tipo di matrimonio,
la donna assumeva la posizione di padrona della casa e la mattina dopo la prima
notte di nozze riceveva la Morgengabe.
Ecco
quel che vigeva nell’ambito giuridico franco-germanico. Ed era proprio questa
la situazione di fronte alla quale si trovò la Chiesa nel suo sforzo di far
valere l’esigenza di Cristo dell’unità e dell’indissolubilità del matrimonio.
La lotta della Chiesa per un incivilimento ed una cristianizzazione del
matrimonio non dovette ricominciare solo presso i Germani. Fu una lotta che –
per motivi che qui non verranno approfonditi – iniziò relativamente tardi. Solo
Bonifacio riuscì, con l’appoggio dei principi franchi Carlomanno e Pipino, a
far sì che la legge di Dio acquisisse valore universale. I numerosi sinodi per
la riforma, convocati da Bonifacio, offrirono un foro adatto a tal fine. A
partire da quel momento s’impose il principio formulato da Benedetto Levita: «Nullum
sine dote fiat coniugium nec sine publicis nuptiis quisquam nubere praesumat»
(nessun matrimonio dovrà essere contratto
senza dote, e nessuno deve osare sposarsi senza nozze pubbliche).
Sebbene
possa apparire che la Muntehe, ovvero
il matrimonio contrattuale, infine abbia prevalso, restano però molti dubbi se
per questo sia stata abbandonata la Friedelehe.
Paul Mikat vede in ciò un desiderata
urgente della ricerca, e Werner Ogris, nel manuale della storia del diritto
tedesco (Handwörterbuch zur deutschen Rechtsgeschichte), nonostante
tutta l’incertezza sui dettagli, sostiene che «l’esistenza, nell’ambito
germanico, di un matrimonio morganatico senza dote e senza potestà,
difficilmente può essere davvero messa in dubbio».
Intanto,
proprio sotto l’influenza della Chiesa, lo sviluppo andò in direzione del fatto
che «la Friedelehe si distinse
sempre più dalla Muntehe e quindi
finì necessariamente con l’avvicinarsi all’unione sessuale non coniugale».
Indicativo di ciò è l’utilizzo indistinto della parola concubina sia per la donna nella Friedelehe sia per la vera concubina.
Date
le circostanze era urgentemente necessario verificare, nel caso specifico di
Lotario, se prima di aver contratto matrimonio con Teutberga ne avesse
contratto uno secundum legem et ritum
(secondo la legge e il rito) con Gualdrada, come Niccolò chiese di fare
ai suoi legati. Egli insistette in modo particolare sulla dotazione e sulla
consacrazione del matrimonio: «Informaci al più presto se il re ha sposato
Gualdrada con la consegna del dono nuziale dinanzi a testimoni, secondo diritto
e costume, e se Gualdrada gli è stata data in matrimonio pubblicamente».
In
più, non disponiamo di nessuna fonte che testimoni che la Chiesa abbia mai
riconosciuto una Friedelehe come
matrimonio. Ciò trova riscontro anche nel fatto che non è stata sollevata
nessuna obiezione da parte della Chiesa quando Lotario, dopo essersi separato
da Gualdrada, ha contratto matrimonio con Teutberga.
Paul
Mikat conclude così la sua profonda analisi Dotierte
Ehe – rechte Ehe del 1984: «Lo sviluppo del diritto matrimoniale in
epoca franca merovingia e anche nei secoli seguenti mostra quanto fosse
difficile per la Chiesa far valere tra i germani la sua concezione del
matrimonio e il suo diritto matrimoniale. Nel processo di affermazione, un
particolare compito spettò al diritto sulla celebrazione del matrimonio, che
però la Chiesa affrontò solo tardivamente e con titubanza. Non disponeva di un
modello per la celebrazione del matrimonio ecclesiale e poteva accettare il
diritto vigente ogniqualvolta questo rappresentava una forma di matrimonio che
la Chiesa poteva riconoscere pienamente dal punto di vista teologico, ovvero
quando la forma del matrimonio corrispondeva ai principi dell’indissolubilità e
della comunità di vita monogama. Gli sviluppi avvenuti dalla metà dell’VIII
secolo confermano chiaramente il carattere funzionale che la Chiesa attribuiva
al diritto sulla celebrazione del matrimonio; essi dimostrano che l’influenza
della Chiesa sul diritto relativo alla celebrazione del matrimonio era
intimamente legata al suo sforzo per far valere la sua comprensione del
matrimonio».
...
...
la legge di Dio dice: non uccidere, non rubare, non divorziare ... eppure gli uomini uccidono, rubano, divorziano ... per loro non c'è possibilità di perdono? certo per essere perdonati bisogna riparare il danno compiuto per quello che è possibile. Ma se un coniuge che ha divorziato non può di fatto rimettersi insieme con il suo congiunto (per esempio quest'ultimo si è sposato civilmente e ha figli con il nuovo partner oppure questi non vuole rimettersi insieme .. e così via).... bisogna per questo impedirgli di risposarsi in chiesa?
RispondiEliminaChi si è sposato in chiesa si è impegnato solennemente, davanti a Dio, di compiere un atto che vale per tutta la vita. Quindi è lui stesso che ha escluso la possibilità di risposarsi in chiesa vivente il coniuge, al di là del fatto che non abbia rispettato l'impegno (il che sarebbe un'aggravante e non una scusante).
EliminaLa castità è richiesta a tutti. Quando si comincia con le deroghe si sa dove si va a finire. Non riesco a capire perché si voglia la benedizione della Chiesa per un concubinato. Ognuno fa le sue scelte e se ne assume le responsabilità.
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