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giovedì 5 giugno 2014

Cardinale Brandmüller: "Connubio tra potere e diritto. La disputa tra Lotario II e Niccolò I sul matrimonio. Una casistica tratta dalla storia"


Connubio tra potere e diritto
La disputa tra Lotario II e Niccolò I sul matrimonio.
Una casistica tratta dalla storia

del Cardinale Walter  Brandmüller
Sommario: 1. Premessa. 2. La vicenda. 3. Lo scenario giuridico. 4. Imparare dalla storia. 5. Conclusione.

1. Premessa – La caduta dell’impero di Carlo Magno in Occidente e lo scisma da Roma del patriarca Fozio di Costantinopoli caratterizzano il contesto politico-ecclesiale nel quale s’inserisce la disputa che, tra l’855 e l’869, ha scosso il regno e la Chiesa e, addirittura, ha portato l’imperatore Ludovico a invadere Roma con il suo esercito.
Questa disputa sul matrimonio ha lascito tracce così profonde nella consapevolezza dei contemporanei che, ad oggi, sia le fonti, sia le ricerche sul regno di quel re franco sono interamente sotto il segno del suo confronto con l’influente arcivescovo Incmaro di Reims e, soprattutto, con Niccolò I.
Nella persona di quel papa, il re dei franchi incontrò un uomo di straordinaria grandezza spirituale e caratteriale. Perfino l’esponente della storiografia pontificia nazional-liberale protestante Ferdinand Gregorovius scrisse a tale riguardo: «Questa tragedia – la disgrazia di una regina e la trionfante insolenza di una concubina reale – ha agitato paesi e popoli, Stato e Chiesa, e ha dato al papa l’occasione di salire su una vetta, sulla quale era avvolto da uno splendore più grande di quello che potevano fornirgli i dogmi teologici. L’atteggiamento di Niccolò I dinanzi a questo scandalo reale fu fermo e grande, l’autorità sacerdotale appariva in lui come un potere morale che salvava la virtù e puniva i peccati … in un tempo barbaro …».

2. La vicenda – Bisogna dunque domandare anzitutto che cosa era accaduto. Prima di assumere il potere nell’anno 855, Lotario II aveva vissuto in un rapporto detto Friedelehe – il termine sarà spiegato in seguito – con una tale Gualdrada (o Waldrada), proveniente da una famiglia aristocratica ignota. Tuttavia, una volta diventato re, contrasse matrimonio formale con la sorella del margravio Uberto del Vallese, che deteneva il controllo su una regione dell’attuale Svizzera ed era anche abate titolare di St. Maurice d’Agaune. Questa regina si chiamava Teutberga (o Teoberga). Due anni dopo, Lotario si separò da lei e ritornò da Gualdrada, dalla quale probabilmente ebbe un figlio di nome Ugo. Per giustificare il proprio comportamento, accusò Teutberga di rapporti incestuosi con il fratello. Ciò suscitò l’opposizione degli ambienti aristocratici. Per dimostrare la sua innocenza, Teutberga non esitò a sottoporsi al giudizio di Dio, come si usava fare all’epoca.
Nel suo caso, l’ordalia consistette nell’estrarre un oggetto da un paiolo pieno di acqua caldissima (il cosiddetto Kesselfang). Poiché – e fu questo il segno della sua innocenza – le ustioni della persona che si sottopose alla prova in sua vece guarirono senza problema alcuno, ella uscì innocente dal giudizio divino. Lotario, pertanto, pressato dalla sua aristocrazia, riaccolse Teutberga, senza però proseguire la comunione matrimoniale, e la tenne sotto rigorosa custodia. Il processo si era svolto dinanzi a un tribunale composto da nobili lotaringi.
Lotario non accettò affatto l’esito, contestò l’ordalia e trascinò la questione davanti ad un sinodo, che si tenne nel gennaio dell’860 ad Aquisgrana. Dinanzi a questo sinodo, Lotario raccontò con voce mesta che la moglie aveva intenzione di entrare in convento, ritenendosi indegna del matrimonio con lui. Il motivo addotto per questa decisione fu che il re era venuto a conoscenza del fatto che, prima del matrimonio, Teutberga aveva commesso incesto con suo fratello Uberto. La stessa donna lo aveva confessato ai vescovi, i quali pertanto avevano proibito a Lotario di proseguire il matrimonio.
Durante il sinodo che si svolse ad Aquisgrana nel febbraio seguente con un numero anche maggiore di partecipanti, Teutberga ripeté la sua confessione, per cui fu condannata alla penitenza pubblica e mandata in un convento. Ma in tutto ciò non venne espresso alcun giudizio sulla validità stessa del matrimonio. Che quella confessione potesse corrispondere alla realtà appare, di fatto, abbastanza dubbio. Piuttosto, si deve presumere che fu fatta sotto una notevole pressione da parte di Lotario. I contemporanei, perlomeno, ne erano convinti.
Teutberga, intanto, riuscì a fuggire ed a raggiungere il fratello Uberto, il quale si era recato da Carlo il Calvo nel Regno dei Franchi occidentali per chiedere protezione e sostegno.
A questo punto intervenne Incmaro, figura dominante della Chiesa franca nella seconda metà del IX secolo. Dall’845 arcivescovo molto influente di Reims, grazie all’attività legislativa e politica, e soprattutto la zelante opera pastorale, si era assicurato un ruolo di guida tra l’episcopato franco. L’occasione per intervenire nella questione matrimoniale di Lotario gliela fornirono i vescovi lotaringi e i nobili del Regno, presentandogli una serie di domande a riguardo, alle quali Incmaro rispose con lo scritto De divortio Lotharii et Teutbergae. Questa ricca opera, la cui edizione critica è apparsa per la prima volta nel 1990, è indirizzata ai re della stirpe carolingia, agli altri vescovi ed a tutti i fedeli, ed è stata emanata a nome dei vescovi suffraganei della provincia ecclesiastica di Reims. In essa, il dotto canonista spiega, appoggiandosi alla Sacra Scrittura e ai suoi esegeti – i Padri – il diritto canonico e anche civile. La sostanza delle sue spiegazioni è il concetto che nessuno, fintanto che è in vita il legittimo consorte, può sposarsi di nuovo. Così la disputa fu elevata a principio. Incmaro chiese dunque un processo contro Lotario per adulterio e Teutberga si appellò al Papa.
Messo così alle strette, alla fine di aprile dell’862, Lotario riunì un nuovo sinodo ad Aquisgrana, ancora una volta costituito soltanto dai vescovi del suo dominio. Questi acconsentirono di permettere al re un nuovo vincolo matrimoniale, poiché quello con Teutberga era da considerarsi nullo a causa del già menzionato rapporto incestuoso. A tal fine fecero riferimento alla proibizione dei matrimoni incestuosi, sancita dal can. 30 del concilio di Epaone in Borgogna (ca. 517). Ovviamente a torto, poiché Teutberga, sempre che avesse avuto un rapporto incestuoso, certo non l’aveva avuto con Lotario.
Pare che all’interno del sinodo ci sia stata un’opposizione vana contro questa procedura più che discutibile. Di fatto, insieme ad essa è stata tramandata anche una perizia che porta ad un giudizio opposto. Ad ogni modo, alla fine dell’862 Lotario sposò ufficialmente Gualdrada e la fece incoronare regina.
Giunti a questo punto, intervenne il papa dopo le molteplici richieste di aiuto che Teutberga gli aveva rivolto. Convocò un sinodo a Metz nel giugno dell’863, da svolgersi sotto la presidenza di legati pontifici, al quale invitò espressamente soprattutto i vescovi della Franconia occidentale e di quella orientale. La sua intenzione fu però vanificata, giacché di nuovo vi parteciparono solo vescovi lotaringi. Le fonti che sono giunte fino a noi comunque non consentono di tracciare un quadro chiaro degli eventi. Ad ogni modo, ancora una volta la decisione fu favorevole a Lotario.
Con questo risultato, i vescovi lotaringi Tilgaldo di Treviri e Guntero di Colonia si recarono a Roma, certi di poter far valere, presentandosi direttamente al papa, il loro punto di vista, ovvero quello di Lotario. Il fatto che Niccolò I li fece aspettare tre settimane senza riceverli probabilmente smorzò un poco la loro certezza di vittoria. Poi però il papa convocò un sinodo, dinanzi al quale Tilgaldo e Guntero furono chiamati solo per ricevere la loro sentenza di deposizione con scomunica. Le decisioni del sinodo di Metz, che Niccolò paragonò a quello del famigerato brigantaggio di Efeso, furono cassate, e i suoi partecipanti parimenti destituiti, offrendo loro però la possibilità di chiedere la grazia, poiché considerati meramente conniventi. Alcune delle loro lettere di scusa a Niccolò I sono giunte fino a noi.
Profondamente indignati, gli arcivescovi si rifugiarono presso l’imperatore Ludovico II, che stava soggiornando a Benevento, riuscendo a convincerlo a schierarsi a favore di Lotario. Nel febbraio dell’864 entrò a Roma con il suo esercito.
Privo di qualsiasi protezione militare, Niccolò I ordinò un digiuno e rogazioni per implorare l’aiuto dal Cielo. Una di quelle processioni fu assalita dall’esercito di Ludovico mentre si dirigeva verso San Pietro, i partecipanti furono malmenati, le croci spezzate e le insegne strappate, ma soprattutto, una reliquia della croce fu gettata nel fango. Dinanzi a questa aperta violenza, il papa di nascosto si rifugiò presso la tomba di Pietro, dove trascorse due giorni e due notti in preghiera, senza acqua né cibo.
Tra i romani crebbe visibilmente l’indignazione per tutto ciò, e quando la persona che aveva oltraggiato la reliquia della croce morì all’improvviso e Ludovico stesso fu colto da febbre, l’imperatore fu pronto a mostrarsi conciliante. Grazie alla mediazione dell’imperatrice Engelberga, ci fu un colloquio a quattr’occhi tra il papa e l’imperatore, che a quel punto abbandonò i due arcivescovi che lo avevano cacciato nell’impresa e accettò il giudizio del papa su Lotario e il suo matrimonio. Tilgaldo e Guntero, ai quali ordinò di tornare in Germania senza che fosse stata loro tolta la scomunica, prima di partire per il Nord redassero una lettera di protesta contro Niccolò I, dal cui linguaggio altezzoso emergeva che il loro obiettivo era la creazione di una Chiesa nazionale indipendente da Roma. Guntero di Colonia incaricò suo fratello chierico Ilduino di consegnare la lettera al papa o, nel caso questi avesse rifiutato di riceverla, di deporla sulla confessio di San Pietro.
Poiché fu proprio questo ciò che avvenne, Ilduino, insieme a un gruppo di uomini armati, si recò a San Pietro, dove i chierici della basilica cercarono di impedire la loro impresa. Sfoderarono dunque le spade, ne stesero uno, gettarono il libello sulla confessio e fuggirono dalla basilica, aprendosi la via con le armi.
La permanenza dell’imperatore a Roma fu accompagnata da assassini, incendi, saccheggi e altre atrocità simili. Scrive il Gregorovius: «Tale tempesta non piegò però la forza di papa Niccolò. Con la fermezza di un antico romano, quello spirito fiero e inflessibile rimase in piedi. Minacciò con gli strali della scomunica, e furono temuti come veri fulmini: i vescovi della Lotaringia inviarono le loro dichiarazioni penitenti ... il suo legato, con una mano condusse al re, che si ritraeva dinanzi allo strale della scomunica, la consorte ripudiata e con l’altra gli levò l’amante». Così la questione fu risolta, non di fatto e in modo definitivo, ma almeno di principio.

3. Lo scenario giuridicoDopo questa descrizione sintetica degli eventi, ora verrà esaminato lo scenario nel quale si svolsero.
Per farlo, occorre anzitutto osservare che il matrimonio tra Lotario II e Teutberga era stato contratto per motivi del tutto politici. Il re si legava in tal mondo con la casata nobiliare che, nell’ambito dei valichi alpini, controllava importanti capisaldi. Poteva così sperare di migliorare la propria posizione di partenza per un intervento nel territorio burgundo. Il fratello di Teutberga era inoltre abate laico del convento di St. Maurice d’Agaune, che era situato in una posizione strategica. L’altra speranza nutrita da Lotario, ovvero quella di cacciare il fratello minore Carlo dalla Borgogna per salire sul trono, fu però vanificata quando papa Benedetto III, l’anno dopo il matrimonio tra Lotario e Teutberga, riuscì a risolvere in modo pacifico la lotta tra i due fratelli.
Così la ragione politica del matrimonio era diventata inconsistente. A ciò si aggiungevano l’antipatia personale, e forse anche un conflitto profondamente radicato, con la famiglia di Teutberga. Lotario tornò di nuovo da Gualdrada, con la quale prima aveva vissuto in una Friedelehe, dalla quale erano nati un figlio di nome Ugo e diverse figlie.
Si pone perciò la domanda sulla qualità giuridica, e dunque anche sacramentale, di questa prima unione. Se non si trattava di un matrimonio giuridicamente valido, e quindi sacramentale, il matrimonio con Teutberga sarebbe stato impossibile già in partenza. Ciò però può essere escluso, poiché Lotario ha davvero un valido contratto di matrimonio con Teutberga.
Che cos’era dunque la Friedelehe di Lotario con Gualdrada?
La letteratura della storia del diritto non offre un quadro chiaro ed univoco. Si può però stabilire quanto segue: la Friedelehe – da friedila, ovvero amante, consorte – si realizzava attraverso il consenso tra uomo e donna, il Brautlauf (termine con cui si definivano le usanze sponsali), ed il concubito. Con questa forma di comunione l’uomo non otteneva la Munt, ovvero la potestà coniugale sulla donna. Non veniva pagato un Muntschatz; era dunque un matrimonio senza dote. La donna riceveva però la Morgengabe, un regalo prezioso offerto la mattina dopo. In particolare la Friedelehe veniva scelta – parliamo qui dell’ambito giuridico germanico – quando vi era disparità di ceto, quando l’uomo entrava a far parte della famiglia della donna attraverso il matrimonio o in caso di rapimento. Questo tipo di matrimonio esisteva anche come matrimonio secondario. È dunque questo il tipo di rapporto nel quale convivevano Lotario e Gualdrada.
Da esso si distingueva in modo sostanziale la cosiddetta Muntehe, fondata su un contratto tra le due famiglie coinvolte, ovvero tra lo sposo e il padre o il tutore della sposa. In tal caso lo sposo riceveva la Munt della donna, ovvero la tutela, e come contropartita pagava il Muntschatz, cioè la dote, detto anche Wittum, ossia controdote. La conclusione di tale contratto era seguita da una serie di atti giuridici: la consegna solenne della ragazza, l’accompagnamento della stessa nella casa dello sposo (il cosiddetto Brautlauf), ed il concubito. Attraverso questo tipo di matrimonio, la donna assumeva la posizione di padrona della casa e la mattina dopo la prima notte di nozze riceveva la Morgengabe.
Ecco quel che vigeva nell’ambito giuridico franco-germanico. Ed era proprio questa la situazione di fronte alla quale si trovò la Chiesa nel suo sforzo di far valere l’esigenza di Cristo dell’unità e dell’indissolubilità del matrimonio. La lotta della Chiesa per un incivilimento ed una cristianizzazione del matrimonio non dovette ricominciare solo presso i Germani. Fu una lotta che – per motivi che qui non verranno approfonditi – iniziò relativamente tardi. Solo Bonifacio riuscì, con l’appoggio dei principi franchi Carlomanno e Pipino, a far sì che la legge di Dio acquisisse valore universale. I numerosi sinodi per la riforma, convocati da Bonifacio, offrirono un foro adatto a tal fine. A partire da quel momento s’impose il principio formulato da Benedetto Levita: «Nullum sine dote fiat coniugium nec sine publicis nuptiis quisquam nubere praesumat» (nessun matrimonio dovrà essere contratto senza dote, e nessuno deve osare sposarsi senza nozze pubbliche).
Sebbene possa apparire che la Muntehe, ovvero il matrimonio contrattuale, infine abbia prevalso, restano però molti dubbi se per questo sia stata abbandonata la Friedelehe. Paul Mikat vede in ciò un desiderata urgente della ricerca, e Werner Ogris, nel manuale della storia del diritto tedesco (Handwörterbuch zur deutschen Rechtsgeschichte), nonostante tutta l’incertezza sui dettagli, sostiene che «l’esistenza, nell’ambito germanico, di un matrimonio morganatico senza dote e senza potestà, difficilmente può essere davvero messa in dubbio».
Intanto, proprio sotto l’influenza della Chiesa, lo sviluppo andò in direzione del fatto che «la Friedelehe si distinse sempre più dalla Muntehe e quindi finì necessariamente con l’avvicinarsi all’unione sessuale non coniugale». Indicativo di ciò è l’utilizzo indistinto della parola concubina sia per la donna nella Friedelehe sia per la vera concubina.
Date le circostanze era urgentemente necessario verificare, nel caso specifico di Lotario, se prima di aver contratto matrimonio con Teutberga ne avesse contratto uno secundum legem et ritum (secondo la legge e il rito) con Gualdrada, come Niccolò chiese di fare ai suoi legati. Egli insistette in modo particolare sulla dotazione e sulla consacrazione del matrimonio: «Informaci al più presto se il re ha sposato Gualdrada con la consegna del dono nuziale dinanzi a testimoni, secondo diritto e costume, e se Gualdrada gli è stata data in matrimonio pubblicamente».
In più, non disponiamo di nessuna fonte che testimoni che la Chiesa abbia mai riconosciuto una Friedelehe come matrimonio. Ciò trova riscontro anche nel fatto che non è stata sollevata nessuna obiezione da parte della Chiesa quando Lotario, dopo essersi separato da Gualdrada, ha contratto matrimonio con Teutberga.
Paul Mikat conclude così la sua profonda analisi Dotierte Ehe – rechte Ehe del 1984: «Lo sviluppo del diritto matrimoniale in epoca franca merovingia e anche nei secoli seguenti mostra quanto fosse difficile per la Chiesa far valere tra i germani la sua concezione del matrimonio e il suo diritto matrimoniale. Nel processo di affermazione, un particolare compito spettò al diritto sulla celebrazione del matrimonio, che però la Chiesa affrontò solo tardivamente e con titubanza. Non disponeva di un modello per la celebrazione del matrimonio ecclesiale e poteva accettare il diritto vigente ogniqualvolta questo rappresentava una forma di matrimonio che la Chiesa poteva riconoscere pienamente dal punto di vista teologico, ovvero quando la forma del matrimonio corrispondeva ai principi dell’indissolubilità e della comunità di vita monogama. Gli sviluppi avvenuti dalla metà dell’VIII secolo confermano chiaramente il carattere funzionale che la Chiesa attribuiva al diritto sulla celebrazione del matrimonio; essi dimostrano che l’influenza della Chiesa sul diritto relativo alla celebrazione del matrimonio era intimamente legata al suo sforzo per far valere la sua comprensione del matrimonio».
...
[... continua qui Scuola Ecclesia Mater]

3 commenti:

  1. la legge di Dio dice: non uccidere, non rubare, non divorziare ... eppure gli uomini uccidono, rubano, divorziano ... per loro non c'è possibilità di perdono? certo per essere perdonati bisogna riparare il danno compiuto per quello che è possibile. Ma se un coniuge che ha divorziato non può di fatto rimettersi insieme con il suo congiunto (per esempio quest'ultimo si è sposato civilmente e ha figli con il nuovo partner oppure questi non vuole rimettersi insieme .. e così via).... bisogna per questo impedirgli di risposarsi in chiesa?

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    1. Chi si è sposato in chiesa si è impegnato solennemente, davanti a Dio, di compiere un atto che vale per tutta la vita. Quindi è lui stesso che ha escluso la possibilità di risposarsi in chiesa vivente il coniuge, al di là del fatto che non abbia rispettato l'impegno (il che sarebbe un'aggravante e non una scusante).

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  2. La castità è richiesta a tutti. Quando si comincia con le deroghe si sa dove si va a finire. Non riesco a capire perché si voglia la benedizione della Chiesa per un concubinato. Ognuno fa le sue scelte e se ne assume le responsabilità.

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