Il centenario della nascita di don Divo Barsotti
di Cristina Siccardi, da Corrispondenza Romana, del 28.05.2014
Don Divo Barsotti 1914-2006 |
Seppure apprezzato dalle più alte gerarchie ecclesiastiche a lui
contemporanee, questo monaco mistico fu un “grillo parlante” che non ebbe paura
di mettere, pubblicamente, il «dito nella piaga»: la volontà di molti
uomini di Chiesa di abbracciare il mondo. Pietro Zovatto, autore
dell’introduzione al libro del monaco toscano L’attesa. Diario: 1973-1975
(San Paolo, pp. 266, € 17.00) scrive:
«Anche il Concilio Vaticano II, e più precisamente nella costituzione
Gaudium et spes, non sfugge all’ambiguità nel determinare il rapporto
chiesa-mondo e si lascia sfuggire un’occasione unica, quella di portare la Croce
al centro dell’assise conciliare. Forse i padri conciliari opinavano di non
prendere di petto l’orientamento prevalente del “processo della storia” in corso
verso la mondanità, mentre proprio questo “ipostatizzare la vita del mondo”
(20.7.1974) è come legittimare il rifugio dell’uomo in un luogo dove non si
trova che l’assenza di Dio, nella “vanità di ogni valore creato. Lo
Spirito Santo sempre ha assistito la sua Chiesa, e il Concilio Vaticano II nel
cambiare tutto, a cominciare dalla pietas con il “culturalismo liturgico”, fa
quasi un atto di accusa allo Spirito Santo che fino agli anni Sessanta non
avrebbe assistito la sua Chiesa in modo adeguato» (pp. 15-16).
L’attesa è il quindicesimo Diario di don Barsotti, in esso emergono
osservazioni, riflessioni, considerazioni schiette e genuine, chiare
manifestazioni di un’anima che cerca la santità propria ed è assetato di santità
altrui, alla quale attingere… ma l’orizzonte è alquanto spoglio. Infatti, il 14
maggio 1975 scrive: «Chiaravalle milanese. Ho ascoltato stasera P. Leclercq.
Anche i più grandi uomini quando non sono dei santi non fanno che rivelare la
loro povertà» (p. 228).
Jacques Leclercq (1891-1971), moralista e sociologo, canonico e
professore all’Università di Lovanio, tese a una teorizzazione del diritto
naturale che, pur ispirata al tomismo, soddisfacesse le istanze della cultura
contemporanea; ma don Barsotti non ha mai desiderato soddisfare le
necessità della filosofia, della teologia e della cultura contemporanee, bensì
quelle dell’anima, centro della vita terrena ed eterna di ogni individuo.
In molte pagine don Barsotti ci appare come un latitante della
Chiesa, una Chiesa che non gli dà quel nutrimento di cui egli grida il
bisogno: «Vuoto. Non si può costruire sull’acqua, né l’albero cresce
e vive senza radici. Questo ci sembra oggi la Chiesa. (…) Sono legato da
innumerevoli impegni che danno solo l’impressione della vita e non fanno in
realtà che assicurare la morte. La scuola in seminario a giovani che non
ascoltano e non si interessano; predicazione a sacerdoti, a religiosi, a suore
che ascoltando hanno compiuto il loro dovere per poter continuare poi la loro
vita, per mascherare così a loro stessi il deserto e il silenzio di Dio. Mio
Dio, liberami da questo inganno; fammi vivere» (p. 223).
Egli si scaglia contro l’orgoglio e la superbia, contro
l’antropocentrismo, contro tutto ciò che impedisce al Cristianesimo di esprimere
la sua dirompente forza, ovvero la sua «passione»: senza
passione, intesa sia come amore e sia come calvario, non si vive, ma si muore.
«Come si salverà il mondo? Tutto sembra precipitare nel caos e nella morte.
(…) La Chiesa si disfà. Che cosa ci chiede Dio per collaborare alla salvezza del
mondo? Null’altro, ci sembra, che l’obbedienza e la fede, ma costano più di un
martirio di sangue» (p. 221).
L’autore ci rivela tutto il suo dolore e questa sua immane angoscia,
sia spirituale che intellettuale, è così alta da preferire ad essa un martirio
di sangue. Eppure ci pare di intravvedere uno spiraglio di speranza: i
grandi santi della Sposa di Cristo sono riusciti, da soli e con la Grazia del
Signore, ad edificare la Città di Dio anche nel mondo: «Perché ci si agita
tanto per quanto si fa, per come si governa la Chiesa, per quello che non si fa
e si vorrebbe che fosse fatto?.. non solo i santi del medioevo potevano vivere
la loro unione con Cristo e con la Chiesa senza occuparsene troppo, ma perfino i
santi della Controriforma non erano, non sono stati mai eccessivamente turbati
per quanto si faceva a Roma. Chi ne fu turbato non fu Ignazio ma Lutero» (p.
31). I santi, in fondo, non si preoccupano, ma si occupano di costruire là dove
si distrugge.
Mi pare più che possibile (ma andrebbe verificato) che il Leclercq di cui parlava Barsotti non sia il moralista, ma dom Jean Leclercq OSB, lo studioso di monachesimo medievale: e il giudizio di Barsotti quadrerebbe perfettamente con alcuni scritti (al di fuori delle opere scientifiche) e comportamenti soprattutto di quel periodo.
RispondiEliminaMonachus
Ho conosciuto don Divo, e parlato in privato con Lui. Uomo di Dio senz'altro, ed educatore di una piccola schiera di monaci, alcuni dei quali ben conosco ed a qualcuno d'essi son legato da stima e grande amicizia: un paio di loro hann' appreso, col mio aiuto, a celebrar il rito antico. Uno ha celebrato a S. Francesco Poverino almeno due volte. Ma i superiori cambiano, e l'apertura di uno vien chiusa da un altro.
RispondiEliminaDon Divo scrisse un articolo per uno dei primi numeri del mio bollettino Una Voce Dicentes, chiuso, dopo 11 anni, nel 2012: Siamo figli dei padri, in cui rimpiange l'uso della lingua sacra della Chiesa.
Purtroppo, pur vedendo ed esecrando il degrado teologico e morale nella Chiesa ed il suo impoverimento e sbandamento liturgico, causa di altri mali, non ebbe la forza di aiutare, anche con la sola parole, i gruppi di fedeli che lottavano apertamente per i suoi stessi fini e mai chiese di poter celebrar la Messa antica, neppur con l'indulto.
Grande mistico, scrittore e direttore di anime, si piegò, pur borbottando, al clima generale. Peccato, forse i papi avrebbero evitato certi errori se avesse osato di più. E questo credo che valga anche per i suoi monaci.
E' un mistero come la chiesa italiana sostanzialmente conservateirce dal Vaticano II in poi si sia trovata a rimorchio dei teologi tedeschi che han giuidato la navuicella di pietro come han voluto.Anche Ratzinger ha le sue colpe. Poi si è pentito ma era troppo tardi il giocattolo si era infranto in mille pezzi. Ricostruirlo è impossibile. I fedeli hanno abbandonato la Chiesa cattolica e non ci torneranno più. Non sarà la teologia spicciola del fai date che risolleverà le sorti della Chiesa.
RispondiEliminaE non ci torneranno più...
RispondiElimina--------------
...e chi l'ha detto? E' questa la fiducia con cui ci abbandoniamo in Dio? E' questo il valore che diamo al Sacrificio di Cristo? Che ne è della Speranza, virtù teologale?
Soppiantata dalla Disperazione, neovizio capitale.
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