"Uno dei temi ricorrenti della predicazione di Papa Francesco è quello della corruzione.
A nostro avviso, esso deve essere letto nell’ottica più vasta di quella mondanità spirituale che rappresenta forse la chiave di comprensione di questo pontificato. Sappiamo che il Santo Padre intende la mondanità secondo la descrizione fornita da Henri De Lubac nella sua opera più significativa. Il teologo gesuita, poi creato cardinale dal B. Giovanni Paolo II, ne parlava come del pericolo più grande per la Chiesa.
E scriveva: “Nessuno di noi è totalmente sicuro da questo male. Un umanesimo sottile, avversario di Dio Vivente, e, segretamente, non meno nemico dell’uomo, può insinuarsi in noi attraverso mille vie tortuose.
La curvitas originale non è mai in noi definitivamente raddrizzata.
Il “peccato contro lo Spirito” è sempre possibile”.
Ora, De Lubac deve l’assunzione di questa categoria ad Anscar Vonier, un benedettino morto nel 1938.
Questi distingueva la mondanità spirituale da quella materiale: “Anche se gli uomini fossero pieni di ogni perfezione spirituale, ma queste perfezioni non fossero riferite a Dio (supponendo che questa ipotesi sia possibile), si tratterebbe di una mondanità incapace di redenzione”.
E inoltre: “Se il Cristianesimo dovesse mai abbassarsi al livello di una perfetta società etica il cui solo scopo fosse la promozione della prosperità umana, o perfino la promozione della moralità umana, la Chiesa sarebbe così completamente apostata come lo è Lucifero stesso: avrebbe negato lo Spirito, avrebbe rifiutato di seguirlo dove vuole condurla, avrebbe preferito piacere agli uomini piuttosto che a Cristo e avrebbe fatto dell’applauso umano la sua suprema ricompensa”.
Perché diciamo queste cose?
Per il semplice fatto che il pensiero del mondo, sempre pronto a trovare entusiasti ammiratori tra i cattolici, legge la corruzione come un male legato a ricchezze, debolezze, onori e carriere.
Va da sé che il corrotto è identificato con il prete, fosse semplicemente per un’auto ritenuta di lusso.
Da qui si fa passare il messaggio che la riforma, stranamente divenuta una preoccupazione dominante di chi non sa distinguere un viceparroco da un catechista, sia alla portata di mano.
Basta eliminare i corrotti della Curia, ridurre in povertà i preti e le diocesi, abolire qualche titolo, e il gioco è fatto.
A nostro avviso, esso deve essere letto nell’ottica più vasta di quella mondanità spirituale che rappresenta forse la chiave di comprensione di questo pontificato. Sappiamo che il Santo Padre intende la mondanità secondo la descrizione fornita da Henri De Lubac nella sua opera più significativa. Il teologo gesuita, poi creato cardinale dal B. Giovanni Paolo II, ne parlava come del pericolo più grande per la Chiesa.
E scriveva: “Nessuno di noi è totalmente sicuro da questo male. Un umanesimo sottile, avversario di Dio Vivente, e, segretamente, non meno nemico dell’uomo, può insinuarsi in noi attraverso mille vie tortuose.
La curvitas originale non è mai in noi definitivamente raddrizzata.
Il “peccato contro lo Spirito” è sempre possibile”.
Ora, De Lubac deve l’assunzione di questa categoria ad Anscar Vonier, un benedettino morto nel 1938.
Questi distingueva la mondanità spirituale da quella materiale: “Anche se gli uomini fossero pieni di ogni perfezione spirituale, ma queste perfezioni non fossero riferite a Dio (supponendo che questa ipotesi sia possibile), si tratterebbe di una mondanità incapace di redenzione”.
E inoltre: “Se il Cristianesimo dovesse mai abbassarsi al livello di una perfetta società etica il cui solo scopo fosse la promozione della prosperità umana, o perfino la promozione della moralità umana, la Chiesa sarebbe così completamente apostata come lo è Lucifero stesso: avrebbe negato lo Spirito, avrebbe rifiutato di seguirlo dove vuole condurla, avrebbe preferito piacere agli uomini piuttosto che a Cristo e avrebbe fatto dell’applauso umano la sua suprema ricompensa”.
Perché diciamo queste cose?
Per il semplice fatto che il pensiero del mondo, sempre pronto a trovare entusiasti ammiratori tra i cattolici, legge la corruzione come un male legato a ricchezze, debolezze, onori e carriere.
Va da sé che il corrotto è identificato con il prete, fosse semplicemente per un’auto ritenuta di lusso.
Da qui si fa passare il messaggio che la riforma, stranamente divenuta una preoccupazione dominante di chi non sa distinguere un viceparroco da un catechista, sia alla portata di mano.
Basta eliminare i corrotti della Curia, ridurre in povertà i preti e le diocesi, abolire qualche titolo, e il gioco è fatto.
Ma non è questo l’intento del Papa, che non nasconde a sa stesso e alla Chiesa tutta il dovere di garantire pastori che siano secondo il cuore di Cristo. Benedetto parlava di pastori secolarizzati, Francesco parla di pastori corrotti.
Bisogna essere grati al Papa per la continua e salutare scossa alle coscienze dei pastori.
La conversione deve cominciare da quanti sono stati chiamati ad essere araldi e ministri di conversione per gli altri.
Tra l’altro, sono decenni che si enfatizza in tutte le sedi il sacerdozio comune.
Tra l’altro, sono decenni che si enfatizza in tutte le sedi il sacerdozio comune.
A proposito, quando si valorizza l’insegnamento del Vaticano II e si riconosce la dignità di ogni battezzato, a sproposito quando se ne fa un’arma impropria di democratizzazione della Chiesa e di livellamento, a dispetto dello stesso Concilio.
Perché ci si ritira, allora, quando si parla di corruzione, pensando che essa riguardi soltanto il sacerdozio ministeriale?
Secolarizzazione e corruzione non sono categorie che riguardano soltanto i preti, se è vero che la Chiesa non è fatta soltanto di preti.
E la mondanità spirituale chiama in causa tutti, perché costituisce una tentazione costante lungo tutta la storia, a partire dalla scena evangelica delle tentazioni di Gesù.
Un redentore umano, che sposi la causa di un umanesimo vago e soddisfi tutte le aspettative e tutte le pretese che sono di un uomo che sceglie la tenebra per non dover guardare la luce della verità.
Pretese che il mondo non ha mai messo da parte.
Tra qualche giorno la nostra kermesse canora nazionale ospiterà un cantante che nel suo repertorio comprende anche una canzone dal titolo “Gay Messiah”.
Speriamo che almeno in Italia si astenga dal proporla, quantunque l’invito sembri ricalcare quel pensiero che sta diventando la sola ossessione di politici, di istituzioni e di uomini di cultura.
Esiste anche una corruzione della fede, che può essere causa del cedimento alla mondanità spirituale o che può esserne il riflesso diretto, a seconda delle prospettive assunte nel porsi di fronte alla storia.
E non dobbiamo pensare necessariamente alle eresie.
Se l’eresia è un impazzimento della verità, la corruzione è un offuscamento della verità.
Se l’eretico, come direbbe il grande Chesterton, afferma la sua verità parziale a discapito della verità tutta, il corrotto tace la verità tutta per enfatizzare nella pratica della vita cristiana la sua verità parziale.
Non si può essere cristiani senza l’amore del prossimo, senza il desiderio di rivestire di questo amore tutte le povertà.
Quanti provvidenziali richiami da parte del Papa, quanti ammonimenti ad avere aperti gli occhi del cuore davanti all’indifferenza, che è la cifra di questo nostro tempo tanto sazio e tanto insoddisfatto.
Ma stiamo attenti a coloro che separano il prossimo e i poveri dall’amore di Dio, come se tutto dovesse svolgersi su questa terra, secondo parametri di perfetta efficienza delle opere caritative.
E stiamo attenti a coloro che anche nella gerarchia delle verità morali fanno confusione, così da poter privilegiare soltanto l’aspetto che fa loro più comodo.
Non si è cristiani, né tanto meno cattolici, se si sceglie un valore e lo si separa dalla verità. Questo è l’impazzimento oggi tanto diffuso eppure abilmente mistificato dalla soddisfazione di bisogni falsi che provengono dal mondo.
Si può, e forse bisogna essere cristiani di strada, ma a patto che la strada conduca in Paradiso.
Abitare semplicemente la storia non ci rende cristiani; ci lascia uomini.
E in nessun vangelo c’è scritto che l’uomo debba rimanere semplicemente tale.
Ma il redentore mondano non ha bisogno di scomodarsi per far entrare l’uomo nella sua stessa vita.
E’ lui, piuttosto, che sceglie la vita dell’uomo, così com’è.
Un umanesimo sottile, diceva De Lubac.
Erano gli anni Cinquanta.
Oggi che questo umanesimo ha gettato la maschera, e ha rivelato d’esser diventato solido e penetrante come mai, bisogna tornare alla fede della Chiesa, nella sua integralità.
Le schegge impazzite hanno prodotto la situazione paradossale che è sotto i nostri occhi, e si preparano ad ottenere nuovi consensi.
Non contente di aver ottenuto l’applauso del mondo, vorrebbero adesso quello della Chiesa, accreditandosi al suo interno come la logica conseguenza del mutare dei tempi. Molti segnali affluiscono con una chiarezza adamantina.
Il Corpo di Cristo è fatto di membra.
La Chiesa si edifica per l’opera di tutte, non solo di alcune.
Il Corpo di Cristo è fatto di membra.
La Chiesa si edifica per l’opera di tutte, non solo di alcune.
Le realtà temporali sono affidate ai fedeli laici, non ai preti.
La Chiesa dei puri non esiste, se non in Paradiso.
Sulla terra abbiamo una Chiesa fatta di poveri peccatori, che hanno una sola cosa pura da accogliere e da conservare: la grazia.
Sulla terra abbiamo una Chiesa fatta di poveri peccatori, che hanno una sola cosa pura da accogliere e da conservare: la grazia.
La purezza della fede, trasmessa dalla nostra Madre pura e senza macchia, è il solo antidoto per la corruzione, tanto per le nostre vite personali quanto per la vita della Chiesa in quest’ora.
Ce lo ha ricordato il Papa: “Peccatori sì, tutti, tutti lo siamo!
Ma traditori no! Corrotti no! Sempre dentro!
E la Chiesa è tanto madre che ci vuole anche così, tante volte sporchi, ma la Chiesa ci pulisce: è madre!” (6 febbraio 2014).
Se la distinzione è tra il peccato e la corruzione, il Papa non sta parlando della mondanità materiale.
Sta parlando della mondanità spirituale.
Se la distinzione è tra il peccato e la corruzione, il Papa non sta parlando della mondanità materiale.
Sta parlando della mondanità spirituale.
Non della fragilità morale, ma della corruzione del cuore e della mente.
E siccome bisogna amare Dio con tutto il cuore e con tutta la mente, sta parlando della nostra personale conversione e della corruzione della fede e della morale in presenza di una storia che ci lusinga, che ci applaude, che ci accoglie se presentiamo un redentore che sia secondo le sue pretese.
E tradire Cristo è la somma corruzione.
don Antonio Ucciardo "
Fonte : Porta Sant'Anna
Voi pensate che Francesco intende dire le stesse cose di Ucciardo?
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