«Voi desiderate un ricordo da me. Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità…La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un Santo autentico, o vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio. Ricordate le folle intorno alla bara di don Orione? Non dimenticate che il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi. Ha paura, invece, della nostra santità».
Con queste parole, il 30 agosto 1954 l'Arcivescovo di Milano Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster si congedò dai suoi seminaristi prima di morire.
Il 30 agosto 2013, nel 59esimo anniversario della sua scomparsa a Venegono il Beato Ildefonso Schuster è stato ricordato dal suo Successore alla Cattedra di Sant'Ambrogio Sua Eminenza il Cardinale Angelo Scola con una solenne liturgia eucaristica in Duomo.
Nell'Omelia il Cardinale Scola ha sottolineato che il Beato Ildefonso Schuster fu : "Consapevole della sua missione, annunciando il Vangelo ha dedicato
tutto se stesso al servizio dei suoi fedeli, che gli erano davvero
'diventati cari’, per usare la bella espressione dell’Apostolo” Paolo... la responsabilità civile di ogni cristiano è di contribuire in una società plurale, come quella odierna, alla edificazione della vita buona di tutti, annunciando così l’Evangelo dell’umano”.
L’anno costantiniano “ci impedisce di vivere in modo privato la nostra fede. ( Sottolineatura nostra n.d.r.) ... questo esporsi del cristiano nella vita pubblica non ha altra ragione che l’amore di Cristo per ogni persona e per questo non cerca strategicamente l’egemonia nella società ma l’umile e decisa testimonianza; proprio come quella raccomandata dal beato Ildefonso Schuster, che con queste parole si congedava dai suoi seminaristi al termine della sua vita: 'Voi desiderate un ricordo da me. Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità.
La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia.
L’anno costantiniano “ci impedisce di vivere in modo privato la nostra fede. ( Sottolineatura nostra n.d.r.) ... questo esporsi del cristiano nella vita pubblica non ha altra ragione che l’amore di Cristo per ogni persona e per questo non cerca strategicamente l’egemonia nella società ma l’umile e decisa testimonianza; proprio come quella raccomandata dal beato Ildefonso Schuster, che con queste parole si congedava dai suoi seminaristi al termine della sua vita: 'Voi desiderate un ricordo da me. Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità.
La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia.
La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza.
Ma se un santo, vivo o morto passa, tutti accorrono al suo passaggio’”.
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Dal sito : Scuola Ecclesia Mater postiamo alcune considerazioni sulla Santa Liturgia , di cui il Beato Ildefonso Schuster fu insuperato ed umile maestro.
L'articolo è stato scritto di Daniele Premoli ( QUI tutto lo stupendo studio, corredato dalle note biografiche ).
L'articolo è stato scritto di Daniele Premoli ( QUI tutto lo stupendo studio, corredato dalle note biografiche ).
“ Lungo tutti gli anni del suo episcopato e sino a pochi giorni prima della sua morte, ogni fedele poteva vedere il suo Arcivescovo in Duomo, dove il cardinale partecipava alla Messa Capitolare di ogni domenica e di ogni festa.
Era un compito a lui particolarmente caro, cui per nessuna ragione, neppure per malattia o freddo, si sottraeva.
Per partecipare alle funzioni, interrompeva qualsiasi lavoro, e persino le Visite Pastorali erano programmate in modo da potervi essere sempre presente.
Attraverso la sua presenza, intendeva anche aumentare il numero di coloro che avrebbero partecipato alle celebrazioni: ed ottenne l’effetto sperato: quando si seppe che l’Arcivescovo scendeva in Duomo tutte le domeniche, la folla che assisteva alle Messe andò crescendo.
Amava il decoro delle celebrazioni liturgiche.
Quando riteneva che la recita della salmodia fosse troppo affrettata e poco curata, dal suo scranno faceva segno di rallentare.
Affermò mons. Pini, da lui nominato maestro di coro: «Non saprei quante volte mi abbia mandato i maestri delle cerimonie ad avvertirmi di rallentare, di fare attenzione alle pause e di mantenere una tonalità unica! […]
Ogni qualvolta una voce ben nota prolungava le ultime sillabe dei versetti delle ore canoniche, sorrideva, sorrideva!
Compresi quanto fosse attenta e vigilante la sua partecipazione al coro e il perché dei suoi sorrisi nelle finali di taluni versetti. […]
La salmodia era in lui vita vissuta, amata, fatta amare: il gusto trasfondeva e rivelava il raccoglimento interiore del suo spirito» .
La sua figura ed il suo raccoglimento impressionarono anche taluni protestanti.
Quando i bombardamenti del 1943 obbligarono alla chiusura della Cattedrale, l’Ufficiatura domenicale venne spostata alla vicina chiesa di San Bernardino alle Ossa, dove il cardinale si recava con alcuni canonici.
All’Arcivescovo si stringeva il cuore quando, entrando in Duomo, lo vedeva deserto e muto «quasi una cosa che ormai non abbia più scopo» , e decise quindi di incaricare le Benedettine di Viboldone di supplire all’interrotta ufficiatura del Capitolo.
Per Schuster, così come per i Milanesi, Milano (inteso come «quel complesso di bontà, di fede, di generosità, di vitalità, di opere cattoliche che caratterizza d’innanzi a tutto il mondo la Chiesa di sant’Ambrogio») è anche sinonimo del Rito Ambrosiano.
Fu così che l’autore del monumentale Liber Sacramentorum, divenuto Arcivescovo di Milano si dedicò allo studio e alla promozione di quello che era divenuto non soltanto “il Rito Ambrosiano”, ma “il nostro Rito” .
Al rito della Chiesa di Milano è collegato anche un canto tutto proprio, cui il cardinale iniziò subito ad applicarsi: «Pochi giorni dopo che aveva fatto il suo ingresso ebbi in mano un foglio scritto di suo pugno su cui era in notazione ambrosiana e moderna per esteso il canto dell’orazione “Deus qui nobis”, che si canta alla benedizione del Santissimo, e che sta a testimoniare come si era preparato anche perché il canto ambrosiano fosse da lui eseguito bene» .
Era un compito a lui particolarmente caro, cui per nessuna ragione, neppure per malattia o freddo, si sottraeva.
Per partecipare alle funzioni, interrompeva qualsiasi lavoro, e persino le Visite Pastorali erano programmate in modo da potervi essere sempre presente.
Attraverso la sua presenza, intendeva anche aumentare il numero di coloro che avrebbero partecipato alle celebrazioni: ed ottenne l’effetto sperato: quando si seppe che l’Arcivescovo scendeva in Duomo tutte le domeniche, la folla che assisteva alle Messe andò crescendo.
Amava il decoro delle celebrazioni liturgiche.
Quando riteneva che la recita della salmodia fosse troppo affrettata e poco curata, dal suo scranno faceva segno di rallentare.
Affermò mons. Pini, da lui nominato maestro di coro: «Non saprei quante volte mi abbia mandato i maestri delle cerimonie ad avvertirmi di rallentare, di fare attenzione alle pause e di mantenere una tonalità unica! […]
Ogni qualvolta una voce ben nota prolungava le ultime sillabe dei versetti delle ore canoniche, sorrideva, sorrideva!
Compresi quanto fosse attenta e vigilante la sua partecipazione al coro e il perché dei suoi sorrisi nelle finali di taluni versetti. […]
La salmodia era in lui vita vissuta, amata, fatta amare: il gusto trasfondeva e rivelava il raccoglimento interiore del suo spirito» .
La sua figura ed il suo raccoglimento impressionarono anche taluni protestanti.
Quando i bombardamenti del 1943 obbligarono alla chiusura della Cattedrale, l’Ufficiatura domenicale venne spostata alla vicina chiesa di San Bernardino alle Ossa, dove il cardinale si recava con alcuni canonici.
All’Arcivescovo si stringeva il cuore quando, entrando in Duomo, lo vedeva deserto e muto «quasi una cosa che ormai non abbia più scopo» , e decise quindi di incaricare le Benedettine di Viboldone di supplire all’interrotta ufficiatura del Capitolo.
Per Schuster, così come per i Milanesi, Milano (inteso come «quel complesso di bontà, di fede, di generosità, di vitalità, di opere cattoliche che caratterizza d’innanzi a tutto il mondo la Chiesa di sant’Ambrogio») è anche sinonimo del Rito Ambrosiano.
Fu così che l’autore del monumentale Liber Sacramentorum, divenuto Arcivescovo di Milano si dedicò allo studio e alla promozione di quello che era divenuto non soltanto “il Rito Ambrosiano”, ma “il nostro Rito” .
Al rito della Chiesa di Milano è collegato anche un canto tutto proprio, cui il cardinale iniziò subito ad applicarsi: «Pochi giorni dopo che aveva fatto il suo ingresso ebbi in mano un foglio scritto di suo pugno su cui era in notazione ambrosiana e moderna per esteso il canto dell’orazione “Deus qui nobis”, che si canta alla benedizione del Santissimo, e che sta a testimoniare come si era preparato anche perché il canto ambrosiano fosse da lui eseguito bene» .
Nel corso delle visite pastorali ebbe modo di accorgersi con dispiacere della scomparsa del canto ambrosiano.
Non si limitò a esortare i suoi preti a istruirsi e ad istruire i fedeli, ma decise di «imitare in Milano, all’ombra del Duomo, quanto colla benedizione di Pio X già da tanto tempo fiorisce nell’Urbe e rende lieti frutti per tutto l’Orbe Cattolico.
Sì, Noi vagheggiamo una vera e propria Scuola Ecclesiastica Superiore di canto Ambrosiano e di Musica liturgica» .
Il 12 marzo 1931, a pochi mesi dal suo ingresso come Arcivescovo, il card. Schuster istituì così la “Scuola Superiore di canto ambrosiano e di musica sacra”, giuridicamente riconosciuta dalla Santa Sede come “Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra” dieci anni dopo, e tuttora esistente ed attivo.
Essa venne affidata alle cure dei monaci di Solesmes, eredi del grande dom Prosper Gueranger, i quali indicarono al cardinale il priore di Montserrat, padre Gregorio Suñol.
È a lui che si devono le edizioni scientifiche del Preconio Pasquale (1934), dell’Antifonale (1935) e del Vesperale Ambrosiano (1939)”.
Essa venne affidata alle cure dei monaci di Solesmes, eredi del grande dom Prosper Gueranger, i quali indicarono al cardinale il priore di Montserrat, padre Gregorio Suñol.
È a lui che si devono le edizioni scientifiche del Preconio Pasquale (1934), dell’Antifonale (1935) e del Vesperale Ambrosiano (1939)”.
Foto :
- Messa Pontificale ( 1 - 2 ) del Cardinale Arcivescovo Alfredo Ildefonso Schuster in Duomo ( 1948 )
- Il Funerale del Cardinale Arcivescovo Alfredo Ildefonso Schuster ( 1954 )
A.C.
A.C.
Il ragazzino a cui il cardinale Schuster dà la prima comunione si chiamava Franco Longosini di Induno Olona ( VA ), che sarà ordinato sacerdote dallo stesso cardinale il 28 giugno 1952 e fu destinato Coadiutore a Varese Biumo Inferiore, dove morirà in profumo di santità nel 1957, dopo solo 5 anni di sacerdozio Gianfranco Nicora
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