( su Il Messaggero del 29 maggio 2012 )
MODENA - Don Ivan Martini è morto nel crollo della chiesa della Stazione di Novi, a Rovereto, nel Modenese, perché tentava di mettere in salvo una piccola statua della Madonna durante il sisma che ha distrutto la sua chiesa.
Un prete di campagna ha solo la sua chiesa.
Poco importa se non fa parte della storia dell'architettura, se non ospita grandi capolavori. Ogni statua, ogni arredo, è come se fosse un pezzo del paese.
Don Ivan Martini, 65 anni, da nove parroco di Rovereto, uno dei paesi della Bassa modenese maggiormente colpita dal sisma, è morto in mattinata nella sua chiesa crollata.
Proprio come i due frati di Assisi (padre Angelo Api e il seminarista polacco Borowec Zdzislaw), morti il 26 settembre 1997 insieme a due funzionari della soprintendenza delle belle arti (Claudio Bugiantella e Bruno Brunacci) sepolti dagli affreschi di una delle chiese più belle del mondo, crollati durante un sopralluogo all'altare maggiore.
La chiesa. Don Ivan voleva bene alla sua chiesa e a ciò che c'era dentro.
La parrocchia di Santa Caterina era stata danneggiata e resa inagibile dal precedente sisma, ma si doveva fare un sopralluogo per salvare un pò di arredi che c'erano dentro.
Così stamattina, accompagnato da due vigili del fuoco, è entrato nella chiesa per cercare di salvare alcune statue fra cui, in particolare, una statua della Madonna alla quale molti dei suoi parrocchiani erano particolarmente devoti.
La scossa.
È lì che il forte terremoto lo ha sorpreso.
Don Ivan è stato colpito dal crollo, di una pietra o di una trave, che non gli ha lasciato scampo.
Illesi, invece, i due vigili del fuoco che erano con lui e che sono riusciti a mettersi in salvo.
Rovereto così, in mezzo a tanti danni riportati dalle strutture, piange la sua unica vittima, il suo parroco, al quale il paese voleva bene.
Non è per niente facile fare il prete fra comunisti e immigrati che chiamano Dio con un altro nome. «Don Ivan era uno veramente in gamba», racconta un suo parrocchiano, accompagnando l'elogio ad un gesto esplicito, ma non certo irrispettoso, che descrive il coraggio col quale esercitava la sua missione.
È rimasto ferito, invece, un altro parroco che è stato coinvolto da un crollo nel duomo di Carpi.
In un primo momento si era temuto per la sua vita, si era addirittura diffusa la notizia della sua morte.
In realtà ha riportato solamente qualche lieve danno fisico e una grandissima paura, come il resto dei suoi parrocchiani.
Un prete di campagna ha solo la sua chiesa.
Poco importa se non fa parte della storia dell'architettura, se non ospita grandi capolavori. Ogni statua, ogni arredo, è come se fosse un pezzo del paese.
Don Ivan Martini, 65 anni, da nove parroco di Rovereto, uno dei paesi della Bassa modenese maggiormente colpita dal sisma, è morto in mattinata nella sua chiesa crollata.
Proprio come i due frati di Assisi (padre Angelo Api e il seminarista polacco Borowec Zdzislaw), morti il 26 settembre 1997 insieme a due funzionari della soprintendenza delle belle arti (Claudio Bugiantella e Bruno Brunacci) sepolti dagli affreschi di una delle chiese più belle del mondo, crollati durante un sopralluogo all'altare maggiore.
La chiesa. Don Ivan voleva bene alla sua chiesa e a ciò che c'era dentro.
La parrocchia di Santa Caterina era stata danneggiata e resa inagibile dal precedente sisma, ma si doveva fare un sopralluogo per salvare un pò di arredi che c'erano dentro.
Così stamattina, accompagnato da due vigili del fuoco, è entrato nella chiesa per cercare di salvare alcune statue fra cui, in particolare, una statua della Madonna alla quale molti dei suoi parrocchiani erano particolarmente devoti.
La scossa.
È lì che il forte terremoto lo ha sorpreso.
Don Ivan è stato colpito dal crollo, di una pietra o di una trave, che non gli ha lasciato scampo.
Illesi, invece, i due vigili del fuoco che erano con lui e che sono riusciti a mettersi in salvo.
Rovereto così, in mezzo a tanti danni riportati dalle strutture, piange la sua unica vittima, il suo parroco, al quale il paese voleva bene.
Non è per niente facile fare il prete fra comunisti e immigrati che chiamano Dio con un altro nome. «Don Ivan era uno veramente in gamba», racconta un suo parrocchiano, accompagnando l'elogio ad un gesto esplicito, ma non certo irrispettoso, che descrive il coraggio col quale esercitava la sua missione.
È rimasto ferito, invece, un altro parroco che è stato coinvolto da un crollo nel duomo di Carpi.
In un primo momento si era temuto per la sua vita, si era addirittura diffusa la notizia della sua morte.
In realtà ha riportato solamente qualche lieve danno fisico e una grandissima paura, come il resto dei suoi parrocchiani.
POGGIO RENATICO (Ferrara) –
Vive per strada, dorme dal macellaio del paese e di tanto in tanto entra in chiesa, la sua chiesa, quella di San Michele Arcangelo, patrono di Poggio Renatico.
Don Simone Zanardi è il parroco sfollato di questo terremoto dell’Emilia.
Quella notte ha perso in un colpo solo la casa e la chiesa ma lui non vuole saperne di abbandonarla e allora rimane lì, seduto sulle panchine di questa grande piazza dell’abbazia dove la gente si ritrova ancora nonostante le macerie.
«Non so dove altro andare, francamente, e comunque mi fa piacere stare con loro».
Non ha nemmeno quarant’anni ma è già un abate-parroco perché quella di San Michele Arcangelo è anche un’abbazia.
Domenica mattina, dopo che la chiesa era stata bloccata e nessuno poteva più entrare, lui se n’è infischiato e saltellando fra le rovine è arrivato al Tabernacolo per prendere il Santissimo: «Ho voluto salvarlo.
L’ho portato a San Pietro in Casale dove la struttura è solida».
Tutti lo salutano, tutti gli sorridono. «Forza don Simone». «Grande don».
Ancora un’oretta di piazza e poi a letto. Lo aspetta il macellaio. A.P
Vive per strada, dorme dal macellaio del paese e di tanto in tanto entra in chiesa, la sua chiesa, quella di San Michele Arcangelo, patrono di Poggio Renatico.
Don Simone Zanardi è il parroco sfollato di questo terremoto dell’Emilia.
Quella notte ha perso in un colpo solo la casa e la chiesa ma lui non vuole saperne di abbandonarla e allora rimane lì, seduto sulle panchine di questa grande piazza dell’abbazia dove la gente si ritrova ancora nonostante le macerie.
«Non so dove altro andare, francamente, e comunque mi fa piacere stare con loro».
Non ha nemmeno quarant’anni ma è già un abate-parroco perché quella di San Michele Arcangelo è anche un’abbazia.
Domenica mattina, dopo che la chiesa era stata bloccata e nessuno poteva più entrare, lui se n’è infischiato e saltellando fra le rovine è arrivato al Tabernacolo per prendere il Santissimo: «Ho voluto salvarlo.
L’ho portato a San Pietro in Casale dove la struttura è solida».
Tutti lo salutano, tutti gli sorridono. «Forza don Simone». «Grande don».
Ancora un’oretta di piazza e poi a letto. Lo aspetta il macellaio. A.P
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