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mercoledì 2 maggio 2012

"pro multis": giovane sacerdote (liturgista e canonista) dà a MiL qualche utile spiegazione sul 'metodo' della traduzione di Lezionari e Messale

Un giovane sacerdote, canonista e liturgista, oltreché classicista, ci scrive questo breve saggio in cui, partendo da Liturgiam Authenticam, (qui dal sito della S. Sede una sintesi in italiano del documento) fa chiarezza con competenza sul delicato problema del "metodo" delle traduzioni dal latino piuttosto che dal greco (compreso il delicato problema del pro multis e del Pater).
Lo ringraziamo per il prezioso lavoro, che denota un alto profilo di preparazione, e dietro al quale ha sicuramente speso tempo prezioso dedicato a MiL per regalarci questa mirabile spiegazione.
Gli siamo grati anche per la fraterna tirata di orecchie: siamo però sempre pronti a ricevere correzioni pacate e fondate come la sua.
Ci rallegra, infine, sapere che tra i giovani sacerdoti siano validi elementi come lui.
Evideziature in rosso e sottolineature nostre.

nota: la
Liturgiam Authenticam è la Quinta Istruzione -della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, del 07.05.2001-, per la retta Applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II
(Sacrosanctum Concilium, art. 36).


Carissima redazione di MiL,

da tempo, ormai, e da più voci, vedo circolare in internet (e ripreso a volte anche dal vostro sito) critiche riguardanti la traduzione CEI della Bibbia.

Vorrei a questo punto cercare di porre alcune precisazioni in merito a tale lavoro, senza la pretesa di risolvere la questione, ma quanto meno per dare un contributo, assolutamente personale e del quale mi assumo ogni responsabilità, affinché si capisca realmente di che cosa stiamo parlando.

Partiamo dal testo di Liturgiam Authenticam al n.24.
“Praeterea omnino non licet translationes fieri e translationibus iam in alias linguas peractis, cum immediate ex textibus originalibus oporteat eas deduci, scilicet, de latino, quod spectat ad textus liturgicos manu ecclesiastica compositos, de lingua hebraica, aramaica vel graeca, si casus fert, quod respicit ad textus Sacrarum Scripturarum”.

Da questo testo si evince una regola d’oro che occorrerebbe sempre tenere a mente ogniqualvolta si pensi che una “traduzione” sia scorretta: i testi della liturgia si traducono dal latino (Edizioni tipiche!) mentre i testi della Sacra Scrittura si traducono dall’ebraico, dall’aramaico e dal greco.

Ora, in uno degli esempi che prendo dal blog MiL, non è possibile affermare che la traduzione di Gv 6, 63 “E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?” è scorretta, portando a riprova il testo “Si videritis…” di san Girolamo.

Infatti, continua il testo del n.24 di LA:
"Item in exarandis translationibus Sacrorum Bibliorum ad usum liturgicum, pro more inspiciendus est ut subsidium textus Novae Vulgatae editionis a Sede Apostolica promulgatae, ad traditionem exegeticam servandam, quae peculiariter ad Liturgiam Latinam spectat, sicut alibi in hac Instructione est expositum."

Pertanto, il testo della Nova Vulgata serve solo per “ritagliare” le pericopi e, al limite, come testo ausiliario, nel caso in cui si debbano, appunto, “confezionare” i Lezionari.
A volte, lo ammetto, pure io rimango estraniato nella lettura dei nuovi Lezionari. A volte incespico, pur leggendo piano piano. Il motivo risiede nel fatto che da oltre vent’anni, personalmente, risento le stesse letture e dunque sono “abituato” a precedere la lettura, sapendo che alcuni brani proseguono in un modo e altri in un altro.
Ma in tutto questo, non si può affermare che la nuova traduzione della CEI sia scorretta. I traduttori hanno semplicemente applicato la normativa vaticana.

Queste considerazioni mi permettono di fare un altro esempio.

La traduzione della Bibbia, e dunque del Lezionario, del Padre nostro secondo l’evangelista Matteo, stando alle indicazioni di LA n.24, è corretta. E come potrebbe essere scorretta se è stato un punto molto dibattuto da teologici, biblisti, liturgisti, come mi raccontò una volta il Cardinal Biffi (personalmente favorevole alla traduzione attuale!)?
Un’altra questione, però, potrebbe essere sollevata circa la traduzione per la nuova edizione italiana del Messale. Stando a LA n.24, infatti, bisognerebbe capire se il Padre nostro è nell’Editio tipica latina un testo liturgico o un testo scritturistico. Dal mio modestissimo punto di vista, dal momento che il Messale si prodiga, tra l’altro, nello scrivere il Pater per esteso, direi che si tratta di un testo liturgico. Un po’ come le parole della consacrazione, per intenderci, ma ci tornerò successivamente. Stando dunque alla seconda parte del n.24, si potrebbe affermare che la traduzione del Pater deve essere fatta dall’Edizione tipica e non dal testo greco. Dunque, un conto è recitare il Pater durante la Messa e un altro è leggerlo nel Vangelo. E quindi è corretto tradurre nella liturgia post-consacratoria il “et ne nos inducas in tentationem, sed libera nos a malo” esattamente come oggi è tradotto: “e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male”. E, per coloro che vorrebbero tradurre “Male” o cose simili, si noti che nell’Edizione tipica “malo” ha la minuscola”. E la traduzione dal greco? Ripeto, si tratta di capire che tipo di testo sia. Ma ritengo che il Pater sia un testo liturgico, almeno in questo punto della Messa.

Ma andiamo anche all’altro punto, le parole consacratore.
Stanto a LA, sempre il fatidico numero 24, le parole vanno tradotte direttamente dal latino. Perciò, basta discriminazioni su cosa volesse dire Gesù in Matteo, Marco, Luca o Paolo o in un fantomatico Vangelo apocrifo. Le parole sono scritte in latino, sono testi liturgici e come tali vanno trattati!
Accipite et manducate ex hoc omnes: hoc est enim corpus meum, quod pro vobis tradetur” e
“Accipite et bibite ex eo omnes: hic est enim calix sanguinis mei novi et aeterni testamenti: qui pro vobis et pro multis effundetur in remissionem peccatorum. Hoc facite in meam commemorazionem
”.

Tentiamo una traduzione che tenga conto dello stilus latinus e della stuttura dell’italiano:

Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo, che sarà consegnato per voi”
"Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue, della nuova ed eterna alleanza, che sarà effuso per voi e per molti, in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me
”.

Penso che qui ci voglia un po’ di onestà intelletuale. Se si traduce Gv 6, 63 dal greco, non considerando, giustamente, la Neo Vulgata, occorre tradurre le parole consacratorie dal testo latino dell’Editio Tipica. E la traduzione (sfumatura più o sfumatura meno) non può che essere quella proposta ora. In questo caso, infatti, non c’è il dubbio che invece si ha con il Pater, perché il testo liturgico delle parole consacratorie è diverso dal latino di Girolamo, almeno per l’inserzione di una parolina molto importante “enim”. Come si potrebbe dunque pretendere di tradurre le parole consacratorie partendo dal testo greco, se in realtà il testo latino è stato modificato dalla Suprema Autorità della Chiesa, nel corso dei secoli, in modo da staccarlo definitivamente dalla Scrittura per fissarlo nella liturgia, appunto?

E, con un’ultima considerazione, vorrei concludere il mio intervento.
Qualcuno potrebbe ritenere necessaria la traduzione proprio della particella “enim”, come anche alcuni importanti liturgisti hanno proposto negli anni passati. In realtà, bisogna considerare che in latino (come nel greco, e farò un esempio subito dopo) esistono particelle che non vanno tradotte. Fanno parte della fraseologia della lingua, come per esempio in italiano esiste la parola “cioè”. L’esempio classico latino è dato dal “sicut”.
Il parlante (e lo scrivente, naturalmente) latino, utilizza molto il “sicut” ogni volta che deve descrivere una realtà: “come”. Non tutte le volte, però, il “sicut” va tradotto. Il latino direbbe (lo traduco direttamente in italiano): “Tu sei forte come un leone”. L’italiano, invece, predilige dire: “Tu hai la forza di un leone”. La prima ipotesi, che certo non è scorretta, è però pedante: è una traduzione traslitterata. E se oggi molti italiani usano dire: “Tu sei forte come un leone” è anzitutto per una poca conoscenza della lingua. Nessuno potrebbe mettere in discussione, infatti, il fatto che la seconda traduzione è stilisticamente più ricercata, degna della lingua italiano. Due lingue diverse, due sistemi di pensiero diverso, due modi diversi di esprimere la stessa realtà.

Ma facciamo un esempio in greco. Tutti conosciamo, e siamo grati, dell’esistenza di particelle che fin dalla quarta ginnasio abbiamo potuto saltare “perché non vanno tradotte”! Mi risuona ancora la voce stridula dell’insegnante di greco mentre ce lo ricorda alla lettura della versione dataci come compito in classe. Nel versetto di Gv 6, 63, i Vescovi hanno accettato la traduzione degli esperti che elimina, di fatto, la particella “ouv” (dunque). Si tratta, infatti, di un inciso che il parlante (scrittore) greco utilizza per rafforzare il senso del testo. Una traduzione che volesse far risaltare tale particella (traduzione traslitterata, ma che non tiene conto dello stile italiano) potrebbe essere: "Se dunque vedeste” o “qualora dunque vediate”. In realtà, una traduzione accettabile secondo i canoni dello stile italiano sarebbe la seguente: “Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?”. È esattamente la traduzione della CEI che ha valorizzato “ouv” attraverso l’inserzione di “e”, lasciando sottintesa l’apodosi, il cui significato è esattamente quello della domanda precedente. Sarò pedante io, questa volta, ma se la CEI avesse tradotto: “Questo vi scandalizza? Vi scandalizzereste, se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?”, avrebbe reso nel senso più chiaro (troppo) quanto espresso da Giovanni.

Tutto ciò non ci deve far paura. Di affermazioni non chiare nella Bibbia ce ne sono molte. È il lavoro dei teologi farci capire il significato. Prendiamo per esempio Mt 24, 36: “Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo, né il Figlio, ma solo il Padre”. Chi può comprenderla? Hanno sbagliato gli esperti della CEI?

Spero vivamente, con questo mio intervento, di aver reso più chiare le questioni in gioco. Spero, soprattutto, d’aver fatto capire che non basta un baccellierato in teologia o qualche infarinatura di latino per potersi ergere a paladini della tradizione o ad accusare chicchessia di non essere fedele al Papa.

A meno che non si voglia “vincere facile”, o come preferisco, moralista di vecchio stampo, dire io: “giocare sporco”.

DM

PS: In merito alle parole consacratorie, per evitare di essere accusato d'aver suggerito qualcosa che renderebbe invalido il Sacramento, ricordo che non è possibile cambiare forma e materia dei Sacramenti a nessuno, se non alla Suprema Autorità della Chiesa. Quindi, per intenderci, se un sacerdote decidesse di modificare a suo piacimento tali parole, porrebbe un atto in forma illecita e invalida. Con conseguenze gravi anche da un punto di vista canonico.

1 commento:

  1. A proposito di Traduzione .... Anche nella Liturgia ci deve essere Fedeltà al testo Scritto nella Lingua originale che per i Vangeli è la lingua greca ! Lo Spirito Santo ha Fissato in tale lingua la Divina Parola . Punto .
    E tra le parole Falsate dalla Sacra Scrittura ce ne sta una che porta in sé l adottare di comportamenti irriverenti , DISSACRATORI e profananti , ovvero il verbo che di recente Paolo vi ebbe a " tradurre " con l italiano " prendete " al posto del giusto
    RICEVETE !

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