Dal sito ufficiale della Diocesi di Porto Santa Rufina - Sezione Liturgia abbiamo tratto questa prima parte dell'intervento di S. E. Mons. Charles Joseph Chaput, O.F.M. Cap., Arcivescovo di Philadelphia, tenuto all'Istituto Liturgico dell'Università di St. Mary of the Lake, Mundelein, Chicago Illinois, USA il 24.06.2010 quando era Arcivescovo di Denver.
Le parole di Mons. Chaput si inseriscono mirabilmente e con forza nel nuovo movimento liturgico promosso e curato dal Papa Benedetto XVI (c.d. Riforma della Riforma o riforma "benedettiana").
Sull'Arcivescovo Chaput, filo-ratzingeriano in dottrina e in liturgia, avevamo già parlato in nostri precedenti post: qui e qui in occasione della sua nomina - suggerita al Papa dal Card. Ouellet - ad Arcivescovo di Philadelphia nel 2011, e qui quando, Arcivescovo di Denver, ebbe a fare un discorso da vero vescovo cattolico.
"Glorificate Dio con la vostra vita": Evangelizzazione e rinnovamento della Liturgia
di S.E. Mons. Charles Chaput, Arcivescovo di Philadelphia, già Arcv. di Denver
(traduzione a cura di G. Rizzieri).
"Il nostro intento non è adeguare la liturgia al mondo, ma lasciare che la liturgia sia se stessa: un'icona trasformativa dell'ordo di Dio"
Intendo iniziare questa riflessione nello scenario di un luogo inusuale: Mainz, in Germania, aprile del 1964. Soltanto pochi mesi prima, nel dicembre 1963, il Vaticano II aveva pubblicato un documento innovatore sulla liturgia. La 'Sacrosanctum Concilium' fu giustamente salutata come una sintesi del genio pratico e teologico del movimento liturgico. Il gruppo che si riunì a Mainz per la 'terza Conferenza Liturgica Tedesca' era comprensibilmente euforico e compiaciuto di sé. Un teologo pioniere del movimento liturgico europeo, membro di quel gruppo, non potè essere presente. Quel teologo era Padre Romano Guardini, autore dell'opera ormai classica "Lo spirito della liturgia". Pur non potendo esserci, Guardini inviò una lunga lettera aperta che fu letta durante la conferenza. In essa, egli lodava i lavori del Vaticano II, a testimonianza che lo Spirito Santo è vivo e guida la Chiesa, e affermava che la 'Sacrosanctum Concilium' avrebbe inaugurato una nuova fase nel movimento liturgico.
Il contenuto della sua lettera era tuttavia una complessa meditazione sul significato del culto. Nella parte finale, egli offriva un concetto che lasciò tutti sorpresi. Scriveva: "L'atto liturgico, e con esso tutto ciò che va sotto il nome di 'liturgia', non è così fortemente legato al contesto storico - antico o medievale o barocco -, per cui sarebbe più onesto rinunciarvi completamente? Non sarebbe meglio ammettere che l'uomo di questa era industriale e scientifica, con la sua nuova struttura sociologica, non è più capace di atto liturgico?". L'osservazione di Guardini fece grande scalpore, ma sembra che né teologi né liturgisti abbiano mai preso sul serio i suoi timori. Lasciate che vi dica che io invece quei timori li raccolgo. Penso che egli abbia messo il dito su una delle questioni cardine della missione nel suo tempo, e anche nel nostro.
Ciò che Guardini intendeva per atto liturgico, era la trasformazione della pietà e della preghiera personale in un genuino culto comunitario, la leitourgia, l'ufficio pubblico che la Chiesa offre a Dio. Riconosceva che la preghiera comunitaria della Chiesa era cosa ben diversa dalla preghiera privata di individui credenti. L'atto liturgico comporta un nuovo genere di coscienza, una "disponibilità verso Dio", una consapevolezza intima dell'unità di tutta la persona, corpo e anima, con il corpo spirituale della Chiesa presente in cielo e in terra. Comporta pure il riconoscimento che i sacri segni e le azioni della Messa - stare in piedi, in ginocchio, cantare e così via - sono in sé "preghiera". Guardini riteneva che lo spirito del mondo moderno stesse minando le convinzioni che rendono possibile questa coscienza liturgica. Egli spiegava che la nostra fede e il nostro culto non avvengono nel vuoto. Noi siamo sempre in qualche misura prodotti della nostra cultura. Le nostre strutture concettuali, le nostre percezioni della realtà, sono formate dalla cultura nella quale viviamo, che ci piaccia o no.
Proviamo a riferire la provocazione di Guardini al nostro attuale contesto americano: viviamo in una società in cui il principio organizzativo è il progresso tecnologico concepito in stretti termini scientifici e materialistici. La nostra cultura è dominata da tale visione onnicomprensiva di tipo scientifico e materialistico. Giudichiamo ciò che è "vero" e ciò che è "reale" da quello che vediamo, tocchiamo e verifichiamo attraverso la ricerca e la sperimentazione.
In tale genere di cultura, quale spazio può esservi per la tradizionale nozione cattolica riguardo alla persona umana creata a immagine di Dio invisibile, e che essa è una creatura di corpo e anima, infusa dello "Spirito di figliolanza" (cfr. Rom. 8, 15) mediante la liturgia e i sacramenti? Praticamente, quasi nulla di ciò che noi cattolici crediamo è sostenuto dalla cultura odierna. Perfino il significato di "umano" e di "persona" è soggetto a dibattito, come pure altri concetti dottrinali della visione cattolica sono aggressivamente ripudiati o ignorati. Pertanto la questione diventa: che implicazioni ha tutto ciò sul nostro culto - nel quale professiamo di essere in contatto, anima e corpo, con le realtà spirituali, cantando con gli angeli e i santi nel cielo e ricevendo sull'altare il vero Corpo e Sangue del Signore morto e risorto?
Ecco un altro dato: nella nostra vita di ogni giorno siamo circondati da monumenti inneggianti al nostro potere sulla natura e sul bisogno. I trofei della nostra autonomia ed autosufficienza sono ovunque - palazzi, macchine, medicine, invenzioni. Tutto sembra magnificare la nostra capacità di provvedere ad ogni necessità con il know-how e la tecnologia. Di nuovo la questione diventa: quale influsso ha tutto ciò con la premessa centrale per un corretto culto - che cioè siamo creature dipendenti dal nostro Creatore, e che dobbiamo rendere grazie a Dio per tutti i suoi doni, a cominciare dal dono della vita?
Possiamo porre le stesse questioni a proposito della nostra missione di evangelizzazione. Noi predichiamo la buona notizia che questo mondo ha un Salvatore in grado di liberarci dalla schiavitù del peccato e della morte, ma che impatto ha questa buona notizia in un mondo in cui la gente non crede nel peccato o che ritiene di non avere niente da cui essere salvata? Quale senso può avere la promessa della vittoria sulla morte per gente che non crede che esista nulla al di là del mondo visibile?
Allora ha ragione Guardini nell'affermare che l'uomo di oggi sembra incapace di vero culto? Penso di sì. Ma la domanda più importante per noi è questa: se ha ragione, noi che cosa faremo? Uno dei pochi che ha affrontato i temi sollevati dal Guardini, è un sacerdote di Chicago che ha dato il suo importante contributo per il rinnovamento liturgico e intellettuale della Chiesa, Padre Robert Barron. Barron affronta il tema in questo modo: "Il progetto non è formare la liturgia secondo le congetture dell'epoca, ma far sì che la liturgia interpelli e formi le congetture di ogni tempo. L'uomo di oggi è incapace di atti liturgici? Probabilmente. Ma non vi è nessuna ragione per disperare. Il nostro fine non è adeguare la liturgia al mondo, ma lasciare che la liturgia sia se stessa - un'icona trasformativa dell'ordo di Dio".
Barron sostiene che nell'era post-conciliare, l'istituzione liturgica cattolica ufficiale abbia optato per la prima scelta, cercando di adattare la liturgia alle esigenze della cultura contemporanea. Concordo e aggiungerei che il tempo ha dimostrato che si trattava di un vicolo cieco. Gli sforzi per inventare una liturgia più "rilevante" e "intelligibile" mediante una sorta di incessante culto della novità, ha generato solo confusione e una separazione ancora più profonda fra i credenti e il vero spirito della liturgia.
Non sono qui per riaccendere vecchie polemiche. Dobbiamo guardare a Gesù Cristo, e ciò significa che dobbiamo raccogliere la sfida insita nella questione del Guardini. Il prossimo grande compito del rinnovamento liturgico è costruire un'autentica cultura eucaristica, infondere una nuova sensibilità sacramentale e liturgica che renda i cattolici capaci di affrontare gli idoli e gli emblemi della nostra cultura con la fiducia dei credenti che traggono vita dai sacri misteri nei quali si entra in comunione con il Dio vivente. Dobbiamo scoprire vie nuove per penetrare nel mistero liturgico, per comprendere il posto centrale che la liturgia ha nel progetto salvifico di Dio, per vivere sinceramente come offerte spirituali per Dio, e per accettare le nostre responsabilità per la missione della Chiesa con una rinnovata spiritualità eucaristica.
Spero ora di dare il mio piccolo contributo per questo grande sforzo di rinnovamento presentando quattro punti:
Il primo è questo: dobbiamo recuperare la connessione intrinseca e inseparabile fra liturgia ed evangelizzazione. La liturgia è fonte e scopo della missione ecclesiale. Lo insegnava Cristo, era la prassi della Chiesa primitiva ed è stato riaffermato dal Concilio Vaticano II. Afferma la Sacrosanctum Concilium, 10: "La liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico infatti è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore".
E' una bellissima visione della vita che si riceve dall'Eucaristia e si vive per l'Eucaristia. Sia questo il fondamento non solo del nostro pensiero sulla liturgia ma anche per le nostre strategie pastorali. Noi evangelizziamo per far entrare in comunione con il Dio vivente nella liturgia eucaristica, e a sua volta, l'esperienza di comunione con Dio ci spinge ad evangelizzare. A tale riguardo, il Novus Ordo, il nuovo ordine della Messa promulgato dopo il Concilio, è stato una grande benedizione per la Chiesa. La liturgia ci dona lo zelo per l'evangelizzazione e la santificazione del mondo. La traduzione nelle lingue correnti ha aperto nuove vie al contenuto liturgico, ha incoraggiato una partecipazione attiva e creativa di tutti i fedeli - non solo nella liturgia ma in ogni aspetto della missione della Chiesa.
Sono inoltre molto riconoscente al Santo Padre per avere concesso un uso più ampio della vecchia forma tridentina - non perché io la preferisca, trovo infatti che il Novus Ordo, correttamente celebrato, abbia un'espressività di culto molto più ricca; ma perché abbiamo bisogno di accedere all'intero patrimonio ecclesiale di fede e di preghiera. Il mio primo punto dunque è che non dobbiamo guardare alla liturgia come a qualcosa di distinto dalla nostra missione. Il nostro atto di culto a Dio nella Messa è un atto di adorazione, di sottomissione e di ringraziamento, come pure di adesione cordiale alla nostra vocazione di discepoli. Ecco perché ogni liturgia eucaristica termina su una nota missionaria - siamo mandati, incaricati di condividere il tesoro che abbiamo scoperto a chiunque incontriamo. (continua)
fine - I parte -
I parte dell' intervento tenuto da Mons. Charles Chaput all'Istituto Liturgico dell'Università di St. Mary of the Lake, Mundelein, Chicago Illinois, USA, il 24.06.2010
fonte http://www.archden.org/index.cfm/ID/4113 - trad. it. a cura di d. Giorgio Rizzieri
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