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giovedì 8 dicembre 2011

“Vita pastorale”: attacco di Andrea Grillo alla Curia Romana per scongiurare "l'esperienza della Tradizione" !

Rompo la “tregua” della festa odierna (8 dicembre) e pubblico questo inquietante post su consiglio di diversi Sacerdoti che sono, giustamente, indignati per un intervento del Prof. Andrea Grillo comparso su VITA PASTORALE 11/2011, che mi hanno prontamente segnalato e spedito . 
Desidero, in primis, manifestare la mia solidarietà totale agli Ecclesiastici della Curia Romana , sacrosanto organismo ecclesiale, che nelle parole del Prof. Grillo su VITA PASTORALE ha subito un'indegna “diminutio” . Un cattolico, che deve costantemente esercitare nella virtù dell'umiltà e della santa obbedienza al Magistero e ai legittimi Pastori, non può accettarel'articolo contenuto su VITA PASTORALE, ne cito solo un pezzo: 

 “(Le Congregazioni vaticane N.D.R.) che avrebbero la pretesa di valere per la Chiesa universale. Sono solo il frutto poco meditato di quella esperienza limitata e asfittica, senza popolo e senza respiro, che costituisce uno dei problemi strutturali di quella provincia ecclesiastica che si chiama Curia romana”. 

Molti Sacerdoti che lavorano nei Dicasteri vaticani hanno conseguito una o più lauree con tanto di prestigiose specializzazioni con pubblicazioni specifiche. La cosa tuttavia più importante agli occhi di Dio è l'esercizio costante nella preghiera e nel sacrificio personale, come paternamente sollecitato, in diverse occasioni, da Papa Benedetto XVI. Ma tutto questo non interessa al Prof. Grillo. 
Quando c’è odore di riforma liturgica, la tanto invocata "riforma della riforma", solleciata da tempo da un numero sempre maggiore di Sacerdoti; quando si percepisce effluvio di tradizione ... c’è da passare ai fatti addossando ai Sacerdoti della Curia Romana la "demagogica" accusa di avere un' “esperienza limitata e asfittica”! Il Vostro gradito contributo verbale a questo post sarà interprerato come una doverosa "difesa" dei Sacerdoti che lavorano, fra mille difficoltà, nella Vigna del Signore : la Curia Romana. I tempi, aimè, son cambiati ! Una volta nelle Diocesi e nelle Parrocchie si festeggiava quando un Sacerdote veniva chiamato a lavorare nella Curia Romana. 

Ora questi bravi Sacerdoti si debbono beccare le "soavi" parole di VITA PASTORALE ... Buona e santa festa a tutti Andrea Carradori 

 VITA PASTORALE N.11/2011 

Ci scrivono QUELLI CHE… LA RIFORMA VA RIFORMATA 
Mi permetto una domanda, motivo profondo di sofferenza. E stato detto, da un eminente principe della Chiesa, che si sta pensando a un nuovo rito che faccia sintesi tra quello di Paolo VI e quello tridentino. Mi domando: Ma che senso ha insistere tanto nel voler "riformare" la riforma liturgica del concilio Vaticano II? Che cosa ha di tanto pericoloso? Ma i due Pontefici che l'hanno rispettivamente firmata (Paolo VI) e fedelmente impiegata (il beato Giovanni Paolo Il) erano così poco accorti da non vedere il pericolo per la fede che in essa si poteva nascondere? Forse che questi due grandissimi Pontefici erano meno infallibili di altri? E perché mettere in luce soltanto gli sbagli e le deviazioni nell'applicare la riforma: e molto poco, o quasi mai, evidenziare il bene immenso che la stessa ha portato? Forse che lo Spirito Santo per un certo periodo è stato assente dalla vita della Chiesa? don Vittorio De Stefani - Lendinara (Ro) Risponde il prof. Andrea Grillo. Da qualche tempo nella Chiesa circolavano queste idee circa un "nuovo rito comune", che erano scaturite in ambienti marginali e animati da un forte spirito di reazione - spesso scomposta ed esasperata - verso la riforma liturgica. La cosa sorprendente è che ora anche alcuni cardinali si mostrino convinti di questa necessità. Per rispondere alle numerose e fondate domande del lettore dobbiamo cominciare da lontano. Non basta riferirsi a Paolo VI e a Giovanni Paolo II, ma bisogna cominciare da Giovanni XXIII. Il quale, quando fece l'ultima riforma del rito tridentino, dando vita al Messale del 1962, era consapevole di fare un'operazione "provvisoria"; in vista dei "più alti principi" che il Vaticano II - allora ancora solo annunciato - avrebbe presto stabilito, orientando una profonda riforma di tutti i riti cristiani. Il fatto recente di aver reso parallela la vigenza di un messale provvisorio non più vigente (del 1962) con quello che lo aveva intenzionalmente sostituito ha creato il problema che ora si vorrebbe risolvere con un rimedio peggiore del male. Il rito comune lo abbiamo già, anche se qualcuno non se ne è mai accorto. D'altra parte io credo che bisogna avere una speciale indulgenza verso alcuni ufficiali della curia romana. cardinali compresi. Essi spesso, per molte ragioni, non necessariamente cattive, sono costretti a vivere nei ritmi schiaccianti di “uffici” che impongono loro una vita liturgica marginale , individualistica, spesso molto povera. Certe prese di posizione, che avrebbero la pretesa di valere per la Chiesa universale. Sono solo il frutto poco meditato di quella esperienza limitata e asfittica, senza popolo e senza respiro, che costituisce uno dei problemi strutturali di quella provincia ecclesiastica che si chiama “curia romana”. La quale può anche arrivare a generare mostri, quando pretende d’interpretare il grande cammino della riforma liturgica con il bilancino da farmacista del giudizio sugli “abusi. Il Concilio Vaticano II ha introdotto nella Chiesa un gusto nuovo e profetico per l’uso liturgico che la tradizione aveva in larga part smarrito o oscurato. Rispetto a questo obiettivo, che oggi sta davanti a ogni comunità cristiana, il disegno di riforma della riforma" è frutto di un duplice vizio della speranza. Da un lato deriva dalla disperazione verso il cambiamento voluto dal Concilio, ma dall’'altro scaturisce dalla presunzione che un assetto "più vecchio" garantisca meglio la Chiesa. Questo cocktail di disperazione e di presunzione può fare molto male alla Chiesa, non deve essere mai assecondato. Occorre invece lavorare accuratamente all'interno dell'unica riforma vigente, quella cominciata con Paolo VI e poi continuata sotto Giovanni Paolo Il. Al suo interno dovremo lasciare davvero la parola ai riti, dovremo recuperare la competenza ecclesiale - non solo dei chierici - su tutti i linguaggi non verbali, riscoprendo la bellezza del silenzio, ma anche imparando a parlare e a cantare coralmente, riscoprendo la forza dei simboli rituali per meglio vivere la realtà quotidiana della fede. In fondo la comunità cristiana, nella sua articolazione ministeriale, deve oggi esercitare una funzione di richiamo alla realtà, risvegliando alcuni uomini di Chiesa dal loro profondo sonno curiale, visitato da sogni che illudono e distorcono il rapporto con la realtà, minacciando di compromettere il cammino lento e paziente con cui la speranza viene continuamente alimentata e rilanciata. Dovremmo tutti ricordare che il sonno delle ragioni della riforma per educare alla gratuità della testimonianza evangelica: «Mentre tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà » (Mt 6,3). Ancor più puntuali le parole di Gesù ai suoi discepoli he si rallegravano dei loro successi e della loro fama presso le folle: «Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20). Il che non impedisce affatto che i nomi dei benefattori siano scritti in un dignitoso album, su una pergamena che non ostenta, ma tramanda giustamente la memoria storica della comunità genera mostri. Alcuni dei quali cominciamo a veder apparire, con giustificato stupore, in mezzo a noi. Ma non dobbiamo preoccuparci troppo: si tratta di fenomeni sostanzialmente marginali, talvolta amplificati dalle logiche potenti della paura mescolata al servilismo, che non manca mai. Tra qualche tempo ci ricorderemo di queste vicende come frutto dei sogni di qualche visionario con poco equilibrio, presto ricondotto alla realtà vera dalla forza della vita, che non fa sconti neppure a chi veste strascichi chilometrici e identifica il culto cristiano con lo sfoggio di pizzi e manipoli. -

[E no mio caro prof. Grillo, la stragrande maggioranza di "Tradizionalisti" non è affatto visionaria! Ed è molto più equilibrata di quello che Ella pensa. Sicuramente più coerente e pronta al sacrificio. Per noi la Tradizione e la Fede non si misura coi metri degli strascichi! (E' ora di smetterla di dipingerci così!) Non facciamo sfoggio di pizzi (se ci sono, ok, ma non sono la nostra primaria preoccupazione! Della Chiesa vogliamo salvare ben altro! E invece i manipoli, sì! Oh sì, quelli li vogliamo. Ci teniamo, ai manipoli, e guai a chi te li tocca! Quelli sì! 
I Manipoli che rappresentano lo zelo, il lavoro, le buone opere e il pianto. Quanto vi è bisogno nella Chiesa di tutte e quattro queste cose! E a sentir Lei, sa quanto piangiamo? Ma è un pianto dolce, un lavoro santo, è un sacrificio lieve, come il giogo del Signore! Come dice il sacerdote quando indossa il manipolo: Merear, Domine, portare manipulum fletus et doloris; ut cum exsultatione recipiam mercedem laboris. (R.)]

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