La Bussola di Massimo Introvigne 17-09-2011
La storica casa editrice francese Dominique Martin Morin sembrava minacciata di sparizione ma continua invece a operare, dopo il trasferimento da Bouère (Mayenne) a Poitiers. Ha così reso di nuovo disponibile nel suo catalogo Pour qu’Il règne, l’opera fondamentale di Jean Ousset (1914-1994) [nella foto], stampata l’ultima volta nel 1998 e la cui prima edizione pubblica risale al 1959. La nuova facilità di reperire un’opera che sembrava irreperibile è una buona notizia. Il libro rimane infatti l’opera maggiore prodotta dalla scuola contro-rivoluzionaria francese nel secolo XX. La scuola contro-rivoluzionaria prende nome dall’opposizione alla Rivoluzione francese ma non è affatto una scuola "nostalgica" del 1788 - sa bene che se si tornasse al 1788 dopo un anno… verrebbe il 1789 - e sviluppa al contrario una critica di un processo di allontanamento dalla verità cattolica che ha origini molto più remote e che chiama appunto "Rivoluzione". Jean Ousset e la sua associazione La Cité Catholique - poi continuata sotto altra forma - hanno proseguito questa scuola, in Francia e altrove, per gran parte del secolo scorso.
Opera immensa, Pour qu’Il règne può essere difficilmente riassunta. Non è però impossibile farne emergere un’architettura. Il punto di partenza del testo è la dottrina della regalità sociale di Gesù Cristo. In quanto Alfa e Omega, inizio e fine della Creazione, Cristo è re di tutto l’universo. Questa regalità non si esercita solo sui cuori, ma sulle nazioni. Ousset dedica un intero capitolo all’esegesi dell’affermazione di Gesù Cristo secondo cui «il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18, 36), spiegando che la frase significa che si tratta di un regno che non nasce da questo mondo, «non proviene da questo mondo», secondo una formula che riprende dal cardinal Louis-Edouard-François-Desiré Pie (1815-1880). Tuttavia il regno di Gesù Cristo si esercita su questo mondo, e «la formula non significa in nessun modo che Gesù rifiuti di riconoscere alla Sua Sovranità il carattere di regalità sociale».
Dal momento che quello di Gesù Cristo è il regno della verità - il Maestro lo spiega a Pilato, appunto dopo avergli detto che il suo regno «non è di questo mondo» - il liberalismo relativista, che nega l’esistenza della verità, ha il suo inizio emblematico nella successiva battuta del procuratore romano: «Che cos’è la verità?» (Gv 18, 38). Dal liberalismo deriva il laicismo, cioè la separazione fra religione e politica. Il contrario del laicismo non è la confusione fra politica e religione, ugualmente riprovata dalla Chiesa, ma la distinzione fra le due sfere, che permette la loro feconda collaborazione. In campo sociale la Chiesa enuncia princìpi morali che - benché si applichino anche alla vita della società e alla politica e non solo alla morale individuale - sono obbligatori per tutti i cattolici. Questi non devono, per esempio, soltanto rinunciare al divorzio nella loro vita personale ma debbono pure essere contrari alle leggi che ammettono e favoriscono il divorzio.
La dottrina sociale della Chiesa ha anche fissato dei princìpi generali così spesso ripetuti che un cattolico non potrebbe allontanarsene senza grave rischio per la sua fedeltà ai Pontefici e al Magistero. Ma «il dettaglio pratico, la cura giornaliera degli affari pubblici, l’adattamento dei princìpi eterni della saggezza politica alle diverse condizioni di tempo e di luogo» sono invece lasciati dal Magistero stesso alla responsabilità dei laici cattolici. Dei laici, e non dei sacerdoti: «il laico, in un certo senso, è più direttamente interessato allo sviluppo della regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo e questo nella misura stessa in cui si trova, più che il sacerdote, impegnato nell’ordine temporale, nell’ordine civile, nell’ordine secolare, più impegnato nelle cose sociali, più direttamente interessato in materia politica…». Ricordando che i sacerdoti insegnano la morale sociale ma lasciano ai laici la scelta del modo di applicarla nelle situazioni politiche contingenti si evitano insieme gli scogli del laicismo e del clericalismo. Va notato come queste idee siano espresse da Ousset prima della Apostolicam actuositatem del Concilio Ecumenico Vaticano II, di cui anticipano un tema essenziale.
Se questa è la "tesi", per Ousset nella storia concreta degli uomini occorre avere a che fare con l'"ipotesi", cioè con le condizioni concrete che talora impediscono di realizzare la tesi nella sua integralità. Non è sempre illecito accontentarsi di una realizzazione parziale: purché, anche in questo caso, la tesi della regalità sociale sia costantemente ribadita nella sua integralità.
Il regime dell’ipotesi è determinato in Occidente dalla presenza dominante del naturalismo, che si presenta secondo Ousset in tre gradi o categorie. Il naturalismo della prima categoria «nega perfino l’esistenza del soprannaturale, […] lo esclude apertamente considerandolo una follia, un’assurdità o almeno qualche cosa che, se esiste, è inconoscibile». Quello della seconda categoria «a rigore non nega l’esistenza del soprannaturale, ma rifiuta di riconoscerne il primato»: il soprannaturale esiste, ma l’uomo colto, superiore e «filosofo» è in grado di farne a meno, o almeno può non legarsi al soprannaturale com’è presentato da una determinata religione dal momento che i suoi strumenti filosofici - o «l’esoterismo» - gli permettono di cogliere il fondo comune di tutte. Infine, il naturalismo della terza categoria ammette l’esistenza e in tesi anche il primato del soprannaturale, ma pensa che si tratti di una «materia opzionale» di cui nel contesto della società moderna, tanto più in campo politico e sociale, si può legittimamente non tenere conto, così evitando divisioni e polemiche che sarebbero sostanzialmente dannose.
Il naturalismo in azione per Ousset si chiama Rivoluzione, un termine che - secondo appunto l’insegnamento della scuola contro-rivoluzionaria - non si riferisce a un singolo avvenimento ma a un processo plurisecolare. «La Rivoluzione è satanica», sia nel senso che il non serviam degli angeli ribelli è il tipo di ogni Rivoluzione - così che «il riferimento a Lucifero è indispensabile» - sia nel senso che Satana, «primo rivoluzionario», continua la sua azione nella storia attraverso una «contro-Chiesa». Non si tratta di Messe nere né di fenomeni straordinari, ma dell’«azione molto ordinaria e, per così dire, continua dell’Inferno in mezzo a noi. Satanismo autentico, ma senza odore di zolfo o apparizioni di diavoli cornuti».
Al naturalismo della prima categoria corrispondono le «truppe regolari» della Rivoluzione: conventicole che si propongono esplicitamente la sovversione dell’ordine naturale e cristiano. Né si tratta solo della massoneria, di cui pure Pour qu’Il règne si occupa ampiamente. L’ampio quadro descritto da Ousset parte dai movimenti gnostici contro cui dovettero lottare i Padri della Chiesa e già gli apostoli; prosegue con i manichei, i catari, gli albigesi; accenna agl’influssi della qabbalah ebraica nella formazione di conventicole eterodosse che nel secolo XVII sventolano la bandiera dei Rosacroce; indaga i legami fra il movimento che prende il nome dal mito dei Rosacroce e la nascita della massoneria.
Se il dettaglio storiografico può talora apparire, oltre cinquant’anni dopo la prima edizione di Pour qu’Il règne, superato da studi successivi, il quadro d’insieme non manca di conservare una sua coerenza. Né Ousset indulge ad atteggiamenti "complottisti" o immagina un’unica grande mano dietro l’intero processo rivoluzionario: «Occorre evitare tuttavia - scrive - di farsi un’idea troppo semplice, che alla fine andrebbe a vantaggio delle sette, di un’inesistente unità della loro intesa e della loro azione. Se la contro-Chiesa è una, essa è pure multipla e terribilmente divisa».
L’azione della contro-Chiesa nella storia dell’Occidente mira a distruggere quella imperfetta ma non immaginaria realizzazione della regalità sociale di Gesù Cristo che era stata la civiltà cristiana del Medioevo attraverso tre tappe essenziali: la Riforma, la Rivoluzione francese e il laicismo del secolo XIX, che comprende il socialismo e prepara il comunismo. La ricostruzione di queste tappe da parte di Ousset segue - e sistematizza - un patrimonio comune di lettura della storia che si era da tempo affermato nella scuola contro-rivoluzionaria. Uno dei punti di riferimento di Ousset - insieme a mons. Henri Delassus (1836-1921) - è qui mons. Jean-Joseph Gaume (1802-1879), utilizzato anche per ricordare, ogni volta che l’autore lo giudica necessario, che mentre si esaminano gli infiniti passaggi del processo rivoluzionario occorre non perdere mai di vista la sua unità.
Pour qu’Il règne riprende da mons. Gaume questo brano eloquente sulla Rivoluzione: «Se, strappando la sua maschera, le domandate: Chi sei?, vi dirà: “Non sono quello che si crede. Molti parlano di me ma ben pochi mi conoscono. Non sono né il carbonarismo che cospira nell’ombra né il moto che tuona per le strade, né il cambiamento dalla monarchia alla repubblica né la sostituzione di una dinastia a un’altra, né la turbativa momentanea dell’ordine pubblico. Non sono né le urla dei Giacobini né il furore della Montagna [cioè della corrente di sinistra nella Convenzione Nazionale del 1792 durante la Rivoluzione francese], né il combattimento delle barricate, né il saccheggio, né l’incendio, né la riforma agraria, né la ghigliottina né le noyade [cioè gli assassini per annegamento di preti caricati, sempre durante la Rivoluzione francese, su barche che poi erano affondate]. Non sono né [Jean-Paul] Marat [1743-1793] né [Maximilien] Robespierre [1758-1794], né [Gracchus] Babeuf [1760-1797], né [Giuseppe] Mazzini [1805-1872], né [Lajos] Kossuth [1802-1894]. Questi uomini sono i miei figli, non sono me. Queste cose sono le mie opere, non sono me. Questi uomini e queste cose sono fatti passeggeri: ma io sono uno stato permanente. Io sono l’odio di ogni ordine religioso e sociale che l’uomo non ha stabilito lui e nel quale non è re e Dio insieme. Io sono la proclamazione dei diritti dell’uomo contro i diritti di Dio. Io sono la fondazione di uno stato religioso e sociale sulla volontà dell’uomo al posto della volontà di Dio. Io sono Dio detronizzato e l’uomo al suo posto. Ecco perché mi chiamo Rivoluzione, che significa rovesciamento”».
Al naturalismo della seconda categoria corrisponde quella che Ousset chiama la «quinta colonna» della Rivoluzione, cioè il progressismo all’interno della Chiesa. A ogni fase della Rivoluzione corrisponde una fase specifica del progressismo: alla Riforma, il giansenismo e il gallicanismo; alla Rivoluzione francese, il cattolicesimo liberale; al processo che va dal laicismo ottocentesco fino al socialismo e al comunismo, il modernismo - con la sua specifica declinazione sociale, il movimento politico cattolico-democratico e modernista detto Sillon - e i cedimenti dottrinali e operativi di teologi e uomini di Chiesa di fronte alle forze socialiste e comuniste.
Al naturalismo della terza categoria corrispondono i «nostri stessi abbandoni e complicità»: la fede timida, il linguaggio equivoco, il compromesso che si traveste da prudenza, le collaborazioni ambigue. Qui Ousset affronta il tema molto delicato della collaborazione con non credenti che si dichiarano rispettosi della causa della Chiesa. Una certa collaborazione, afferma, è possibile. Ousset riprende una metafora dal gesuita Pedro Descoqs (1877-1946): «Supponiamo che due gruppi di uomini, uno di credenti e uno di non credenti, si accordino per portare i pesanti elementi di un’impalcatura sul sagrato di Notre Dame. Il primo gruppo ha intenzione di costruire l’impalcatura per restaurare la facciata. Il secondo vuole costruire l’impalcatura ma servirsene per dare fuoco alla chiesa. I due gruppi sembrerebbero d’accordo sul risultato immediato: portare gli elementi di legno sul sagrato della cattedrale. Ma le intenzioni e gli scopi degli uni e degli altri sono in contraddizione tra loro. Il loro connubium è dunque semplicemente immorale e va condannato senza riserve. Ma supponiamo invece che questi due gruppi s’intendano per trasportare gli elementi dell’impalcatura e che tutti e due se ne vogliano servire per restaurare la facciata della chiesa. Il primo, è vero, per spirito di fede e per rendere omaggio a Dio mentre il secondo vuole semplicemente salvaguardare una meraviglia artistica e un’eredità della vecchia Francia. Per quanto sia meno elevata, questa seconda intenzione non è ad alcun titolo immorale. Non si vede quindi dove starebbe l’ingiustizia e l’immoralità nei cattolici che collaborassero con questo secondo gruppo in vista dello stesso risultato concreto da ottenere, il trasporto degli elementi fino alla piazza di Notre Dame, perché gli uni e gli altri si propongono di cooperare alla stessa opera buona».
Chi ha orecchie per intendere intenda, ma Ousset non si ferma qui. Aggiunge che «un cattolico non potrà mai accettare che la Chiesa sia presentata SOLTANTO come uno strumento al servizio del bene sociale o nazionale» (p. 380). Ed esprime ampi dubbi sulla reale possibilità di unire i nemici della Rivoluzione intorno alla nazione e al bene comune naturale, senza riconoscere nella Chiesa la custode plurisecolare di questo bene.
Si dirà - e ci saranno critici per farlo notare - che tutto l’immenso affresco della Rivoluzione presuppone che quanto il processo rivoluzionario ha distrutto, cioè la cristianità medioevale, meritasse di essere conservato, mentre è proprio questo che i progressisti negano facendo rilevare che anche il Medioevo era pieno di peccatori e d’ingiustizie. Sì, risponde Ousset, ma - «coloro che per scusare i disordini del nostro tempo - ha detto perentoriamente [Louis] de Bonald [1754-1840] - cercano esempi di disordine nel passato dimenticano che allora il disordine era nei costumi e nell’amministrazione, mentre oggi è nelle leggi, e che non c’è disordine veramente durevole se non quello che è consacrato dalla legislazione» (p. 407).
La terza parte di Pour qu’Il règne mira a rispondere a un’altra obiezione: ormai la Rivoluzione ha vinto, e non c’è più nulla da fare. Si tratta di una serie di meditazioni di profonda spiritualità che contemplano, rispettivamente, la Croce, Gesù Cristo come uomo dei dolori, il mistero della Chiesa e le beatitudini evangeliche. Attraverso queste meditazioni - che sono parte integrante del volume - Ousset intende convincere il lettore che non si ha né il dovere né il diritto di disperare. L’enorme macchina messa in campo dalla Rivoluzione non è riuscita a distruggere la Chiesa, perché questa è divina. Il testo combatte anche la tentazione spiritualista di affidarsi all’intervento miracoloso del Cielo o di ricorrere soltanto alla preghiera. Ousset ricorda la parola di santa Giovanna d’Arco (1412-1431): «Gli uomini d’armi combatteranno, e Dio darà la vittoria».
Vedi anche:
- Jean Ousset e La Cité Catholique. A cinquant’anni da "Pour qu’Il règne", di M. Introvigne
per il rinnovamento liturgico della Chiesa, nel solco della Tradizione - a.D. 2008 . - “Multa renascentur quae iam cecidere”
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martedì 27 settembre 2011
Torna un grande testo di Jean Ousset
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Due ottimi articoli su un grande autore, grazie! Belle anche le foto all'articolo linkato
RispondiEliminaGrande Jean Ousset! Ma l'articolo ... farne un anticipatore del VAT II! Leggete su l libro di De mattei il dialogo tra Jean Ousset e Mons. Lefebvre che gli comunicava la convocazione del Concilio e cosa ne pensava il nostro ...
RispondiEliminaGrazie!
RispondiElimina<span>Io sono la proclamazione dei diritti dell’uomo contro i diritti di Dio. Io sono la fondazione di uno stato religioso e sociale sulla volontà dell’uomo al posto della volontà di Dio.
RispondiEliminaIo sono Dio detronizzato e l’uomo al suo posto. Ecco perché mi chiamo Rivoluzione, che significa rovesciamento”».
ma questo E' esattamente CIO' CHE E' accaduto dentro la Chiesa, dal 1962, e poi nella riforma della Santa Messa, diventata "Cena" o allegro banchetto celebrato dall'uomo=presidente+assemblea, con l'uomo al centro dei pensieri, parole, canti e "scenario animato" nell'"aula liturgica". Uomo al centro dell'actio, actor, faber.
antropocentrismo > antropolatria.
Appunto.</span>
Si tratta di una visione estremamente interessante. Ma, in concreto, su quali campi legislativi bisognerebbe intervenire, quali mutamenti di fondo provocare, con quali forze e con quali alleanze?
RispondiElimina<span><span>«Quando la Messa sarà stata rovesciata, io sono convinto che avremo rovesciato con essa il papismo. (...). </span></span>
RispondiElimina(M. Lutero)
Introvigne fa tenerezza: quasi tutto quello che dice qui, è stato superato dal Concilio Vaticano II in poi e ben difficilmente si armonizza con la dottrina del Vaticano II (bene o male che sia). Riproporlo sic et simpliciter, come minimo è ingenuità. E meno male che qualche tempo fa si era arrabbiato perché qualcuno qui (non io) definiva "massonica" la libertà di religione. Introvigne bifronte?
RispondiEliminaVero è che l'enfasi sul laicato sembra consonante col concilio, ma in effetti già prima c'era chi rivalutava il ruolo del laicato. La frase di De Bonald citata è simpatica, ma non sarebbe male ricordare che il "tradizionalismo" di De Bonald fu condannato da Gregorio XVI, papa notoriamente filomassonico :-D La teoria della Rivoluzione permanente è una noia di stampo pliniano, una costruzione ideologica che non regge sul piano storiografico: il fatto che la Chiesa abbia avuto sempre avversari si può spiegare solo metafisicamente, non con ricostruzioni storiche abborracciate.
Sarà per la mia scarsa cultura ma lo scritto di Introvigine mi è parso difficile,contorto e poco chiaro. D'altra parte non può essere diversamente per un tradizionalista che è passato all'apprezzamento della cultura conciliare messa compresa. Poi la troppa considerazione di se porta alla estenuante lunghezza che alla fine è il difetto più grande.
RispondiElimina@ Iginio. Che De Bonald sia stato condannato mi giunge nuova ( o forse me lo sono dimenticato ). Si tratta forse delle sue teorie su una rivelazione primitiva? Qualcosa di simile alla condanna dell'"Action Francaise" da parte di Pio XI? Della ripulsa di una eccessiva commistione tra politica e religione?. Mi informerò in proposito.
RispondiEliminaGregorio XVI era notoriamente filomassonico? Ma non fu lui l'autore dell'enciclica "Mirari vos" in cui si additava la libertà di stampa come un veleno della società, e che secondo i laicisti fa il paio per oltranzismo reazionario con il "Sillabo"? Sotto di lui non venne condannata l'azione di Lamennais, passato dal conservatorismo più deciso al filoliberalismo, diffuso tramite il suo giornale "L'avenir"?
( A questo proposito chiedo a chi ne sa: non è che il titolo"L'avvenire d'Italia" sia stato scelto con un più o meno sotterraneo richiamo al liberalismo di Lamennais? )
"Noia di stampo pliniano"? Mi scusi: io certamente scrivo arrovellato, ma lei? Vuol dire forse che di un grande fenomeno politico-culturale di lungo periodo paragonabile a un movimento tettonico, delle zolle continentali, o a un evento vulcanico?
Teoria della rivoluzione permanente? Neanch'io guardo con favore alla teoria di una congiura passata di mano in mano come una staffetta nel corso dei secoli moderni, nè intravedo un massone dentro ogni tombino della strada. Questo non significa che non ci siano state e ci siano tuttora organizzazioni più o meno sommerse, come un tempo la Carboneria, che miravano a distruggere o almeno a mettere in un angolo la Chiesa; però il loro successo dipende dal fatto che l'onda dei tempi ha una direzione tale da permettere loro di cavalcarla agevolmente.
Il fatto che la Chiesa abbia avuto sempre avversari può avere vari livelli di spiegazione. C'è quello dell'azione della "Potenza delle tenebre" con l'Anticristo come ultima, terribile espressione; c'è, come in risposta, il discorso della mancanza di "pietà" e carità nei fedeli, invitati a rimettersi sulla retta via con la preghiera ( come nel messaggio di Fatima ). C'è quella, a cui mi sto applicando da decine di anni, per cui il razionalismo scientista e ultrariformista - rivoluzionario non rappresenta semplicemente un "vizio", una deviazione patologica, una strana depravazione del pensiero, ma un fenomeno intrecciato con lo sviluppo tecnologico ed economico, fattosi galoppante negli ultimi due secoli. Alla velocità dei cambiamenti non ha corrisposto il lavoro di costruzione di una cultura cattolica capace di sviluppare, o di sviluppare in modo adeguato il lavoro apologetico necessario per evitare lo scivolamento della borghesia verso il laicismo. Ieri sera hio letto un brano da una lettera di Rosmini, in cui quel grand'uomo, umile e fedelissimo, ammirato e incoraggiato dai papi nella sua opera di studioso impegnato a costruire una "controfilosofia" cattolica adeguata ai tempi, sosteneva che la preparazione culturale del clero, specialmente in filosofia, era assolutamente inadeguata.
Personalmente dico: tanto più nel momento presente in cui, essendo impegnatissimi per "tappare i buchi", non hanno tempo per studiare ( e nelle prediche si sente, eccome! ).
@ Vinicio. ( Com'è ben scelto questo nickname! ). Il testo di Massimo Introvigne è evidentemente per specialisti di storia politica, non divulgativo. A mio parere suo valore principale consiste nella citazione di personaggi riconducibili sia al cattolicesimo conservatore che a quello liberale e "aperturista" - progressista; nomi da cui chi è interessato può partire per ulteriori ricerche sull'humus da cui sono nate le due correnti del Cattolicesimo francese, in modo tale da evitare la considerazione del fenomeno Lefevbre come una specie di "meteora" originata dalla fissazione oltranzista di un singolo cervello anziano.
RispondiEliminaMassimo Introvigne, laureato in legge, fa evidentemente il suo lavoro, rivolgendosi a una fascia culturalmente elitaria; in ciò nulla di male, anzi molto di bene, purchè ci siano altri autori che si rivolgono ad altre fasce. Analogamente, occorrerebbe un maggior numero di studiosi capaci di approfondire i problemi relativi a scienza e scientismo nei loro rapporti con la teologia: ad esempio i rapposti fra creazionismo - evoluzionismo - darwinismo, una tematica oggi etremamente importante, di "stantis aut cadentis" pensiero laicista - ateistico.
Beh, francamente, se uno non capisce l'ironia (Gregorio XVI "filomassonico"), è inutile discutere. Quanto poi a De Bonald messo all'Indice, non è colpa mia né l'ignoranza altrui è da addebitare a me.
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