Dell'abito dei chierici.
del Ven. Jean-Jacques Olier
PARTE II – DELLA COTTA
Il santo vescovo, parlando dell'abito dei chierici, lo chiama l'abito della santa religione (60) come noi lo abbiamo già detto.
Questo abito significa due cose: la morte a se stesso ed al peccato, e la vi ta dedicata a Dio. «Consideratevi, – dice S. Paolo, – come morti al peccato e non vivendo più che per Dio in nostro Signore Gesù Cristo» (61).
Questo doppio stato di vita e di morte ci è comunicato nel santo battesimo, per il quale noi moriamo come Gesù e risuscitiamo come Lui alla nuova vita (62); Di ciò facciamo solenne e speciale professione nella tonsura, quando noi dichiariamo di morire al mondo ed alle creature (63) per non vivere che di Dio, della sua gloria e del servizio della sua Chiesa (64).
S. Giacomo . esprime la nostra religione in questi due effetti: Religio munda, dice egli, et inmaculata apud Deum et Patrem, haec est visitare pupillos et viduas in tribulatione eorum et inmaculatum se custodire ab hoc saeculo (65). La nostra santa religione consiste innanzi tulto nell'essere completamente morti pel mondo, di modo che nulla resti in noi delle sue macchie, della corruzione delle sue massime e della impurità del suo amore.
In secondo luogo, essa consiste nel compiere santamente le opere di carità e di vita divina, come soccorrere il prossimo nelle sue necessità, in vista di Dio, per famore del quale noi serviamo anche e soprattutto quelli da cui non possiamo aspettarci niente (66).
L'abito, come la religione, è duplice: esterno e interiore. Per essere universale, completo, la religione deve essere tale, imperocchè l'uomo è composto di corpo e di anima e deve quindi rendere palese in tutto se stesso e al di fuori e nell'intimo suo, il suo culto e la sua religione (67).
L'abito esteriore consiste dapprima nella nera sottana di cui abbiamo testè parlato che significa la morte al mondo e a tutti gli istinti, i sentimenti di Adamo, in unione con la morte e sepoltura del Figliuolo di Dio, che il chierico deve manifestare al mondo con le sue opere e con tutta la slia condotta. In secondo luogo, consiste nella cotta, che rappresenta la vita nuova di Gesù Cristo, stabilita in noi in seguito alla morte del peccato; la sua risurrezione e la sua vita divina, resa sensibile ai figli della Chiesa per mezzo della purezza, della santità e di tutte le virtù che devono risplendere nei chierici (68).
Questo abito è stato imitato da quasi tutti gli ordini, dei Carmelitani, dei frati di S. Bernardo, degli Agostiniani e dei Domenicani che hanno diviso il loro abito fra il nero e il bianco per esprimere esteriormente ciò che devono interiormente praticare, vale a dire la mortificazione della carne e la vita dello spirito (69).
Questi due santi esprimono i due principali misteri della nostra religione: San Bruno, col candore del suo abito, rappresenta la risurrezione di Nostro Signore, mentre S. Benedetto aveva dapprima raffigurato nel color nero del suo, il santo mistero della sua morte (70).
Questi due misteri e questi due stati del Figlio di Dio, esprimono nei chierici la veste talare e la cotta di cui sono rivestiti.
L'abito interiore dei chierici è Gesù Cristo stesso. Questo abito è ben diverso da quelli esteriori che non hanno che un legame morale con i corpi che ne sono rivestiti e che li coprono soltanto, senza penetrarli (71); mentre questi penetra e s'insinua nell'anima che ne è rivestita. Ed è Cristo stesso in noi, che in certo modo, si confonde con noi, riempiendoci delle sue perfezioni e della sua sostanza, compenetrandoci di tutto se stesso e manifestando in noi le sue qualità divine (72); di modo che, per mezzo della sua sostanza, si forma come una stessa cosa di lui e di noi.
È di questo abito che S. Paolo voleva fossero vestiti tutti i cristiani, quando diceva: Induimini Dominum Jesum Christum (73). Il vescovo, dando ai chierici la cotta, che rappresenta la perfezione e il compimento della nostra religione mostra loro l'impegno formale e l'obbligo speciale che hanno nel rivestirla, dicendo a ciascuno di essi: Induat te Dominus novum hominem, qui secundum Deum creatus est, in justitia et sanctilate veritatis. Il Signore ti rivesta dell'uomo nuovo, che fu creato da Dio nella vera giustizia e santità. Parole misteriose (74) che ci denotano la condotta invisibile di Dio nella sua Chiesa e la santità che Egli esige dai chierici. Per comprenderle, bisogna considerare che l'uomo, riabilitato da Gesù Cristo nel battesimo, non è conforme ad Adamo nello stato della sua innocenza, poiché questi era stato creato in uno stato di universale santità, vale a dire santo nell'anima e santo nel corpo (75).
L'uomo rinnovato e rifugiato nella Chiesa, che è il vero paradiso terrestre, non è creato in questa santità universale, ma in uno stato di santità e di giustizia, in justitia et sanctitate; di santità, perché è fatto figlio di Dio; di giustizia perché l'uomo battezzato, che porta una carne ribelle e pesante che per lui è giogo penoso e sensibilissimo peso, deve avere in sé lo spirito di zelo e di giustizia contro se stesso per castigare questa carne, per ridurla in servitù crocifiggendola con la giustizia e punendola del suo orgoglio e della sua insolenza.
Bisogna che, per virtù dello spirito di Cristo che lo anima, egli la sottometta alla legge di Dio, che la costringa, suo malgrado, a servire il prossimo, che la riduca a un totale annientamento di se stessa. In questo, il nuovo uomo differisce dall'antico che era stato creato in un tal grado di santità, che la carne e i sensi seguivano le disposizioni dello spirito, col quale vivevano in perfetta intelligenza, essendo sempre d'accordo nei loro movimenti e sempre egualmente portati ad azioni di santità e di giustizia: ciò che non avviene più nell’uomo nuovo e nei cristiani la cui carne non è santificata (76). La seconda differenza fra la santità del cristiano rinnovato e riformato in Gesù Cristo, e quella dell'uomo primitivo nello stato d'innocenza, è che la santità del cristiano lo porta senza posa a privarsi, più che può, delle creature (77) che, dopo il peccato, non gli sono che soggetti di tentazione (78) per dedicarsi a Dio con una fede pura, sciolto da ogni legame umano (79). Invece la santità del primo uomo e la grazia dell'innocenza non lo separavano in tal modo dalle creature, anzi ad esse lo avvicinavano per ammirarne le bellezze divine espresse in esse, ciò che lo innalzava a Dio, pur trattandosi di forme visibili che cadevano sotto i suoi sensi.
Questa differenza dimostra la grande purezza del nostro stato rinnovato in Gesù Cristo, che ci santifica e ci consacra al Padre in un distacco universale delle cose, dedicandoci a lui nella sua verità e scorgendolo al lume della fede pura, senza soffermarci alle esteriorità di tutto questo mondo. Sanctifica eos in veritate (80), diceva altra volta Nostro Signore al Padre suo. O Signore, santificate i servi vostri nella verità, e cioè uniteli al vostro essere divino, e non solo figuratamente come facevate altra volta (81). Poiché la religione dei veri adoratori è di adorare Dio in spirito e verità (82) e non più solamente sotto delle ombre.
NOTE
(60) Habitum sacrae religionis. Pontifical. Rom.
(6t) Existimate vos mortuos quidem esse peccato, viventes autem Deo in Christo Jesu. Rom ., 6, 11.
(62) Consepulti ei in baptismo, in quo et resurrexistis per fidem operationis Dei, qui suscitavit illum a mortuis, Coloss., 2, 12.E se S. Benedetto, per una devozione particolare alla morte ed alla sepoltura di Gesù, si è rivestito completamente di nero, doveva nascere da lui un altro santo, l'umile san Bruno che, compiendo i disegni di Dio sul suo ordine, scelse l'abito bianco.
(63) Mortuum sibi deputet mundum, ac se mundi blandienltis illecebris exhibeat crucifixum. Jul. Pomer., de Vita Contempl., lib. 1, c. 8.
(63) Mortuum sibi deputet mundum, ac se mundi blandienltis illecebris exhibeat crucifixum. Jul. Pomer., de Vita Contempl., lib. 1, c. 8.
(64) Mercenarii sumus conducti… et ideo vocati a Christo, ut haec sola operemur, quae pertinent ad gloriam Dei... proximique profectum. S. Chrysost., hom. 34 oper. imp. in Matth.
(65) Jacob. 1, 27. – Visitare pupillos et viduas, etc., id est, exercere se in operibus misericordiae erga proximum, et in operibus munditiae erga seipsum. Lyran., hic. – Per sacculum, intelligit mundum et omnia quae sunt in mundo. Qui (enim) mundum diligit, immaculatum se a saeculo non custodit. Gloss.
(66) Puritas cordis in duobus consistit, in quaerenda gloria Dei, et utilitate proximi, ut in omnibus... nihil suum quaerat... sed tantum aut Dei honorem, aut salutem proximorum, aut utrumque. S. Bernard. Ep. 42, ad Henr. Sen., seu. de Offic. Episc., cap. 3, IL 10.
(67) Duplex est cultus Dei, interior et exterior. Cum enim homo sit compositus et anima et corpore, utrumque debet applicari ad colendum Deum, ut scilicet anima colat interiori cultu, et corpus exteriori. D. Thom., 1, 2, q. 101, a. 2, in corp.
(68) Ad hoc a Deo dati estis, ut depravatos mores ac leges mundi, verbo et exemplis viriiiter impugnetis. Barth. a Martyr., Stim. Past. p. 2, c. 6. –Superpelliceum primo propter sui candorem, munditiam seu puritatem castitatis designat... Tertio denotat innocentiam; et ideo ante omnes alias vestes sacras induitur; quia divino cultui deputati, innocentia vitae, cunctis virtutum actibus superpollere debent, juxta illud Psalmi: Innocentes et recti adhaeserunt mihi. Durand., Rat. divin. Offic., lib. 3, cap. 1, n. 10, 11.
(69) Visum est, ut mihi videtur, magnis Patribus illis nigrum colorem magis humilitati, magis poenitentiae, magis luctui convenire... Vestes candidas magis gloriam quam abjectionem, magis gaudium quam moerorem antiquitus designasse. Petr. Cluniac. ab. ad S. Bernard abb. Claraval., lib. 4, Ep. 17.
(70) Veteres Palres candida veste ad spiritualium genesim indicandam usi sunt; cum albus color vitae symbolum sit, et alter mortis. Vicecomes, de Baptism., lib. 5, c. 9.
(71) Vestis ad honorem et gloriam pIane sacrati sanctique generis, Christus est: atque praeclarum ac supernum sanctarum animarum ornamentum. S. Cyril. Alex., de Ador. in spirit. et verit., lib. 11, qui est de Sac.
(72) David ex persona Dei, de eis qui in ecclesiis sacerdotali munere funguntur, dicit: Sacerdotes ejus induam salutari. Paulus induere Dominum Jesum praccepit; hoc illud est de caelo habitaculum, illa exultationis tunica, et indumentum salutis. Ibid.
(73) Rom., 13, 14.
(74) Dicitur iuduere Christum qui Christum imitatur; quia sicut homo continetur vestimento, et sub ejus colore videtur, ita in eo qui Christum imitatur, opera Christi apparent. D. Thom., in Ep. ad Rom. c. 13, v. 14.
(75) Adam non opus habebat eo adjutorio quod implorant sancti in hac vita, ad quos perlinet liberationis gratia, cum dicunt: Video aliam legem in membris meis pugnantem legi mentis meae, etc., quoniam in eis caro concupiscit adversns spiritum, et spiritus adversus carnem... Ille vero nulla tali rlxa a seipso adversus seipsum tentatus atque turbatus, in illo beatitudinis loco sua secum pace fruebatur, S. Aug. de Corrept. et Grat. 11, n. 29.
(76) Byssus est genus lini candidissimi, et ad summum candorem multa vexatione et ablutione perductum. Significat autem perfectam carnis munditiam, secundum illud quod in Apocalypsi legitur; Byssus sunt justifìcationes sanctorum. Hac munditia caro sacerdotis ex se non habet; sicut nec linum ex se est candidum; sed, sicut dictum est, multis castigationibus et ablutionibus redditur candidum, ut aptum fiat indumentis pontificum. Forma est sacerdotalis munditiae, ut secundum Apostolum sacerdotes carnem suam castigent, et in servitntem redigant; at praeunte gratia habeant per industriam, quod non potuerunt habere per naturam. Ivo Carnot., de Signif. indum. sacerd., serm. 3 in Synod. – Hugo a S. Victor., de Sacram. Christi fid., lib. 2, p. 4, c. 2.
(77) Qui non renuntiat omnibus quae possidet, non potest meus esse discipulus. Luc., 14, 33.
(78) Creaturae Dei in odium factae sunt et in temptationem animis hominum et in muscipulum pedibus insipientium. Sap. 14, 11.
(79) Oportet Christianum, abnegato mundo, transferri ex hoc saeculo, in quo versatur animus illecebris illectus a tempore transgressionis Adam, in alterurn saeculum, et intellectu in superiori ac divino mundo versari. S. Macar., hom. 24. – Contemptu universorum Christus sequendus est. S. Hilar, in Matth. , cap. 16, n. 11.
(80) Joan. 17, 17. – In veritate, id est, in me. S. Cyril. Alex., lib., 11 in Joan. , c. 10.
(81) Sanctificantur in veritate heredes Testamenti novi, cujus veritatis umbrae fuerunt sanctifcationes veteris Testamenti, et cum sanctificantur in veritate, utique sanctificantur in Christo qui veraciter dicit Ego sum via et veritas. S. Aug., tract. 108 in Joan. n. 2.
(82) Veri adoratores adorabunt Patrem spiritu et veritate. – Joan. 4, 23.
Purtroppo, nelle nostre parrocchie, quasi nessun prete usa più la cotta, miseramente sostituita da quegli orridi e squallidi camicioni bianchi a manica larga e con la zip che fanno tanto ministri di culto protestanti. L'abbandono delle vesti sacre belle e tradizionali da parte di vescovi e preti e l'utilizzo di sciatti tuniconi multicolori, stole improbabili ecc... rappresentano una delle cause più importanti della perdita del senso del sacro nella Chiesa e, conseguentemente, il motivo principe per cui essa sta perdendo credibilità agli occhi dei fedeli.
RispondiEliminaFinite le talari sono finite pure le cotte, tra poco celebreranno in borghese già hanno iniziato nelle messe dei campi scuola, con la scusa che sono in montagna, celebrano in pantaloni e maglietta con una stola da sciamani multicolore sulle spalle.
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