Ringraziamo l'autore per la segnalazione del suo articolo e per averci concesso facoltà di pubblicare il suo articolo.
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UNA FEDE DA NOBEL
di Matteo Carnieletto
Eugenio Corti, novant’anni compiuti il 21 gennaio, è un romanziere brianzolo – ora candidato al premio Nobel – ed un cattolico “infante”. Già, perché – nonostante gli manchino solo dieci anni per raggiungere il secolo di vita – Corti non si è ancora deciso a diventare un cattolico adulto. Eugenio Corti è, come ammetterebbe lui stesso, un «paolotto», ossia un cattolico praticante che fa della fede il centro della sua vita. Una fede concreta, tangibile. Da questa fede, e da una promessa fatta alla Madonna durante la vigilia di un Natale di guerra (quello del 1942), è nato il suo capolavoro letterario: Il cavallo rosso.
Più di mille e duecento pagine da cui rimbombano i boati dei cannoni, si elevano le esili voci delle vecchie che sgranano il rosario, si annusa il «buon odore verde» dell’erba appena tagliata e il profumo dorato dell’incenso; si tocca la soffice neve di Russia tinta di rosso dal sangue dei soldati, le morbide colline della Brianza e le bollenti dune africane; si soffre assieme ai soldati e con loro si prega la Madonna affinchè si possa tornare a casa sani e salvi; si vivono i «giorni dell’odio» e quelli della speranza. Ne Il cavallo rosso c’è tutto. È – come l’Iliade e l’Odissea di Omero (autore estremamente amato da Corti) – un poema epico: «un complesso di vicende divine, eroiche ed umane», secondo la definizione di Svetonio.
La grandezza di Corti sta nel raccontare le vicende di un mondo imperfetto – certamente non utopistico – in cui il lettore, nonostante tutte le disgrazie lì presenti, vorrebbe vivere; la parola «guerra» è forse quella più ripetuta nel romanzo. Corti, da buon cattolico, è consapevole che il Male esiste perché esiste il peccato originale e, sempre da buon cattolico, sa che il Bene e la Fede sono più forti della malvagità. Come dice san Paolo nella Lettera ai romani: «invece, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; perché, così facendo, accumulerai dei carboni ardenti sulla sua testa. Non ti lasciar vincere dal male, ma vinci il male con il bene».
La fede di Corti è “pratica”, come lo spirito che anima gli uomini della Brianza; è “utile” per affrontare ogni momento della vita. Sia esso di gioia o di sofferenza. Una delle più belle pagine scritte da Corti riguarda proprio il dolore, il cui unico antidoto è dato dalla fede. Ambrogio, uno dei personaggi de Il cavallo rosso, è a casa dell’amico Michele Tintori, che ha il padre inchiodato su una carrozzina.
«Dopo essersi nuovamente alzato in piedi, e avergli stretta la mano, Ambrogio l’osservò allontanarsi attraverso la fanghiglia del piccolo cortile, crocifisso alla poltrona dalle ruote quasi di bicicletta.
“Tu lo vedi in quello stato da quando sei nato, vero?”
Il Tintori figlio annuì. “Non cambierei il mio con nessun altro padre al mondo” disse.
“A scuola ci hanno insegnato il perché del dolore, il suo ruolo nell’economia della salvezza di tutti, eccetera. Ma a trovarcisi dentro non so” fece Ambrogio.
Il Tintori continuò ad annuire: “A trovarcisi dentro si benedicono quelle spiegazioni” disse. E abbassando un po’ la voce: “Non sono ragioni umane quelle: a scuola ci hanno semplicemente trasmesso ciò che Cristo ha insegnato prima di consegnarsi ai carnefici che lo mettessero in croce. Mio padre dà una mano a Cristo” improvvisamente gli si gonfiarono gli occhi: “continua la passione di Cristo, ed è cosciente di farlo”».
Ma qual è la fonte da cui si spande la fede dello scrittore? È la Messa di sempre, così ben descritta in una pagina immortale de I più non ritornano: «Col buio il Secondo gruppo venne a schierarsi dietro al nostro costone, e noi rientrammo in esso. Il giorno dopo, 9 luglio, domenica, mi destai che il sole era già spuntato: non un colpo, una gran calma regnava e nessuno sembrava curarsi della battaglia in sospeso. Don Romano, cappellano del reggimento, venne da noi a celebrare la messa. La seguì l’intero gruppo, con i reparti inquadrati in un campo di stoppie; dalla conca della battaglia e dalla vista di Filottrano ci defilava il solito costone. Luminoso era il sole, e il cielo di un bell’azzurro; vividi i colori di tutte le cose. Il robusto cappellano compì i gesti del sacrificio davanti all’altare da campo, facendolo traballare ogni volta che, ancora più massiccio per gli spiegazzati paramenti d’oro, lo sfiorava nel muoversi; allora, come al solito, la mano del suo attendente che pronta lo bloccava. Sull’altare pochi lini rigidi, e due candele con le fiammelle in permanenza orizzontali per lo spirar dell’aria. In noi che assistevamo, il pacifico senso, come sempre, dell’incommensurabile grandezza di ciò che si compiva in quel campo di stoppie, tra la terra e il cielo, e la semplicità del luogo, e di quei quattro lini, e del povero calice. Come queste cose fatte di materia, si addicessero a contenere la Presenza immateriale. Anche se noi sentivamo di essere, nonostante le nostre miserie, i viscidi peccati della carne, le bestemmie e le idiozie che ci uscivano a volte dalla bocca, vasi contenitori di Dio. Potevamo muovere con le nostre miserabili mani, per Uno che ce ne aveva acquistato il diritto, leve che andavano oltre gli abissi quasi inimmaginabili delle cose e delle energie: i milioni d’anni luce e la somma delle forze dell’universo. Tutto, dentro e fuori di noi, era come tutte le messe al campo, quella mattina. Si trattava però dell’ultima messa del nostro cappellano, che in giornata sarebbe stato straziato a morte. Non poteva saperlo, e nessuno si rendeva conto di quanto egli fosse simile al Cristo che nelle sue mani si sacrificava sull’altare: era simile all’inconscio agnello, mansueto e parato d’oro, che sta per essere sacrificato».
Più di mille e duecento pagine da cui rimbombano i boati dei cannoni, si elevano le esili voci delle vecchie che sgranano il rosario, si annusa il «buon odore verde» dell’erba appena tagliata e il profumo dorato dell’incenso; si tocca la soffice neve di Russia tinta di rosso dal sangue dei soldati, le morbide colline della Brianza e le bollenti dune africane; si soffre assieme ai soldati e con loro si prega la Madonna affinchè si possa tornare a casa sani e salvi; si vivono i «giorni dell’odio» e quelli della speranza. Ne Il cavallo rosso c’è tutto. È – come l’Iliade e l’Odissea di Omero (autore estremamente amato da Corti) – un poema epico: «un complesso di vicende divine, eroiche ed umane», secondo la definizione di Svetonio.
La grandezza di Corti sta nel raccontare le vicende di un mondo imperfetto – certamente non utopistico – in cui il lettore, nonostante tutte le disgrazie lì presenti, vorrebbe vivere; la parola «guerra» è forse quella più ripetuta nel romanzo. Corti, da buon cattolico, è consapevole che il Male esiste perché esiste il peccato originale e, sempre da buon cattolico, sa che il Bene e la Fede sono più forti della malvagità. Come dice san Paolo nella Lettera ai romani: «invece, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; perché, così facendo, accumulerai dei carboni ardenti sulla sua testa. Non ti lasciar vincere dal male, ma vinci il male con il bene».
La fede di Corti è “pratica”, come lo spirito che anima gli uomini della Brianza; è “utile” per affrontare ogni momento della vita. Sia esso di gioia o di sofferenza. Una delle più belle pagine scritte da Corti riguarda proprio il dolore, il cui unico antidoto è dato dalla fede. Ambrogio, uno dei personaggi de Il cavallo rosso, è a casa dell’amico Michele Tintori, che ha il padre inchiodato su una carrozzina.
«Dopo essersi nuovamente alzato in piedi, e avergli stretta la mano, Ambrogio l’osservò allontanarsi attraverso la fanghiglia del piccolo cortile, crocifisso alla poltrona dalle ruote quasi di bicicletta.
“Tu lo vedi in quello stato da quando sei nato, vero?”
Il Tintori figlio annuì. “Non cambierei il mio con nessun altro padre al mondo” disse.
“A scuola ci hanno insegnato il perché del dolore, il suo ruolo nell’economia della salvezza di tutti, eccetera. Ma a trovarcisi dentro non so” fece Ambrogio.
Il Tintori continuò ad annuire: “A trovarcisi dentro si benedicono quelle spiegazioni” disse. E abbassando un po’ la voce: “Non sono ragioni umane quelle: a scuola ci hanno semplicemente trasmesso ciò che Cristo ha insegnato prima di consegnarsi ai carnefici che lo mettessero in croce. Mio padre dà una mano a Cristo” improvvisamente gli si gonfiarono gli occhi: “continua la passione di Cristo, ed è cosciente di farlo”».
Ma qual è la fonte da cui si spande la fede dello scrittore? È la Messa di sempre, così ben descritta in una pagina immortale de I più non ritornano: «Col buio il Secondo gruppo venne a schierarsi dietro al nostro costone, e noi rientrammo in esso. Il giorno dopo, 9 luglio, domenica, mi destai che il sole era già spuntato: non un colpo, una gran calma regnava e nessuno sembrava curarsi della battaglia in sospeso. Don Romano, cappellano del reggimento, venne da noi a celebrare la messa. La seguì l’intero gruppo, con i reparti inquadrati in un campo di stoppie; dalla conca della battaglia e dalla vista di Filottrano ci defilava il solito costone. Luminoso era il sole, e il cielo di un bell’azzurro; vividi i colori di tutte le cose. Il robusto cappellano compì i gesti del sacrificio davanti all’altare da campo, facendolo traballare ogni volta che, ancora più massiccio per gli spiegazzati paramenti d’oro, lo sfiorava nel muoversi; allora, come al solito, la mano del suo attendente che pronta lo bloccava. Sull’altare pochi lini rigidi, e due candele con le fiammelle in permanenza orizzontali per lo spirar dell’aria. In noi che assistevamo, il pacifico senso, come sempre, dell’incommensurabile grandezza di ciò che si compiva in quel campo di stoppie, tra la terra e il cielo, e la semplicità del luogo, e di quei quattro lini, e del povero calice. Come queste cose fatte di materia, si addicessero a contenere la Presenza immateriale. Anche se noi sentivamo di essere, nonostante le nostre miserie, i viscidi peccati della carne, le bestemmie e le idiozie che ci uscivano a volte dalla bocca, vasi contenitori di Dio. Potevamo muovere con le nostre miserabili mani, per Uno che ce ne aveva acquistato il diritto, leve che andavano oltre gli abissi quasi inimmaginabili delle cose e delle energie: i milioni d’anni luce e la somma delle forze dell’universo. Tutto, dentro e fuori di noi, era come tutte le messe al campo, quella mattina. Si trattava però dell’ultima messa del nostro cappellano, che in giornata sarebbe stato straziato a morte. Non poteva saperlo, e nessuno si rendeva conto di quanto egli fosse simile al Cristo che nelle sue mani si sacrificava sull’altare: era simile all’inconscio agnello, mansueto e parato d’oro, che sta per essere sacrificato».
fonte: l'almanacco della Tradizione
Capita casualmente che in questi giorni stia leggendo proprio "Il cavallo rosso", di cui avevo sentito qualcosa, ma che non mi ero ancora deciso a prendere in mano. E' vero: si tratta di una grandiosa epopea, sul genere di "Guerra e pace", e mi meraviglio che se ne parli solo in ambienti cattolici, perchè il suo valore letterario e di testimonianza storica è davvero notevole.
RispondiEliminaC'è poi un elemento interessante: è un'epopea che parte dalla Brianza e vi ritorna: un ambiente che allora riusciva a formare giovani dai sentimenti puliti, capaci perfino di considerare il valore della castità prematrimoniale non come costrizione, ma come preparazione a un matrimonio santo e amorevole.
Il romanzo mostra dall'interno lo svolgersi della vicenda politica subito dopo la guerra, con i fatti immediatamente successivi al 25 aprile, ( comprese le azioni punitive dei partigiani, tesi alla presa del potere ) le lotte politiche fra democristiani e comunisti, le cruciali elezioni del '48. Spiccano le descrizioni del padronato cattolico, teso non solo al profitto, ma anche alla creazione di posti di lavoro, con grandi rischi e conseguenti angosce patite in prima persona, e quello dell'ambiente dell'Università Cattolica. Trovano conferma le eminenti qualità di don Gnocchi e del professor Mario Apollonio, insigne docente di letteratura.
Fa pensare la presentazione del declino del mondo cattolico, la cui presa sociale, pur dopo il trionfo elettorale, è erosa dal lavorio della sinistra per assicurarsi l'egemonia culturale ed estenderla, fino alla svolta cruciale del referendum sul divorzio.
Mi ha molto sorpreso la naturalezza con cui la dogmatica e cattolica viene accettata e forma la base della condotta di vita: manca quasi del tutto il rovello del dubbio sulla fede, che pure deve aver contato qualcosa, se nel postconcilio è successo quello che è successo. Credo che oggi la "rievangelizzazione" non possa prescindere da un lavoro apologetico molto più approfondito di quello che veniva proposto un tempo. Anche il dubbio può essere fruttuoso ai fini della riconquista di armi critiche da usare nella lotta culturale.
toccante e vivo. Grazie
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RispondiElimina<p>"Il Cavallo Rosso" costituisce un'opera letteraria davvero pregevole e l'autore, sicuramente cattolico, descrive i fatti con encomiabile obiettività, tuttavia, nell'ultima parte del libro, mi parrebbe che Corti non sia riuscito a cogliere appieno il senso effettivo degli accadimenti che lo vedono fedele testimone.
</p><p>Un solo esempio fra i tanti: ad un certo punto, egli esplicitamente accredita la tesi che vorrebbe la Democrazia Cristiana avere disgredito dalla linea anticomunista, a seguito del tradimento dell'originaria linea degasperiana. Ciò assolutamente non corrisponde al vero, a prescindere dal fatto che la linea "anticomunista" venne letteralmente imposta alla DC dal Pio XII e dall'Amministrazione statutitense, sarebbe da rammentare come già nel <span>primo discorso pubblico tenuto da Alcide De Gasperi dopo la liberazione di Roma, il 23 luglio 1944, presso il Teatro Brancaccio, nell’occasione della prima assemblea della locale sezione DC, il politico trentino (in perfetta sintonia con i postulati del pensiero maritainiano)</span><span> si trovò ad esprimere un manifesto apprezzamento per la figura di Giuseppe Stalin « … grande maresciallo, grande condottiero di popoli …<span> </span>», altresì ravvisando elementi profondamente cristiani nell’assetto sovietico allora vigente ed ulteriormente riconoscendo la reale fondatezza delle accuse di sabotaggio che il regime staliniano aveva sollevato come basilare pretesto, ai fini del fondamento di una morale giustificazione per quelle epurazioni intestine alle quali, ormai da lungo tempo, era andato diffusamente ad attendere .</span>
</p><p>
</p><p><span>Sempre in quel medesimo ambito oratorio, sulla preliminare premessa che « … il sistema comunista è stato ed è, economicamente parlando, in continua trasformazione, e quindi non può venir giudicato come una forma definitiva … », giacché « … vi sono errori, rifacimenti, demolizioni e ricostruzioni … », Alcide De Gasperi ebbe a manifestarsi in senso sostanzialmente favorevole all’essenza pratica di quel modello, limitandosi ad esprimere qualche riserva circa l’insufficiente tensione etica di quelle dottrine che gli erano retrostanti: le quali ultime, versando appunto in tale condizione, apparivano conseguentemente come inidonee ad imporre il proprio schema sociale alle popolazioni loro sottoposte, senza l’ausilio di severe forme di coazione; ciò al contrario del cristianesimo che, invece, era riuscito a perseguire obbiettivi sostanzialmente analoghi, escludendo, tuttavia, la necessità del ricorso a metodologie connotate dalla violenta coartazione dei soggetti.</span>
<span>Il discorso perveniva finalmente alla sua conchiusione, attraverso la proposizione, in chiave lirico - onirica,<span> </span>di un parallelo (alquanto azzardato, a nostro avviso, per un politico che, come lui, ambisse a professarsi cattolico!) fra Gesù Cristo e Carlo Marx.</span>
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RispondiElimina"Il Cavallo Rosso" costituisce un'opera letteraria davvero pregevole e l'autore, sicuramente cattolico, descrive i fatti con encomiabile obiettività, tuttavia, nell'ultima parte del libro, mi parrebbe che Corti non sia riuscito a cogliere appieno il senso effettivo degli accadimenti che lo vedono fedele testimone.
Un solo esempio fra i tanti: ad un certo punto, egli esplicitamente accredita la tesi che vorrebbe la Democrazia Cristiana avere disgredito dalla linea anticomunista, a seguito del tradimento dell'originaria linea degasperiana. Ciò assolutamente non corrisponde al vero, a prescindere dal fatto che la linea "anticomunista" venne letteralmente imposta alla DC dal Pio XII e dall'Amministrazione statutitense, sarebbe da rammentare come già nel <span>primo discorso pubblico tenuto da Alcide De Gasperi dopo la liberazione di Roma, il 23 luglio 1944, presso il Teatro Brancaccio, nell’occasione della prima assemblea della locale sezione DC, il politico trentino (in perfetta sintonia con i postulati del pensiero maritainiano)</span><span> si trovò ad esprimere un manifesto apprezzamento per la figura di Giuseppe Stalin « … grande maresciallo, grande condottiero di popoli …<span> </span>», altresì ravvisando elementi profondamente cristiani nell’assetto sovietico allora vigente ed ulteriormente riconoscendo la reale fondatezza delle accuse di sabotaggio che il regime staliniano aveva sollevato come basilare pretesto, ai fini del fondamento di una morale giustificazione per quelle epurazioni intestine alle quali, ormai da lungo tempo, era andato diffusamente ad attendere .</span> <span> </span>
<span>Sempre in quel medesimo ambito oratorio, sulla preliminare premessa che « … il sistema comunista è stato ed è, economicamente parlando, in continua trasformazione, e quindi non può venir giudicato come una forma definitiva … », giacché « … vi sono errori, rifacimenti, demolizioni e ricostruzioni … », Alcide De Gasperi ebbe a manifestarsi in senso sostanzialmente favorevole all’essenza pratica di quel modello, limitandosi ad esprimere qualche riserva circa l’insufficiente tensione etica di quelle dottrine che gli erano retrostanti: le quali ultime, versando appunto in tale condizione, apparivano conseguentemente come inidonee ad imporre il proprio schema sociale alle popolazioni loro sottoposte, senza l’ausilio di severe forme di coazione; ciò al contrario del cristianesimo che, invece, era riuscito a perseguire obbiettivi sostanzialmente analoghi, escludendo, tuttavia, la necessità del ricorso a metodologie connotate dalla violenta coartazione dei soggetti.</span>
<span>Il discorso perveniva finalmente alla sua conchiusione, attraverso la proposizione, in chiave lirico - onirica,<span> </span>di un parallelo (alquanto azzardato, a nostro avviso, per un politico che, come lui, ambisse a professarsi cattolico!) fra Gesù Cristo e Carlo Marx.</span>
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<span>"Il Cavallo Rosso" costituisce un'opera letteraria davvero pregevole e l'autore, sicuramente cattolico, descrive i fatti con encomiabile obiettività, tuttavia, nell'ultima parte del libro, mi parrebbe che Corti non sia riuscito a cogliere appieno il senso effettivo degli accadimenti che lo vedono fedele testimone.
RispondiEliminaUn solo esempio fra i tanti: ad un certo punto, egli esplicitamente accredita la tesi che vorrebbe la Democrazia Cristiana avere disgredito dalla linea anticomunista, a seguito del tradimento dell'originaria linea degasperiana. Ciò assolutamente non corrisponde al vero, a prescindere dal fatto che la linea "anticomunista" venne letteralmente imposta alla DC dal Pio XII e dall'Amministrazione statutitense, sarebbe da rammentare come già nel <span>primo discorso pubblico tenuto da Alcide De Gasperi dopo la liberazione di Roma, il 23 luglio 1944, presso il Teatro Brancaccio, nell’occasione della prima assemblea della locale sezione DC, il politico trentino (in perfetta sintonia con i postulati del pensiero maritainiano)</span><span> si trovò ad esprimere un manifesto apprezzamento per la figura di Giuseppe Stalin « … grande maresciallo, grande condottiero di popoli …<span> </span>», altresì ravvisando elementi profondamente cristiani nell’assetto sovietico allora vigente ed ulteriormente riconoscendo la reale fondatezza delle accuse di sabotaggio che il regime staliniano aveva sollevato come basilare pretesto, ai fini del fondamento di una morale giustificazione per quelle epurazioni intestine alle quali, ormai da lungo tempo, era andato diffusamente ad attendere .</span> <span> </span>
<span>Sempre in quel medesimo ambito oratorio, sulla preliminare premessa che « … il sistema comunista è stato ed è, economicamente parlando, in continua trasformazione, e quindi non può venir giudicato come una forma definitiva … », giacché « … vi sono errori, rifacimenti, demolizioni e ricostruzioni … », Alcide De Gasperi ebbe a manifestarsi in senso sostanzialmente favorevole all’essenza pratica di quel modello, limitandosi ad esprimere qualche riserva circa l’insufficiente tensione etica di quelle dottrine che gli erano retrostanti: le quali ultime, versando appunto in tale condizione, apparivano conseguentemente come inidonee ad imporre il proprio schema sociale alle popolazioni loro sottoposte, senza l’ausilio di severe forme di coazione; ciò al contrario del cristianesimo che, invece, era riuscito a perseguire obbiettivi sostanzialmente analoghi, escludendo, tuttavia, la necessità del ricorso a metodologie connotate dalla violenta coartazione dei soggetti.</span>
<span>Il discorso perveniva finalmente alla sua conchiusione, addirittura attraverso la proposizione, in chiave lirico - onirica,<span> </span>di un parallelo (alquanto azzardato, a nostro avviso, per un politico che, come lui, ambisse a professarsi cattolico!) fra Gesù Cristo e Carlo Marx, nei seguenti termini: </span></span><span>« … Ma lassù sull’erta, e mi par di vedere con gli occhi della fede la Sua luminosa figura, cammina un altro Proletario, anch’Egli israelita come Marx; duemila anni fa egli fondò l’Internazionale basata sull’eguaglianza, sulla fraternità universale …<span> </span>»</span><span><span><span> .</span></span><span> </span></span>
<p><span>"Il Cavallo Rosso" costituisce un'opera letteraria davvero pregevole e l'autore, sicuramente cattolico, descrive i fatti con encomiabile obiettività, tuttavia, nell'ultima parte del libro, mi parrebbe che Corti non sia riuscito a cogliere appieno il senso effettivo degli accadimenti che lo vedono fedele testimone.
RispondiEliminaUn solo esempio fra i tanti: ad un certo punto, egli esplicitamente accredita la tesi che vorrebbe la Democrazia Cristiana avere disgredito dalla linea anticomunista, a seguito del tradimento dell'originaria linea degasperiana e ciò, assolutamente, non corrisponde al vero. Infatti, sia pure prescindendo dal fatto che la linea "anticomunista" venne letteralmente imposta alla DC dal Pio XII e dall'Amministrazione statutitense, sarebbe da rammentare come già nel <span>primo discorso pubblico tenuto da Alcide De Gasperi dopo la liberazione di Roma, il 23 luglio 1944, presso il Teatro Brancaccio, nell’occasione della prima assemblea della locale sezione DC, il politico trentino (in perfetta sintonia con i postulati del pensiero maritainiano)</span><span> si trovò ad esprimere un manifesto apprezzamento per la figura di Giuseppe Stalin « … grande maresciallo, grande condottiero di popoli …<span> </span>», altresì ravvisando elementi profondamente cristiani nell’assetto sovietico allora vigente ed ulteriormente riconoscendo la reale fondatezza delle accuse di sabotaggio che il regime staliniano aveva sollevato come basilare pretesto, ai fini del fondamento di una morale giustificazione per quelle epurazioni intestine alle quali, ormai da lungo tempo, era andato diffusamente ad attendere .</span> <span> </span>
<span>Sempre in quel medesimo ambito oratorio, sulla preliminare premessa che « … il sistema comunista è stato ed è, economicamente parlando, in continua trasformazione, e quindi non può venir giudicato come una forma definitiva … », giacché « … vi sono errori, rifacimenti, demolizioni e ricostruzioni … », Alcide De Gasperi ebbe a manifestarsi in senso sostanzialmente favorevole all’essenza pratica di quel modello, limitandosi ad esprimere qualche riserva circa l’insufficiente tensione etica di quelle dottrine che gli erano retrostanti: le quali ultime, versando appunto in tale condizione, apparivano conseguentemente come inidonee ad imporre il proprio schema sociale alle popolazioni loro sottoposte, senza l’ausilio di severe forme di coazione; ciò al contrario del cristianesimo che, invece, era riuscito (a suo avviso) a perseguire obbiettivi sostanzialmente analoghi, escludendo, tuttavia, la necessità del ricorso a metodologie connotate dalla violenta coartazione dei soggetti.</span>
<span>Il discorso perveniva finalmente alla sua conchiusione, addirittura attraverso la proposizione, in chiave lirico - onirica,<span> </span>di un parallelo (se non proprio apertamente blasfemo, quanto meno alquanto azzardato per un politico che, come lui, ambiva a professarsi cattolico!) fra Gesù Cristo e Carlo Marx, a seconda dei seguenti termini: </span></span><span>« … Ma lassù sull’erta, e mi par di vedere con gli occhi della fede la Sua luminosa figura, cammina un altro Proletario, anch’Egli israelita come Marx; duemila anni fa egli fondò l’Internazionale basata sull’eguaglianza, sulla fraternità universale [...]
<span><span>"Il Cavallo Rosso" costituisce un'opera letteraria davvero pregevole e l'autore, sicuramente cattolico, descrive i fatti con encomiabile obiettività, tuttavia, nell'ultima parte del libro, mi parrebbe che Corti non sia riuscito a cogliere appieno il senso effettivo degli accadimenti che lo vedono fedele testimone.
RispondiEliminaUn solo esempio fra i tanti: ad un certo punto, egli esplicitamente accredita la tesi che vorrebbe la Democrazia Cristiana avere disgredito dalla linea anticomunista, a seguito del tradimento dell'originaria linea degasperiana e ciò, assolutamente, non corrisponde al vero. Infatti, sia pure prescindendo dal fatto che la linea "anticomunista" venne letteralmente imposta alla DC dal Pio XII e dall'Amministrazione statutitense, sarebbe da rammentare come già nel <span>primo discorso pubblico tenuto da Alcide De Gasperi dopo la liberazione di Roma, il 23 luglio 1944, presso il Teatro Brancaccio, nell’occasione della prima assemblea della locale sezione DC, il politico trentino (in perfetta sintonia con i postulati del pensiero maritainiano)</span><span> si trovò ad esprimere un manifesto apprezzamento per la figura di Giuseppe Stalin « … grande maresciallo, grande condottiero di popoli …<span> </span>», altresì ravvisando elementi profondamente cristiani nell’assetto sovietico allora vigente ed ulteriormente riconoscendo la reale fondatezza delle accuse di sabotaggio che il regime staliniano aveva sollevato come basilare pretesto, ai fini del fondamento di una morale giustificazione per quelle epurazioni intestine alle quali, ormai da lungo tempo, era andato diffusamente ad attendere .</span> <span> </span>
<span>Sempre in quel medesimo ambito oratorio, sulla preliminare premessa che « … il sistema comunista è stato ed è, economicamente parlando, in continua trasformazione, e quindi non può venir giudicato come una forma definitiva … », giacché « … vi sono errori, rifacimenti, demolizioni e ricostruzioni … », Alcide De Gasperi ebbe a manifestarsi in senso sostanzialmente favorevole all’essenza pratica di quel modello, limitandosi ad esprimere qualche riserva circa l’insufficiente tensione etica di quelle dottrine che gli erano retrostanti: le quali ultime, versando appunto in tale condizione, apparivano conseguentemente come inidonee ad imporre il proprio schema sociale alle popolazioni loro sottoposte, senza l’ausilio di severe forme di coazione; ciò al contrario del cristianesimo che, invece, era riuscito (a suo avviso) a perseguire obbiettivi sostanzialmente analoghi, escludendo, tuttavia, la necessità del ricorso a metodologie connotate dalla violenta coartazione dei soggetti.</span>
<span>Il discorso perveniva finalmente alla sua conchiusione, addirittura attraverso la proposizione, in chiave lirico - onirica,<span> </span>di un parallelo (se non proprio apertamente blasfemo, quanto meno alquanto azzardato per un politico che, come lui, ambiva a professarsi cattolico!) fra Gesù Cristo e Carlo Marx, a seconda dei seguenti termini, che paiono potersi a buon diritto collocare nell'alveo del pensiero cattocomunista: </span></span><span>« … Ma lassù sull’erta, e mi par di vedere con gli occhi della fede la Sua luminosa figura, cammina un altro Proletario, anch’Egli israelita come Marx; duemila anni fa egli fondò l’Internazionale basata sull’eguaglianza, sulla fraternità universale [...]
<span><span>"Il Cavallo Rosso" costituisce un'opera letteraria davvero pregevole e l'autore, sicuramente cattolico, descrive i fatti con encomiabile obiettività, tuttavia, nell'ultima parte del libro, mi parrebbe che Corti non sia riuscito a cogliere appieno il senso effettivo degli accadimenti che lo vedono fedele testimone.</span></span>
RispondiElimina<span><span>Un solo esempio fra i tanti: ad un certo punto, egli esplicitamente accredita la tesi che vorrebbe la Democrazia Cristiana avere disgredito dalla linea anticomunista, a seguito del tradimento dell'originaria linea degasperiana e ciò, assolutamente, non corrisponde al vero. Infatti, sia pure prescindendo dal fatto che la linea "anticomunista" venne letteralmente imposta alla DC dal Pio XII e dall'Amministrazione statutitense, sarebbe da rammentare come già nel <span>primo discorso pubblico tenuto da Alcide De Gasperi dopo la liberazione di Roma, il 23 luglio 1944, presso il Teatro Brancaccio, nell’occasione della prima assemblea della locale sezione DC, il politico trentino (in perfetta sintonia con i postulati del pensiero maritainiano)</span><span> si trovò ad esprimere un manifesto apprezzamento per la figura di Giuseppe Stalin « … grande maresciallo, grande condottiero di popoli …<span> </span>», altresì ravvisando elementi profondamente cristiani nell’assetto sovietico allora vigente ed ulteriormente riconoscendo la reale fondatezza delle accuse di sabotaggio che il regime staliniano aveva sollevato come basilare pretesto, ai fini del fondamento di una morale giustificazione per quelle epurazioni intestine alle quali, ormai da lungo tempo, era andato diffusamente ad attendere .</span></span></span>
<span><span><span></span><span>Sempre in quel medesimo ambito oratorio, sulla preliminare premessa che « … il sistema comunista è stato ed è, economicamente parlando, in continua trasformazione, e quindi non può venir giudicato come una forma definitiva … », giacché « … vi sono errori, rifacimenti, demolizioni e ricostruzioni … », Alcide De Gasperi ebbe a manifestarsi in senso sostanzialmente favorevole all’essenza pratica di quel modello, limitandosi ad esprimere qualche riserva circa l’insufficiente tensione etica di quelle dottrine che gli erano retrostanti: le quali ultime, versando appunto in tale condizione, apparivano conseguentemente come inidonee ad imporre il proprio schema sociale alle popolazioni loro sottoposte, senza l’ausilio di severe forme di coazione; ciò al contrario del cristianesimo che, invece, era riuscito (a suo avviso) a perseguire obbiettivi sostanzialmente analoghi, escludendo, tuttavia, la necessità del ricorso a metodologie connotate dalla violenta coartazione dei soggetti.</span></span></span>
<span><span><span></span><span>Il discorso perveniva finalmente alla sua conchiusione, addirittura attraverso la proposizione, in chiave lirico - onirica,<span> </span>di un parallelo (se non proprio apertamente blasfemo, quanto meno alquanto azzardato per un politico che, come lui, ambiva a professarsi cattolico!) fra Gesù Cristo e Carlo Marx, a seconda di uno dei più classici luoghi comuni del cattocomunismo: </span></span><span>« … Ma lassù sull’erta, e mi par di vedere con gli occhi della fede la Sua luminosa figura, cammina un altro Proletario, anch’Egli israelita come Marx; duemila anni fa egli fondò l’Internazionale basata sull’eguaglianza, sulla fraternità universale [...]
Intervento molto interessante. Mi giunge nuovo che De Gasperi avesse simpatie per Stalin, o che almeno lo "contestualizzasse". Il fatto è da approfondire. Mi ricordo di aver letto che Guareschi, autore delle vignette sui gregari comunisti "trinaricuti" e del motto "Nel segreto dell'urna Dio ti vede, Stalin no!", amava accentuare la sua somiglianza con il dittatore rosso con l'esibire un paio di folti baffoni.
RispondiEliminaDi certo è esistito, e forse esiste ancora, un rapporto ambivalente fra militanti cattolici e comunisti ( stile don Camillo - Peppone ), incentrato sulla tendenza al messianesimo, ancorato al mondo celeste ma con i piedi molto per terra per gli uni, in un orizzonte esclusivamente terrestre ma con connotazioni e motivazioni mistiche per gli altri. ( Pierluigi Bersani, figlio di democristiani, si è laureato in filosofia con una tesi su San Gregorio Magno, grande amministratore e politico, tanto da essere soprannominato da un suo biografo "Il console di Dio"). Credo che anche in Maritain, sdoganatore del modello di Cattolicesimo non più "religione civile" del mondo laico ( il contrario del "Regno sociale di Cristo" ) e in Mounier si alimentasse una simpatia più o meno sotterranea per l'opera di costruzione di un "mondo nuovo" guidata da Stalin. Probabilmente nella mente del trentino De Gasperi c'era il modello del "villaggio cattolico" reso vivibile dal senso comunitario, riprodotto su scala enormemente ingrandita dal "villaggio globale" comunista.
Oggi l'avversario principale del Cattolicesimo è un altro: il radicalismo scientista-libertino di matrice liberale.
Corti registra l'avanzare pressochè inesorabile dell'egemonia culturale della sinistra ma non la problematizza. A mio parere l'avrebbe potuto fare se avesse posseduto strumenti concettuali nell'ambito filosofico e scientifico. La crisi del Cristianesimo dipende, almeno sul piano della battaglia culturale, dall'avanzare della concezione prometeica della tecnologia ( scienza + tecnica ) come "potenza" capace di elevare e trasfigurare la vita degli uomini senza bisogno di un salvatore dall'alto: è il tema della "torre di Babele" trattato da De Lubac ne "Il dramma dell'umanesimo ateo". Fatto sta che la tecnologia è entrata nella vita quotidiana della gente comune ( computer, Internet, telefonini, elettronica, microchirurgia, manipolazione genetica ) e perfino sotto le lenzuola ( mi si lasci passare l'espressione ) con i contraccettivi. Ovunque è un inalberarsi contro la Chiesa retrograda che non vuole accettare i vantaggi offert all'"uomo della strada" dai miracoli tecnologici.