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martedì 19 ottobre 2010

Intervista di Paix liturgique a mons. Schneider: terza parte

VISTO DA KARAGANDA


Ecco l'ultima parte dell'intervista esclusiva rilasciata per la lettera di Paix Liturgique da S.E. Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Karaganda nel Kazakistan. In questa occasione, Sua Eccellenza ci fa condividere il suo sguardo di cristiano d'Oriente sui temi dell'Offertorio tradizionale, della formazione dei sacerdoti e dell'inculturazione della fede cattolica nei paesi dell'Asia centrale.

- Nel settembre 2001, in un saluto alla plenaria della Congregazione per il Culto Divino, Papa Giovanni Paolo II aveva sottolineato il fatto che: “Nel Messale Romano, detto di San Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia.” (*) Possiamo considerare che l'Offertorio tridentino sia una di queste preghiere? O dobbiamo considerare, piuttosto, che la sua sparizione sia uno dei punti positivi della riforma liturgica, così come sostengono ancora oggi numerosi modernisti (vedere SE Mons. Pierre Raffin, Vescovo di Metz che in un'intervista del 2003 – in “Enquête sur L'Esprit de la Liturgie” – si dichiarava “felice della soppressione delle preghiere d'offertorio delle quali posso dimostrare il carattere eteroclito”)?
In tutta la storia della liturgia romana, ma anche nelle liturgie orientali, l'Offertorio è sempre stato legato all'attuazione del sacrificio del Golgotha. Non si trattava di preparare la Cena, ma di preparare il sacrificio eucaristico che aveva come frutto il convivio della comunione eucaristica. Ciò che si offre, viene dato per il sacrifico della Croce, si tratta di ciò che possiamo chiamare “un'anticipazione simbolica”.
L'Offertorio richiama tutti i sacrifici dell'Antico Testamento, partendo dai grandi offertori di Melchisedech e di Abele. E' una crescita continua fino al sacrifico del Golgotha. Questa visione biblica giustifica pienamente l'Offertorio tradizionale senza dimenticare i riti orientali che sono ancora più solenni nella loro anticipazione del Mistero della Croce.
Così come per Sant'Agostino “il Nuovo Testamento era nascosto nel Antico Testamento”, potremmo dire che la Consacrazione è nascosta nell'Offertorio. Quindi, direi proprio il contrario: l'Offertorio tradizionale è tutto tranne che eteroclito, è un puro prodotto della logica biblica della storia della salvezza.

- Per una miglior pratica della liturgia, non è forse giunto il momento rivedere la formazione nei seminari? Pensando alla Francia potremmo citare l'insegnamento del latino, che pur rimanendo la lingua sacra della Chiesa non viene quasi più praticato, e anche l'approccio alla celebrazione della forma ordinaria, che spesso è lasciato all'ispirazione personale. Per non parlare della possibilità di scoprire la liturgia tradizionale, cosa rarissimamente offerta ai seminaristi. Senza giudicare i suoi fratelli francesi, può dirci, Eccellenza, qual è la situazione nel seminario di Karaganda, unico seminario cattolico nell'Asia Centrale?
In realtà, la situazione dell'insegnamento del latino nei seminari è grave in tutto il mondo, non soltanto in Francia. E' una cosa che succede contro ogni volontà della Chiesa e del Santo Padre ma anche del Concilio Vaticano II. La Costituzione sulla Sacra Liturgia “Sacrosanctum Concilium” prevedeva in termini chiari che: “L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini.” Nella sua esortazione apostolica Sacramentum Caritatis del febbraio 2007, Papa Benedetto XVI chiedeva “che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia”.
I sacerdoti devono essere padroni della lingua latina. Credo che in tutti i seminari dovrebbe venire celebrata e insegnata la Santa Messa (rito ordinario) in latino e anche periodicamente nella forma straordinaria. Questo gioverebbe molto alla dignità stessa della liturgia.
A Karaganda, abbiamo una quindicina di seminaristi (per una popolazione di 150.000 cattolici nel paese) e proviamo a fare modo che nella formazione il latino sia un elemento importante.

- Nei paesi dove il cattolicesimo è soltanto una religione minoritaria, se non addirittura marginale, come succede nel Kazakistan (il 2% della popolazione), l'uso della lingua volgare e della liturgia moderna è stato spesso presentato come un aiuto per “l'incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone, e, nelle stesso tempo, l'introduzione di queste culture nella vita della Chiesa” secondo la definizione dell'inculturazione data da Giovanni Paolo II nell'enciclica Slavorum Apostoli (VI, 21). In merito alla sua esperienza, Eccellenza, può dirci se la liturgia romana in latino e gregoriano – e non importa che sia nella forma ordinaria o straordinaria – possa o no rappresentare un ostacolo per l'inculturazione del cattolicesimo in Asia?
Si deve tenere presente che il contesto dell'Asia centrale è molto diverso da quello europeo. Non si può fare a meno di ricordare i 70 anni di regime sovietico, così come si deve considerare oggi il peso della presenza musulmana. Inoltre sono ancora presenti l'elemento slavo ortodosso e la dimensione bizantina. Dunque, siamo culturalmente ben lontani dal mondo latino.
Celebrare la liturgia totalmente in lingua latina, nel nostro contesto specifico, sarebbe difficile da realizzare. Si potrebbe però immaginare di usare una lingua slava come lingua liturgica e poi gradualmente introdurre l’uso del latino per qualche parte della liturgia.
Ci sono due precedenti storici:
- Nel IX secolo, sulla scia dell'azione dei santi Cirillo e Metodio, la Chiesa autorizzò l'uso della lingua slava in Dalmazia e Boemia e Moravia, disposizione che resisterà fino al concilio Vaticano II nel caso della Dalmazia, l'attuale Croazia.
- Nel 1949, Papa Pio XII fece pubblicare un indulto che concedeva ai sacerdoti della Cina di celebrare la messa in cinese, tranne il Canone che doveva rimanere in latino.
Questi due precedenti storici sono noti in Kazakistan (il paese ha una frontiera in comune con la Cina) e potrebbero essere fonti d'ispirazione per una disposizione da parte della Santa Sede a favore dell'uso della lingua russa nella forma straordinaria del Rito Romano.

2 commenti:

  1. Nobis quoque peccatoribus19 ottobre 2010 alle ore 13:27

    La Liturgia ortodossa non e' certo in lingua corrente....

    Mi pare sorprendente che Mons. Schneider stia a Karaganda mentre altri Vescovi infastiditi dal cattolicesimo sono chiamati a custodire le massime reliquie della Cristianita'. Se poi mettiamo a confronto il numero di seminaristi a Karaganda e Parigi (che credo siano meno di 23...)

    FdS

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  2. Concordo..... comunque a parziale consolazione vale sempre il noto proverbio:
    "Non è la sede che da lustro ai vescovi, ma sono i santi vescovi che danno lustro alla loro sede".....
    San Francesco di Sales e tanti altri santi vescovi ce lo insegnano.....
    don Bernardo 

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