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lunedì 7 giugno 2010

Introduzione di S.Alfonso ai Salmi del Breviario

Cari fratelli, ecco la II scheda sui Salmi: si tratta delle note introduttive di Sant'Alfonso M. de' Liguori, contenute nella sua operetta Traduzione dei Salmi e Cantici che si contengono nell'Officio divino (una delle ultime opere del Santo dottore; per ulteriori informazioni vedi qui).

Questa introduzione, oltre a offrire una spiegazione di base circa i salmi del breviario (spiegazione non di meno profonda e ancora oggi non obsoleta da un punto di vista autenticamente scientifico), illustra anche la pietà e la devozione che dobbiamo avere nell'accostare i Salmi e nel recitare l'Ufficio Divino.


ALLA SANTITÀ DI N.S. CLEMENTE XIV.

BEATISSIMO PADRE

Avendo io fatta la presente opera in questi ultimi anni di mia vita, poiché sono già nella decrepitezza ed aspetto di giorno in giorno la morte, e trattandosi de' salmi di Davide, i quali, dopo l'amministrazione de' sacramenti e della divina parola, sono l'applicazione più santa delle persone dedicate a Dio con esercitare in terra l'officio che fanno gli angeli in cielo nel celebrar le divine lodi, ho stimato di non poterla dedicare ad altri meglio che alla Santità Vostra, ch'è capo della chiesa e tiene in questa terra le veci di Gesù Cristo. Io non voglio qui stendermi a descriver gli encomj che merita la Santità Sua per mille riflessi; onde, per non offendere la sua modestia, tralascio di lodar in particolare gli esempj che risplendono agli occhi di tutto il mondo, la sua vita mortificata, il distacco da' congiunti e da tutti i rispetti umani: ma non posso poi passar sotto silenzio quella gloriosa prudenza che Vostra Santità ha esercitata in aver con tanti savj mezzi procurato di sedare quei dispareri che teneano in agitazione gli amanti del ben della chiesa. Intanto spero che la Santità Sua gradirà questa mia fatica, che può giovare a tutti coloro che recitano il divino officio, tra' quali ritrovansi molti che poco intendono il linguaggio latino e il significato delle parole e tanto meno il senso de' salmi; quando all'incontro i salmi per la maggior parte sono così difficili a comprendersi che appena si capiscono dai dotti. E quantunque vi sieno stati molti eruditi che han procurato di spiegarli, tuttavia, perché hanno scritto in latino o perché han parlato con istile altro, la loro fatica non è riuscita universalmente utile quanto bisognava. Perciò io mi sono affaticato a rendere, come meglio ho potuto, intelligibile il loro senso, affinché tutti intendessero quel che dicono e così recitassero le ore canoniche con maggior attenzione. Pongo intanto questo mio libro a' piedi di Vostra Santità, acciocché lo corregga, se merita correzione, e lo benedica, se stima che possa giovare al pubblico; ed umiliato al suo pontificio trono, bacio divotamente il sacro suo piede, e chiedendole la sua santa benedizione, m'inchino protestandomi sempre.

Di Vostra Santità

Umil., devot., ed ubbidient., figlio e servo

ALFONSO MARIA

Vescovo di s. Agata de' Goti.


INTENTO DELL'OPERA

Il cardinal Bellarmino parlando de' salmi dice che il salterio è un compendio di tutto il vecchio Testamento; poiché quanto ha scritto Mosè dell'istoria e della legge, e quanto han detto gli altri profeti, tutto si comprende nei salmi, come dice s. Agostino nella sua prefazione sui salmi: Psalmorum liber quaecumque utilia sunt ex omnibus (Libris canonicis) continet…et communis quidam doctrinae thesaurus est, singulis necessaria subministrans. Ognuno poi, per poco che vi rifletta, intende quanto siano i salmi ripieni di lumi divini, di s. documenti, di fervorose preghiere e di speciali profezie particolarmente circa la redenzione umana operata da Gesù Cristo. Si osservino i salmi 2., 15., 21., 44., 68. ed altri, ove chiaramente si predice il regno di Cristo, la sua nascita, la sua predicazione, i miracoli, la passione, la risurrezione, l'ascensione al cielo e la propagazione della chiesa, siccome Gesù medesimo disse a' suoi discepoli: Quoniam necesse est impleri omnia quae scripta sunt in lege Moysi et prophetis et psalmis de me 1. In somma da per tutto i salmi spirano sentimenti di amor divino, di pazienza, di umiltà, di mansuetudine, di dimenticanza delle ingiurie, di fortezza d'animo e di confidenza in Dio. Pertanto ognuno che recita l'officio deve applicare a sé tutti i sentimenti ed atti che Davide facea di s. timore, di confidenza in Dio, di ringraziamenti, di buoni desiderj, di umiltà, di offerta, di amore e di lode al Signore, e specialmente tutte le preghiere che facea di perdono, di luce e di soccorso: poiché avendo il Signore destinati questi salmi a recitarsi da tutta la chiesa, certamente ha avuto il fine che ognuno che li recita applichi a se stesso quegli atti e preghiere che Davide per sé faceva; e quelle preci che faceva pel popolo ebraico ognuno dee intendere di farle per tutti i cristiani. Così anche quando Davide parlava de' suoi nemici, letteralmente per lo più s'intende che parlasse degli uomini che lo perseguitavano; ma noi dobbiamo intendere de' demonj, che sono i peggiori nemici che abbiamo, i quali più che la vita del corpo c'insidiano la vita dell'anima.

Molti salmi poi sono facili ad intendersi, ma molti altri sono difficili ed oscuri; onde i s. padri han posto tutto il loro studio per renderli intelligibili ed utili a' fedeli così per la spiegazione de' dogmi e de' precetti morali, come anche per la predicazione e profitto comune di tutti. Io nella presente opera, parlando dei versi più facili, ne darò una semplice traduzione, affinché tutti quei che son tenuti a recitare le ore canoniche le dicano con maggiore attenzione e maggiore profitto dello spirito, intendendo ciò che dicono e gustando le celesti massime ed i s. affetti che nei salmi si contengono. Oh quanto è grande il merito di un solo officio recitato con divozione!

Parlando poi de' passi oscuri, confesso la verità che in principio quando pensai di fare quest'opera mi parve di fare una cosa facile attesa l'abbondante provvista da me fatta di eccellenti espositori; ma ponendo poi le mani in pasta, l'ho ritrovata difficilissima e molto faticosa, in modo che in più luoghi sono stato alle volte confuso e sospeso in determinarmi a quale spiegazione dovea appigliarmi fra tante diverse esposizioni che ne faceano i commentatori. Alle volte sarò stato un'ora per interpretare un verso, e dopo averne osservati molti espositori sono restato più confuso di prima vedendo tanti pareri differenti. Finalmente per non abbandonare l'opera mi risolvetti a tralasciare di addurre tutti i diversi commenti degli espositori e tutte le questioni che vi fanno gli eruditi, e a rapportar semplicemente quella spiegazione che pareami più comunemente abbracciata e più conforme alla nostra versione volgata; e così ho fatto. Ben riflette il signor d. Saverio Mattei nella sua dotta e molto faticata traduzione in versi de' salmi, che i critici moderni e specialmente i protestanti, purché trovino una versione differente dalla volgata, volentieri l'abbracciano senza cercare se sia migliore o peggiore.

Non ha dubbio che, in sé parlando, il testo ebreo essendo esso l'originale dee preferirsi a tutte le altre versioni; ma, come vogliono più comunemente gli eruditi, l'originale ebraico non è tutto incorrotto; poiché altri dicono col Salmerone e il Morino che sia stato corrotto da' giudei in odio della religione cristiana; altri poi dicono col card. Bellarmino che in quello vi siano intrusi più errori o per imperizia o per trascuraggine de' copisti; e maggiormente perché dopo il secolo V. da' Masoreti (dottori giudei) sono stati apposti al testo i punti che tengono il luogo di vocali, le quali prima non vi erano. Or questi punti sono cagione di molti equivoci e di diverse interpretazioni; e perciò il sacro concilio di Trento non ha voluto dichiarare autentico il testo ebreo, come ha dichiarato il testo latino della volgata, dicendo che questo è immune da ogni errore, almeno circa i dogmi della fede e circa i precetti morali. Quindi scrive il mentovato signor Mattei nella sua dissertazione della tradizione e conservazione de' Libri sacri ecc. che, quando in qualche passo trovasi discrepanza fra il testo ebreo e la volgata, dobbiamo a questa attenerci: «Non perché (son le sue parole) tal versione sia più autentica dell'originale, ma perché è da credersi che l'originale nei codici antichi era diverso in quel passo e che la vera versione sia quella di cui si servì l'autore della volgata, la quale ha meritata poi l'approvazione della chiesa». Del resto ognuno stia persuaso che molti versi de' salmi sono talmente oscuri, che per quanto si studii per ricavarne la certa intelligenza, non è possibile senza una straordinaria illustrazione divina.

Non mancherà poi chi dirà, che dopo le dichiarazioni di tanti autori fatte dei salmi sembra inutile questa mia fatica: ma io confesso che almeno per mio proprio profitto mi è riuscita molto utile; mentre da che ho fatta questa traduzione provo che al presente recito l'officio con più attenzione di quella con cui prima lo diceva, non intendendo molti versi ch'io recitava; e così spero che alcuni altri possano cavarne lo stesso profitto. Per tanto ho pensato, per maggior comodità di chi è tenuto a dir l'officio divino, di esporre questa mia traduzione non secondo stanno i salmi registrati nel salterio, ma secondo stan posti nel breviario.

Vi sono poi più questioni preliminari che s'agitano dai sacri espositori circa l'autore de' salmi; circa il testo che debba attendersi, se l'ebraico, il greco o il latino; circa i loro titoli e circa il modo col quale i salmi sono stati scritti, se in versi o in prosa. Per quel che spetta a queste controversie, io qui esporrò in breve le sentenze più comuni che vi sono, e lascerò alla libertà de' leggitori il farvi studio più lungo per accertarsi della verità, se la trovano.

Circa l'autore de' salmi, non può negarsi che il santo re Davide è stato l'autore almeno di una gran parte d'essi, mentre i salmi che si cantavano dai leviti nel tempio nella Bibbia son chiamati salmi fatti da Davide: Et levitae (stabant) in organis carminum Domini, quae fecit David rex ad laudandum Dominum 3. Più santi padri, come s. Agostino, s. Giovan Grisostomo, Teodoreto ecc., vogliono che Davide sia stato l'unico autore de' salmi. Ma s. Ilario, s. Atanasio, s. Isidoro pelusiota ecc. vogliono che molti salmi siano di altri autori, e specialmente quei salmi che portano il titolo di altri personaggi, come di Asaph, di Idithun, Ethan ecc. S. Girolamo scrive: Psalmos omnes eorum testamur auctorum qui ponuntur in titulis. Ma s. Agostino e Teodoreto dicono che questi non furon nomi di autori, ma più presto di cantori. Non però s. Girolamo, seguendo lo stesso suo sentimento, dice: Scimus errare qui omnes psalmos David arbitrantur et non eorum quorum nominibus inscripti sunt 4. E s. Agostino medesimo poi nel titolo del primo salmo non ripugnò di scrivere: Non omnes psalmi a David editi sunt. Onde ben possiamo concludere con Calmet e colla sentenza più comune che la maggior parte de' salmi sieno di Davide, ma non tutti. Del resto saggiamente scrisse Teodoreto: Quamnam mihi afferunt utilitatem sive horum (psalmorum) sive illorum sint aliqui, cum certum est ex virtute Spiritus Dei omnes conscripsisse? E lo stesso disse poi con bella maniera s. Gregorio magno: Cum eius rei Spiritum sanctum auctorem tenemus, cur scriptorem quaerimus? Quid aliud agimus, nisi legentes litteras de calamo percunctemur? Leggiamo, dice, le lettere e sappiamo che son divine; a che serve intrigarci ad indagare con quale penna sieno state scritte?

Circa le versioni de' salmi non ha dubbio che tutte le altre dovrebbero correggersi secondo il testo ebraico, ch'è l'originale: ma per questa regola, come ho detto, oggi neppure è certa, perché l'originale ebraico a' nostri giorni, o per la trascuraggine de' copisti o per la scorrezione della stampa, è pieno di errori: tanto più che le voci ebraiche ora si leggono punteggiate dai rabbini, perloché vi sono occorsi molti equivoci ed anche errori. E da ciò nasce per 1. che il testo ebraico da alcuni s'interpreta in un modo e da altri in un altro. Ne nasce per 2., come saggiamente avvertono più espositori, che meglio, che dal testo originale, ricavasi il senso de' salmi dalle versioni che dipoi se ne son fatte e specialmente da quella de' Settanta, che stimasi la più esatta, per essersi ella fatta nel tempo nel quale il testo ebraico era più corretto. Del resto, la versione latina della Volgata (da s. Agostino chiamata itala e da s. Gregorio vetere) benché sia senza ornamento di stile, nondimeno è la migliore; tanto più ch'ella fu in uso nella primitiva chiesa, dopo che fu corretta da s. Girolamo sulla traduzione de' Settanta. E qui è bene avvertire che s. Girolamo fece poi un'altra traduzione de' salmi, ricavandola a dirittura dal testo ebraico: ma questa seconda, come scrive Estio, non fu accettata da' fedeli e specialmente da' monaci, rincrescendo loro di cambiare l'antica salmodia; onde da allora in poi si è seguitato a recitare la prima traduzione, corretta già da s. Girolamo. Oggi poi sta dichiarato dal concilio di Trento nella sessione 4, che la Volgata è libera da ogni errore sostanziale; sicché questa per noi è la più sicura, avendo detto il concilio: Si quis autem libros ipsos integros cum omnibus suis partibus, prout in ecclesia catholica legi consueverunt et in veteri vulgata latina editione habentur, pro sacris et canonicis non susceperit…et sciens et prudens contempserit, anathema sit. E poi nel decreto si disse: Statuit et declarat (sacrosancta synodus) ut haec ipsa vetus et vulgata editio, quae longo tot saeculorum usu in ipsa ecclesia probata est in publicis lectionibus, et pro authentica habeantur, et ut nemo illam reiicere quovis praetextu audeat vel praesumat.

Pertanto in questa traduzione noi ci atterremo per lo più alla versione della Volgata, che per noi senza dubbio alcuno è la più sicura, essendo ella immune da ogni errore circa la sostanza; tanto più che la nostra Volgata spesso ha seguitata la versione de' settanta interpreti, i quali nel tempo in cui scrissero, ebbero i testi ebraici più purgati di quelli che abbiamo noi. E tanto più ciò dico perché il mio intento, come da principio spiegai, è di fare intendere, quanto meglio si può, a chi dice l'officio quei salmi che recita; i quali salmi stan posti nell'officio appunto come stanno nell'edizione volgata, siccome dice Urbano VIII. nella sua bolla Divinam psalmodiam, che si legge in principio del breviario. E perciò ordinariamente io mi atterrò alla lettera de' salmi, come son posti nell'officio. Non però in alcuni luoghi, dove il senso della lettera o sia del testo apparisce difficile a percepirsi, procurerò di spiegarlo con altri termini.

Per quello poi che si appartiene ai titoli de' salmi, osservo che questa materia de' titoli è così confusa che i sacri interpreti, per quanto siansi affaticati, non han potuto dilucidarla: poiché molti titoli sono antichi; altri poi sono stati aggiunti prima della collazione di Esdra, ma non si sa da chi; ed altri sono stati aggiunti ne' tempi posteriori; e perciò presso i Settanta e nella Volgata leggonsi alcuni titoli che non si trovano nel testo ebraico. Di più si dubita se i nomi che sono espressi ne' titoli siano degli autori o pure de' cantori de' salmi. Pertanto io tralascio la spiegazione de' titoli, e solamente esporrò in principio di ogni salmo l'argomento in breve di ciò che in quello si contiene.

Si questiona per ultimo tra gli eruditi se i salmi sono stati composti in versi o in prosa. Giuseppe Scaligero nelle sue note alla cronaca di Eusebio ed altri pensano che i salmi non sieno già versi, ma una prosa adornata, come parla Scaligero, di carattere poetico; ed a questa opinione aderisce anche il Calmet: ma più comunemente si tiene da' dotti con s. Girolamo che i salmi sieno stati composti in versi. In qual modo poi sieno stati fatti questi versi, se con metro di sillabe numerate e se con rima obbligata o senza rima, ciò da niuno si è potuto né si potrà appurare, atteso che oggi non vi è notizia certa quale sia stata la poesia ebraica, mentre la lingua ebraica oggi a noi è affatto straniera; ed inoltre se ne ignora la giusta pronunzia, poiché negli antichi esemplari mancavano le vocali, le quali da' rabbini poi sono state aggiunte o tolte colla punteggiatura, in modo che per tali punti son cresciute o mancate le sillabe. Il nostro D. Saverio Mattei stima che i componimenti poetici degli ebrei erano in versi sciolti, senza numero obbligato di sillabe e senza alcun vincolo, ma che fossero simili ai cori delle tragedie. E ciò basta per quanto spetta alle questioni accennate. Entriamo ora alla dichiarazione de' salmi.

Ma prima di entrare in questa, ho stimata cosa utile per coloro che sono obbligati a recitar l'officio divino esporre qui alcune riflessioni che possono molto giovare a dirlo come si dee, con attenzione e divozione. Tutti gli uomini dovrebbero nella presente vita continuamente impiegarsi a lodare il Signore, a ringraziarlo de' suoi beneficj e a domandargli le grazie necessarie per ottenere l'eterna salute: ma perché i secolari vivon distratti negli affari del mondo, perciò la santa chiesa vuole che gli ecclesiastici ed i religiosi dell'uno e dell'altro sesso stiano occupati, almeno in certe ore del giorno, a lodare Dio ed a pregarlo per tutti i fedeli e per gli aumenti della santa chiesa.

Pertanto dice s. Tommaso l'angelico che l'officio divino è un'orazione comune che si porge a Dio dalla chiesa per mezzo de' suoi ministri in nome di tutto il popolo cristiano: Communis quidem oratio est quae per ministros ecclesiae in persona totius fidelis populi Deo offertur 6. Ed in altro luogo scrive che l'officio divino è un'opera pubblica addossata agli ecclesiastici per la edificazione della chiesa, cioè per la conservazione e per l'accrescimento della medesima: Orationibus et psalmis vacare in ecclesia, divinum officium celebrando, est quoddam opus publicum ad ecclesiae aedificationem ordinatum 7. E prima avea già scritto s. Bernardo che tre erano i principali obblighi degli ecclesiastici: di predicar la parola divina, di dar buon esempio agli altri e di pregare per tutti; ma soggiunse che l'obbligo di pregare era più grande degli altri due: Manent tria haec: verbum, exemplum, oratio; maior autem his est oratio 8.

Quindi si deduce quanto grande sarà il castigo che nell'altra vita riceveranno da Dio quelli che, essendo tenuti a recitar l'officio, per rincrescimento o per attendere a divertimenti mondani lo tralasciano. Ma io non parlo qui di costoro; parlo di coloro che strapazzatamente lo dicono. È una compassione il vedere con quale strapazzo alcuni recitano le ore canoniche, recitandole in mezzo ad una strada o affacciati ad un balcone guardando chi passa o in conversazione con amici ridendo e scherzando e tramischiando fra le divine lodi parole impertinenti e facezie, senza affatto badare a quel che dicono. Se alcuno di costoro si trovasse a parlare col principe e trattasse in tal modo, certamente che ne sarebbe cacciato via e castigato; e poi si trova che ha l'ardire di trattare così con Dio, in modo che sembra più presto attendere a disonorarlo che ad onorarlo!

All'incontro molto grande è il merito e l'utile che traggono dall'officio quegli che lo dicono con attenzione. Quanti lumi si ricevono da quelle parole divine! di quante massime sante s'imbeve l'anima! quanti atti buoni posson farsi di amore, di confidenza, di umiltà, di pentimento, attendendo ai versi che si recitano! sovrattutto quante belle preghiere si recitano nell'officio, le quali se fossero fatte con fede e fervore ci otterrebbero tesori di grazie, giusta la promessa infallibile del Signore di esaudire ognun che lo prega: Petite, et dabitur vobis 7. Omnis... qui petit accipit 8.

Aggiungo che quando l'officio si dice senza divozione e senza altra attenzione che di sbrigarsene quanto più presto si può, allora riesce di un peso molto grave e noioso e pare che non finisca mai; ma quando per contrario si recita con divozione e desiderio di cavarne profitto, applicando la mente e il cuore a quello che si proferisce colla bocca, il peso riesce leggero e dolce, come ben lo sperimentavano i santi, che trovavano maggior piacere in dir l'officio di quel che trovano i mondani nei loro sollazzi secolareschi. In un solo officio detto con divozione possono meritarsi più gradi di gloria; qual cumulo poi di meriti si caverà dall'officio detto così per trenta o quaranta anni di vita! Questo pensiero è quello che mi ha spinto a far la fatica della presente traduzione, acciocché quei che fanno già la fatica di dire l'officio per loro obbligo la facciano con merito e profitto delle loro anime e non già con demerito e peso di dovere un giorno renderne conto al tribunale divino e pagarne la pena meritata nell'altra vita.

NOTE
1 Luc. 24. 44.
2 2. Par. 7. 6.
3 Ep. 139. ad Cyprian.
4 2. 2. q. 23. a. 12.
5 Op. 29. c. 5.
6 Ep. 201.
7 Matth. 7. 7.
8 Luc. 11. 10.

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