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martedì 4 maggio 2010

Omelia del Card. Carlo Caffarra, nel corso della celebrazione della S. Messa gregoriana

IV Domenica di Pasqua (2 maggio 2010)

Omelia del Card. Carlo Caffarra, nel corso della celebrazione della S. Messa gregoriana, presso la chiesa parrocchiale di S. Maria della Pietà, in Bologna.

1. Cari fratelli e sorelle, il processo intentato a Gesù non si è concluso colla condanna a morte emessa da Pilato. Anzi, esso accade anche oggi, sotto i nostri occhi, e ciascuno di noi ne è coinvolto.
L’aula in cui si svolge è «il mondo»: la storia cioè e la vita degli uomini. Quale è la materia del contendere? Se Cristo sia credibile nella sua “pretesa” di essere l’unico salvatore; se Cristo alla fine ha ricevuto o non il riconoscimento della sua giustizia da parte di Dio; se l’ultima parola la dirà il “principe di questo mondo”.
Chi difende la “causa di Cristo?” È lo Spirito Santo che è stato inviato precisamente per questo: convincere il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.
Cari fratelli e sorelle, come vedete la pagina evangelica ci introduce nel cuore del dramma della vita e della storia umana. Addentriamoci in esso, cogliendo il significato delle singole parole e del loro insieme.
«Il peccato» significa l’incredulità che Gesù ha incontrato già durante la sua vicenda terrena, e continua ad incontrare anche oggi. È la scelta di rifiutare la sua proposta di salvezza, che giungerà storicamente fino alla sua condanna a morte. Ed oggi si manifesta nell’equiparazione della proposta salvifica di Cristo ad ogni altra sedicente tale.
«La giustizia» è quel riconoscimento definitivo ed inappellabile con cui il Padre si è apertamente compiaciuto nel suo Unigenito, risuscitandolo da morte ed intronizzandolo alla sua destra.
«Il giudizio» significa che Gesù è venuto nel mondo per salvarlo [cfr. Gv 3,17; 12,47], e quindi l’opera di convincimento che lo Spirito Santo compie ha come scopo la salvezza del mondo e dell’uomo. Il «giudizio» riguarda il Satana, che viene appunto “giudicato” e cacciato fuori.
In questo contesto si pone l’opera dello Spirito Santo. Egli è mandato per portare a termine l’opera redentiva di Cristo. Egli rende testimonianza a Gesù nel cuore di chi crede; “convince” intimamente che “Cristo ha ragione”!
Questa opera di convincimento comporta pertanto una duplice elargizione: il dono della certezza della redenzione donataci da Cristo; il dono quindi della verità della nostra persona e della nostra coscienza morale.
Lo Spirito Santo può compiere questa duplice elargizione perché «non parlerà da Sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito». Egli «scruta le profondità di Dio» [1Cor 2,10] fino in fondo. Ed è da esse che trae la risposta di Dio al mistero di iniquità, mostrando nel Cristo crocefisso e risorto la rivelazione del mistero della pietà. E nel momento in cui l’uomo “vede” questo, egli è convinto che il peccato più grave è l’incredulità; che Gesù glorificato è il Giusto che giustifica molti; che alla fine il male ed il suo principe è stato sconfitto.

2. Cari fratelli e sorelle, dentro a questo drammatico processo, la parola di Giacomo, che abbiamo ascoltato nell’Epistola, ci insegna come rimanervi.
Noi, ci dice l’apostolo, siamo stati generati dalla parola evangelica che la Chiesa predica. Mediante l’assenso dato ad esso – l’atto di credere – siamo stati rinnovati e come ri-creati.
Ed allora, continua l’apostolo, «deposta ogni sozzura ed eccesso di malizia», “accogliamo con docilità la parola che è stata seminata in noi, e che ha la capacità di salvarci”.
La Chiesa predica la parola di verità; lo Spirito Santo, come ci è stato detto nel S. Vangelo, ci istruisce interiormente come “piantando in noi” quella parola che è risuonata nelle nostre orecchie; noi dobbiamo accoglierla con docilità, permettere che essa plasmi la nostra vita, deponendo ogni sozzura ed eccesso di malizia.
Se così ci porremo dentro al mondo – amando ciò che il Signore comanda e desiderando ciò che promette – terremo sempre fisso il nostro cuore dove sono le vere gioie.

2 commenti:

  1. Bellissima omelia profonda teologicamente e ricca spiritualmente, grazie all'Arcivescovo di Bologna.

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  2. Chissà se la leggerebbero anche in francese.

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