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sabato 27 marzo 2010

L’annuncio agli Ebrei di Gesù come Cristo

"Tutto Israele"

Commento della nuova preghiera Pro conversione Iudaeorum per la forma straordinaria del rito romano

III parte

L’annuncio agli Ebrei di Gesù come Cristo

“i monti Sion” Sal 47 (48), 6.

“Sion è un solo monte, perché dunque parla di monti? Forse perché a Sion sono appartenuti anche coloro che sono giunti da diverse parti, per incontrarsi nella pietra angolare e divenire, essi che erano due pareti come due monti, uno della circoncisione, l'altro della incirconcisione; uno dei Giudei, l'altro dei Gentili; anche se distinti, perché provengono da diverse parti, ormai non più avversari perché riuniti nell'angolo? Perché egli è - dice - la nostra pace, colui che ha fatto di due uno.

[...] Infine anche il figlio maggiore, che non voleva banchettare, è entrato spinto dal padre; e così le due pareti, come quei due figli riuniti nel banchetto, hanno costituito la città del grande re”

S. Agostino, Enarr. in Ps. XLVII, 3.

1. Perché annunciare?

Se gli Ebrei, come tutti, dovranno credere in Gesù Cristo, è chiaro che bisogna che qualcuno glielo annunci, giacché non si può amare ciò che non si conosce.

Sia Gesù che gli Apostoli hanno rivolto la buona novella per primi agli Ebrei; e, poi, in una via in un certo modo subordinata, ai pagani.

Non si vede perché dobbiamo fare diversamente da quanto ha fatto Gesù o da quanto ha fatto San Paolo.

Inoltre, siccome gli Ebrei sono un popolo particolare, è necessario un annuncio particolare.

2. Proselitismo?

Innanzi tutto sgomberiamo il campo da possibili obiezioni con una buona explicatio terminorum.

La parola proselitismo ha assunto una connotazione negativa: siamo i primi a voler escludere ogni mancanza di rispetto, ogni forzatura nella conversione, ogni invadenza nella presentazione degli argomenti.

E questa non è una novità post-conciliare: è vero che, per via della mentalità di intere epoche e non solo dei Cristiani, possono essersi verificati eccessi nella predicazione del Cristianesimo agli Ebrei. Ma è anche vero, ad esempio, che nei tanti conventi dove si sono rifugiati gli Ebrei durante la II guerra mondiale, non è stato fatta nei loro confronti nessuna opera di persuasione: sono stai sempre rispettati al massimo, né è mai stata loro posta alcuna condizione per essere aiutati, e questo anche rischiando la vita.

Se proselitismo dovesse indicare un pur minimo allontanamento dai criteri che hanno ispirato una simile condotta, siamo i primi ad essere anti-proselitismo.

Se invece, nel desiderio che abbia il suo compimento la realizzazione storica del tutto Israele, con grande carità, proponessimo, in occasioni opportune e in modo gentile e garbato, ai nostri fratelli Ebrei di riflettere sulla persona di Gesù Cristo - collaborando nel frattempo su orizzonti che oggettivamente ci sono comuni (ad esempio difendendo i dieci comandamenti nelle legislazioni mondiali) -, non vedo nulla di male: anzi, per noi cristiani questo è un dovere.

3. Un annuncio particolare.

Posta la particolare forma di conversione che compete agli Ebrei, che non mutano, ma perfezionano e coronano la loro religione, anche l’annuncio deve essere specifico: non è certo una missio ad gentes.

Allora quale annuncio? Proverò a proporne un’icona e una linea teoretica.

3.1 Un’icona dell’annuncio

Come icona di questo annuncio, mi sembra conveniente proporre - nel contesto della parabola del figliol prodigo[1] - la sollecitudine del buon Padre, che cerca di fare entrare nella festa il figlio maggiore; e faccio questo sulle orme si S. Agostino, che ci offre un’interpretazione meravigliosa del finale di questa parabola, nel commento al salmo 47.

Dapprima il vescovo di Ippona si chiede come mai, al versetto 3, si parla dei monti di Sion e non di un monte, come è nella realtà.

Ne conclude che i due monti sono gli Ebrei e i gentili uniti nell’unica pietra angolare:

“Sion è un solo monte, perché dunque parla di monti? Forse perché a Sion sono appartenuti anche coloro che sono giunti da diverse parti, per incontrarsi nella pietra angolare e divenire, essi che erano due pareti come due monti, uno della circoncisione, l'altro della incirconcisione; uno dei Giudei, l'altro dei Gentili; anche se distinti, perché provengono da diverse parti, ormai non più avversari perché riuniti nell'angolo? Perché egli è - dice - la nostra pace, colui che ha fatto di due uno.

S. Agostino sente quasi già realizzato questo evento, a tal punto che vola alla parabola del figliol prodigo, modificandola:

“Infine anche il figlio maggiore, che non voleva banchettare, è entrato spinto dal padre; e così le due pareti, come quei due figli riuniti nel banchetto, hanno costituito la città del grande re”[2].

Perché modificandola? Perché S. Luca lascia la parabola incompiuta: essa termina con l’esortazione del Padre al figlio maggiore ad entrare nella festa; ma non ci dice se il figlio maggiore accoglie l’invito (secondo molti autori cristiani, particolarmente S. Agostino, il figlio maggiore rappresenta il popolo ebraico; il dissoluto e freddo calcolatore figlio rappresenta i popoli pagani).

Il Vescovo di Ippona, in un vero slancio di amore, vede già compiuta la speranza del buon Padre.

Gli elementi per vedere nella parabola del figliol prodigo un’allegoria dell’ingresso degli Ebrei nella nuova alleanza non mancano:

“Suo padre allora uscì...”:

Notiamo bene uscì, perché gli Ebrei non sono ancora dentro la Nuova Alleanza;

“... a supplicarlo ...”:

ecco il modello dell’annuncio agli Ebrei: una supplica amorevole e paziente.

“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo...”:

l’alleanza antica non è revocata, tu sei sempre figlio, le promesse non ti sono tolte…

“… ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”:

... ma ormai la nuova alleanza è conclusa, la Vittima immolata, anche i pagani sono figli, perché il pagano è tuo fratello, affrettati ad entrare dove c’è la festa (la nuova Alleanza)”

Quale fine vede S. Agostino per la parabola?

“Infine anche il figlio maggiore, che non voleva banchettare, è entrato spinto dal padre”.

Tutto l’apostolato nei confronti degli Ebrei si può riassumere come la condivisione della sollecitudine e della misericordia del Padre nei confronti del Figlio maggiore, unita alla speranza mostrataci da S. Agostino.

3.2 Una linea teoretica.

La Rivelazione stessa ci mostra come annunciare Gesù Cristo agli Ebrei; vorrei esaminare, in un brano già preso in esame precedentemente, la condotta di San Paolo presso la Sinagoga di Tessalonica:

“Percorrendo la strada che passa per Anfìpoli e Apollònia, giunsero a Tessalònica, dove c'era una sinagoga dei Giudei. Come era sua consuetudine, Paolo vi andò e per tre sabati discusse con loro sulla base delle Scritture, spiegandole e sostenendo che il Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti. E diceva: “Il Cristo è quel Gesù che io vi annuncio”. Alcuni di loro furono convinti e aderirono a Paolo e a Sila, come anche un grande numero di Greci credenti in Dio e non poche donne della nobiltà.”[3].

Riprendo questo brano perché il discorso di San Paolo nella sinagoga di Tessalonica è del tutto simile alla spiegazione della Sacra Scrittura che Gesù risorto svolge il giorno di Pasqua, prima ai discepoli di Emmaus e poi agli “undici e agli altri che erano con loro”[4].

3.2.1 Scholion: L’esegesi midrashica di Gesù modello dell’annuncio cristiano agli Ebrei[5].

È indispensabile, a questo punto del nostro studio, fare alcune considerazioni circa il midrash, cioè circa l'approccio culturale ebraico alla Sacra Scrittura[6].

Ai tempi di Gesù, era opinione che il significato della Scrittura non si limitasse al senso più ovvio, al significato immediato del testo: scrivono a questo proposito A.C. Avril - P. Lenhardt:

«È degno di nota il fatto che la tradizione di Israele, nell’epoca del nuovo testamento, non conosca la parola “senso”, ma solamente i termini mishma’ (“la cosa udita”) o shammua’ (“ciò che si ode”), i quali designano il senso della Scrittura in prima audizione. Non si tratta di ciò che noi chiamiamo il "senso letterale", vale a dire il senso che il testo ha per il suo autore. Il mishma’ è senza dubbio il senso più ovvio; ma proprio in quanto tale esso né viene considerato come il senso più sicuro, né come quello migliore. Esso appare al contrario come sospetto, o per lo meno come provvisorio e da sottoporre a verifica»[7]

«…si ammette che la Scrittura non possa limitarsi a dare un unico senso, ma richieda necessariamente una molteplicità di interpretazioni: solo attraverso una tale molteplicità - purché sempre compatibile con l’insieme della Verità rivelata - si può arrivare a cogliere l’infinita potenza ed efficacia rivelativa della Parola di Dio.»[8]

Alla luce di quanto sopra, appare chiaro che, per un ebreo, ciò che “si udiva” leggendo la S. Scrittura, doveva essere interpretato; era necessario “aprire” la S. Scrittura, ricercandone i molteplici significati[9]; il midrash non é altro che la “ricerca” che “apre” il senso della Scrittura.

Per meglio comprendere il significato dell’espressione “aprire [il senso del]le Scritture”, ci può essere utile esaminare Lc 24, 25-32:

"[25] [Gesù] disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! [26] Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». [27] E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. [28] Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. [29] Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. [30] Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. [31] Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. [32] Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava [lett. ci apriva][10] le Scritture?»".

In questa pericope, possiamo osservare come è Gesù stesso che fa il midrash, che "apre" il senso della S. Scrittura (ci apriva le Scritture). All’apertura del senso della Scrittura corrisponde l’apertura degli occhi (si aprirono loro gli occhi) e il riconoscimento di Gesù Cristo (lo riconobbero).

Possiamo constatare che l'oggetto del midrash non é soltanto la S. Scrittura, ma sono anche gli eventi storici, in particolare quelli concernenti Gesù; esaminiamo ora anche i versetti precedenti: Lc 24, 18-20:

" [18] uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». [19] Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; [20] come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso»".

Se osserviamo le espressioni tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno al v. 19 e ciò che si riferiva a lui al v. 27, vediamo che l'esegesi del testo biblico operata da Gesù non è stata altro che mostrare come i fatti accaduti in Gerusalemme e conosciuti da tutti fossero già conte­nu­ti in tutto l’Antico Testa­men­to. Si vede chiaramente che non è la vita di Gesù che viene rivestita di un mito, ma è l'antico Testamento - con un processo diametralmente opposto a quello ipotizzato da Bultmann - che viene demitizzato: l'Antico Testamento aveva narrato - unico caso di un biografia scritta prima che il protagonista fosse nato - la vita di Gesù: come? La storia della salvezza è significativa della vita di Cristo.

Dice bene San Tommaso che:

"l'autore della sacra Scrittura è Dio. Ora, Dio può non solo adattare parole per esprimere una verità, ciò che può anche l'uomo; ma anche le cose stesse. Quindi, se nelle altre scienze le parole hanno un significato, la Sacra Scrittura ha questo in proprio: che le cose stesse indicate dalla parola, alla loro volta ne significano un'altra"[11].

Questo è il senso spirituale della Sacra Scrittura.

Nella Scrittura le cose, ovvero i fatti narrati cominciando da Mosé e dai profeti, significano Gesù Cristo: se vogliamo usare una bella espressione di Eliáde, secondo cui “il mito trasforma l'evento in categoria”[12], è l'Antico Testamento che sta dalla parte del mito, ove gli eventi sono in qualche modo categorie universali, contenendo principalmente Nostro Signore Gesù Cristo, sempre lo stesso ieri, oggi e nei secoli.

Non è dunque l'esperienza dei primi cristiani che crea arbitrariamente un fatto; ma la storia, a tutti nota e da tutti ritenuta certa, con tanto di testimoni[13], viene confrontata con l'Antico Testamento. Questo tipo di ermeneutica porta a constatare anche come Dio è fedele nel compiere le sue promesse.

Per usare un'espressione di San Paolo, il midrash cristiano é la ri­cer­ca, all’interno della S.Scrittura, confrontata con la vi­ta di Cristo, di come, in Gesù, tutte le promesse di Dio sono diventate "sì".[14]

Vorrei citare ora un brano di Sant'Agostino, che espone questo concetto da par suo:

"Sia viva l'anima vostra e si ridesti volgendosi a Dio! Sta di fatto che Dio ha stabilito il tempo per le sue promesse ed ha stabilito il tempo per adempiere ciò che aveva promesso. Il tempo delle promesse fu quello che va dai Profeti fino a Giovanni Battista; quello, invece, che di là procede in avanti fino alla fine, è il tempo dell'adempimento delle promesse. Ed è fedele Dio, il quale si è fatto nostro debitore, non perché ha ricevuto qualcosa da noi, ma perché a noi ha promesso cose tanto grandi. Gli parve poco la promessa, ed allora Egli volle vincolarsi anche con un patto scritto, come obbligandosi con noi con la cambiale delle sue promesse, perché, quando cominciasse a pagare ciò che aveva promesso, noi potessimo verificare l'ordine dei pagamenti. Dunque il tempo dei profeti era di predizione delle promesse.
Si doveva dunque preannunciare con profezie che l'unico Figlio di Dio sarebbe venuto tra gli uomini, avrebbe assunto la natura umana e sarebbe così diventato uomo e sarebbe morto, risorto, asceso al cielo, si sarebbe assiso alla destra del Padre; egli avrebbe dato compimento tra i popoli alle promesse e, dopo questo, avrebbe anche compiuto la promessa di tornare a riscuotere i frutti di ciò che aveva dispensato, a distinguere i vasi dell'ira dai vasi della misericordia, rendendo agli empi ciò che aveva minacciato, ai giusti ciò che aveva promesso. Tutto ciò doveva essere preannunziato, perché altrimenti egli avrebbe destato spavento. E così fu atteso con speranza perché già contemplato nella fede"[15].

I vangeli dunque non sono altro il confronto di fatti storici realmente accaduti con l'Antico Testamento e la constatazione della veridicità e del compimento delle promesse di Dio[16].

3.2.2 L’esegesi midrashica di San Paolo, modellata su quella di Gesù.

Nella Sinagoga di Tessalonica, San Paolo, parlando ad Ebrei, non fa altro, alla stregua di Gesù, che confrontare la Scrittura con la storia: gli scritti ispirati raccontano Gesù, il Cristo, che doveva morire e risorgere:

Confrontiamo, in uno schema sinottico, i versetti chiave dei brani esaminati:

Lc 24, 25-27 passim:

Disse loro: "... Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui

Lc 24, 44-48 passim:

bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno... Di questo voi siete testimoni.

At 17, 1-3 passim:

“c'era una sinagoga dei Giudei. Come era sua consuetudine, Paolo vi andò e per tre sabati discusse con loro sulla base delle Scritture, spiegandole e sostenendo che il Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti. E diceva: “Il Cristo è quel Gesù che io vi annuncio”.

3.2.3 L’opinione di Jacob Neusner

A sostegno della tesi per cui nei vangeli – e quindi anche nella predicazione paolina - ritroviamo tutte le caratteristiche del più genuino midrash, riporto quanto afferma uno dei maggiori studiosi ebrei di questo fenomeno culturale, Jacob Neusner:

“Ciò che noi abbiamo in tutto il Nuovo Testamento, come pure nella biblioteca essena di Qumran, è un'esegesi del tutto peculiare: una lettura dei versetti dell'antica Scrittura alla luce di uno schema verificabile di eventi concreti: L'esegeta mette in relazione le Scritture dal passato a cose che sono successe nei suoi giorni. La sua forma [letteraria] serve a questo scopo”[17].

3.3.4 Una prima conclusione

Se ci chiediamo come annunciare Gesù come Cristo agli Ebrei, la rivelazione stessa ci dice di confrontare la storia con le profezie dell’Antico Testamento: queste si riassumono sostanzialmente in un unico enunciato: Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti: Gesù è il Cristo.

San Paolo, ben lontano dall’aspettare che intervenga il buon Dio alla fine del mondo[18], fin da subito, nelle sinagoghe, predica la buona novella anche agli Ebrei.

E la Chiesa non può che seguire l’esempio del suo Divino Maestro e degli gli Apostoli.

4. Le difficoltà pratiche.

Non è sufficiente però dare una risposta teorica alla domanda che ci eravamo posti su come annunciare Gesù Cristo agli Ebrei. Mi si potrebbe obiettare che mai gli Ebrei accetterebbero il dialogo con chi dichiara apertamente di volerli convertire (il che per loro costituisce una apostasia).

Rispondo che già in partenza sappiamo che il dialogo è difficilissimo, in quanto l’articulum stantis aut cadentis è Gesù Cristo.

Allora come può andare avanti il dialogo?

In primo luogo bisogna tenere presente che il dialogo inter-religioso è cosa diversa dall’apostolato.

Una soluzione molto equilibrata è quella proposta dall’episcopato statunitense, dove viene distinto il dialogo inter-religioso dall’annuncio evangelico[19]. Senza negare che i cattolici hanno costituzionalmente nel cuore il desiderio che tutti gli uomini conoscano Gesù Cristo, non è obbligatorio per noi sempre e in ogni occasione proclamare formalmente il kerygma (anche se il buon esempio è già una forma di missione).

Posto dunque che i Cristiani credono in Gesù Cristo che è già venuto, e gli Ebrei lo aspettano ancora, senza nascondere o dimenticare questa differenza, non sarà possibile trovare tanti punti comuni e tanti obiettivi pratici da perseguire congiuntamente?

Riporto un passo del discorso di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma

“In questa direzione possiamo compiere passi insieme, consapevoli delle differenze che vi sono tra noi, ma anche del fatto che se riusciremo ad unire i nostri cuori e le nostre mani per rispondere alla chiamata del Signore, la sua luce si farà più vicina per illuminare tutti i popoli della terra. I passi compiuti in questi quarant'anni dal Comitato Internazionale congiunto cattolico-ebraico e, in anni più recenti, dalla Commissione Mista della Santa Sede e del Gran Rabbinato d'Israele, sono un segno della comune volontà di continuare un dialogo aperto e sincero”[20].

Una simile soluzione, consapevoli delle differenze che vi sono tra noi, è ben più dignitosa di un compromesso pasticciato - conversione sì ma alle calende greche - e di cui gli Ebrei stessi non sono entusiasti[21].

Nel frattempo si può progredire nella conoscenza e nella stima reciproca; fermo restando che una simile amicizia può realmente aiutare a togliere tra i cristiani ogni traccia di anti-semitismo e di anti-giudaismo (anticamera dell’antisemitismo). È chiaro che i cattolici non possono essere anti-giudaici, perché chi ama non è anti, ma pro.

5. Ciò che può cominciare ad unirci.

Una posizione cattolica nel dialogo tra ebrei e cristiani come descritta sopra, è assolutamente anti-relativista. Senza imporre niente a nessuno, pur fatto salvo il dovere di ogni uomo di cercare la verità, il presupposto è che la verità esiste e che può essere raggiunta dall’intelletto umano, in questa e nell’altra vita, con diversi gradi di evidenza.

Se il relativismo tenta di insinuarsi nella fede cattolica e cerca di spingere i cristiani verso un cristianesimo senza Cristo, non è forse vero che propone agli Ebrei un Ebraismo senza Mosè?

E il relativismo non è un buon alleato del popolo ebraico.

Ponzio Pilato, che si chiedeva, per conto di tutti i relativisti della storia, “che cos’è la verità?”[22], non è forse il rappresentate di quella Roma che ha sì condannato Gesù Cristo, ma che ha distrutto il secondo tempio (e la distruzione del tempio è – in un certo senso – un prologo della Shoa)?

Ancora adesso l’alleanza con il relativismo costituisce una tentazione per la Sinagoga.

È in atto anche in Italia una certa propaganda del noachidismo, che consiste nel proporre ai non ebrei l’osservanza di sette precetti[23], dati da Dio ad Adamo e a Noè - quindi prima dell’alleanza con Abramo e dell’elezione di Israele.

Non manca chi propone ai Cristiani una conversione a questa nuova mentalità noachica[24].

La propaganda del noachidismo potrebbe essere un punto di incontro con la pseudo-religiosità massonica e il suo ideale di religione universale basata su un minimo comune denominatore che unisca gli uomini nella tolleranza reciproca[25].

E infatti il Rabbino Di Segni, il 26 maggio 2003, in visita a Villa Medici, sede del Grand’Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, illustrò proprio “Il Patto Noachita”.

Giuseppe Abramo, Gran Segretario del Grande Oriente d’Italia, commentò così l’intervento del rabbino:

“non si può non nominare lo straordinario respiro cosmico dell’ebraismo, nel momento in cui questa dottrina, lungi dall’affermare l’esistenza di una religione giusta, che escluda le altre, promette salvezza a chiunque accetti spontaneamente e sinceramente i Sette Precetti dei Figli di Noè. È la stessa apertura alla tolleranza che, insieme al trinomio caro a noi Massoni (libertà, uguaglianza e fratellanza) guida e regola i lavori massonici”[26].

Ma è questa una via redditizia per gli Ebrei?

È molto meno rischioso per gli Ebrei confidare in chi avrà sempre l’obbligo immutabile, il supremo comandamento del Maestro, di dare la vita per loro, piuttosto di chi oggi li può considerare alleati (secolarizzati) e domani nemici da distruggere. Pilato docet.

In base a quanto detto, gli Ebrei devoti e non secolarizzati potranno trovare un punto di unione con i Cristiani, per difendersi dalla minaccia del relativismo.

6. Ciò che alla fine ci unirà.

Benedetto XVI, in visita ad Auschwitz, ha fornito l’interpretazione teologica cattolica dello sterminio degli Ebrei durante la seconda guerra mondiale:

“I potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall'elenco dei popoli della terra. Allora le parole del Salmo: "Siamo messi a morte, stimati come pecore da macello" si verificarono in modo terribile. In fondo, quei criminali violenti, con l'annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell'umanità che restano validi in eterno. Se questo popolo, semplicemente con la sua esistenza, costituisce una testimonianza di quel Dio che ha parlato all'uomo e lo prende in carico, allora quel Dio doveva finalmente essere morto e il dominio appartenere soltanto all’uomo - a loro stessi che si ritenevano i forti che avevano saputo impadronirsi del mondo. Con la distruzione di Israele, con la Shoa, volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell'uomo, del forte”[27].

Alla luce di quanto il Papa afferma, se è dovere di noi cristiani ricordare la Shoa, anche gli Ebrei non possono esimersi dal considerare come i cristiani sono stati in passato e sono ancora oggi la comunità più perseguitata della terra, dalla fondazione della nostra santa religione fino alla fine del mondo.

In altre parole, insieme abbiamo sperimentato l’odio di satana e l’odio del mondo, che vogliono cancellare ogni “testimonianza di quel Dio che ha parlato all'uomo” e “strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell'uomo, del forte”.

Vengono in mente le parole del Catechismo della Chiesa Cattolica, che descrive, con parole simili, i tempi dell’anticristo:

Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il «mistero di iniquità» sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell'apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell'Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l'uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne”[28].

Come non vedere affinità tra “la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell'uomo, del forte” e “l’impostura religiosa ... in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio”?

Siccome “l’uomo nella prosperità non comprende”[29], non saranno forse i tempi di una comune e feroce persecuzione a farci riflettere e a farci deporre ogni pregiudizio?

Allora, quando “uscirà da Sion il liberatore”[30], incontrerà i pochi cristiani che non si saranno fatti trascinare dal’apostasia generale e gli Ebrei, che, a quel punto, nella totalità morale, riconosceranno Gesù Cristo e saranno reinnestati: e allora...

“Se la loro caduta è stata ricchezza per il mondo e il loro fallimento ricchezza per le genti, quanto più la loro totalità!”[31]

e così...

“Allora tutto Israele sarà salvato”[32].

7. Conclusioni generali

Ho cercato di commentare la nuova preghiera pro Iudeis, tendo conto del dibattito teologico su Israele in campo cattolico e dei problemi del dialogo inter-religioso ebraico cristiano.

La nuova preghiera è discreta, toglie alcune espressioni delle preghiere del passato che sono lecite, in quanto tratte dalla Scrittura, ma che potrebbero essere dure per l’interlocutore.

Pur con questa discrezione, la preghiera appare inconciliabile con la teoria delle due vie di salvezza parallele (teoria quantitativamente dominante presentata dai media come svolta conciliare), e si pone in continuità con il passato.

Viene richiamata la necessità che gli Ebrei riconoscano Gesù Cristo e che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità: quindi si esclude una via di salvezza senza la conoscenza della verità, che per noi non è una teoria, ma una Persona: Gesù Cristo.

Il titolo rubricale Pro conversione Iudeorum, lasciato nella micro-riforma della Messa di San Pio V, sancisce l’attualità e la liceità della categoria teologica conversione degli Ebrei (anche se abbiamo visto come questa conversione ha una sua specificità e possa considerarsi, da un punto di vista soggettivo, un arrivo o un coronamento).

L’interpretazione del Card. Kasper, che sposta la conversione degli Ebrei oltre la fase apocalittica della rivelazione, appare come un arrampicarsi sugli specchi, e lascia gli Ebrei stessi insoddisfatti.

Oltretutto questa spiegazione lascia in una sorta di limbo il piccolo ma continuo numero di Ebrei che si convertono, che annovera già santi e martiri, e di cui San Paolo dice che “anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una scelta fatta per grazia”[33].

È inaccettabile anche l’affermazione che agli Ebrei non va annunciato Gesù Cristo: gli Ebrei sono stati i primi destinatari del Vangelo - sia da parte di Nostro Signore, sia da parte degli Apostoli - e la Chiesa non può percorrere altre strade.

Quale dialogo possibile con queste premesse?

Senza nascondere il desiderio e l’auspicio che tutti gli uomini credano in Gesù Cristo, si può distinguere operativamente il dialogo inter-religioso dall’apostolato.

Rimangono molte cose nelle quali si può lavorare assieme; queste sono state descritte mirabilmente nell’ultimo discorso di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma. Il lavoro comune accrescerà la conoscenza e la stima reciproca, demolendo piano piano tanti pregiudizi.

Il discorso del Papa ad Auschwitz assume una certa valenza profetica: Ebrei e Cristiani sono oggetto di un feroce odio satanico che ha le caratteristiche dell’odio dell’anticristo. Constatare come siamo assieme perseguitati e per la stessa ragione (la diabolica volontà cancellare ogni “testimonianza di quel Dio che ha parlato all'uomo”) potrà far maturare cose meravigliose. Essendo la minaccia relativista la premessa di questi eventi, se la Sinagoga riuscirà a fuggire la tentazione dell’alleanza con la Loggia, già fin d’ora la difesa dal comune nemico (il relativismo) potrebbe dare a entrambi maggior consapevolezza del nostro misterioso stato di fratelli.

Prima di concludere, vorrei elogiare un Vescovo coraggioso, che non ha avuto timore di andare contro-corrente: si tratta di Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Lugi Negri, Vescovo di San Marino - Montefeltro. Così il giornalista Riccardo Cascioli riassume un articolo dello stesso Mons. negri sulla rivista Studi Cattolici:

“Non si capisce perciò come alcuni cattolici possano sostenere che «la missione valga per tutti gli uomini meno che per qualche categoria (per esempio gli islamici e gli ebrei)». O che «la singolarità del rapporto tra Israele e Chiesa è quello del peculiare percorso salvifico ebraico, per cui rispetto all’ebraismo non può esserci missione istituzionalizzata da parte cristiana».

«Per un’autentica coscienza della fede – chiosa il vescovo di San Marino – questo risulta inconcepibile: come se ci fosse una via alla salvezza che prescinde dall’avvenimento di Cristo, dall’incontro con Lui, dalla sequela di Lui e dalla conversione a Lui, così come è presente misteriosamente, fino alla fine dei tempi, nella sua Chiesa che è il suo Corpo e il suo Sacramento»”[34].

Che Maria, Madre ebrea di Gesù ebreo, aiuti il dialogo tra i discepoli e i consanguinei del suo Figlio. Amen!

Don Alfredo Morselli, Stiatico di San Giorgio di Piano, 24-3-2010

NOTE

[1] Cf. Lc 15, 11-32; “La parabola del padre misericordioso, che invita il figlio maggiore ad aprire il suo cuore al prodigo, non suggerisce direttamente l'applicazione, che talvolta è stata fatta, alle relazioni tra ebrei e Gentili (il figlio maggiore rappresenterebbe gli ebrei osservanti, poco inclini ad accogliere i pagani, considerati peccatori). È possibile tuttavia ipotizzare che il contesto più ampio dell'opera di Luca lasci una possibilità a questa applicazione, a causa della sua insistenza sull'universalismo”: Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue sacre scritture nella Bibbia cristiana (2001), § 74.

[2] S. Agostino, Enarr. in Ps. XLVII, 3.

[3] At 17, 1-4.

[4] Lc 24, 13-48.

[5] Riprendo qui alcune osservazioni già pubblicate nel mio libro La negazione della storicità dei Vangeli. Storia, cause e rimedi, Seriate 2006, p. 47.

[6] Cf. R. Le Déaut, “A propose d’une définition de midrash”, Biblica 50 (1969), 395-413, e A.C. Avril - P. Lenhardt, La lettura ebraica della scrittura, Magnano: Qiqaion, 1984.

[7]A.C. Avril - P. Lenhardt, La lettura ebraica, p. 63.

[8]A.C. Avril - P. Lenhardt, La lettura ebraica, p. 63.

[9]Ecco alcuni passi della Mishnah che chiariscono come un ebreo percepiva la pluralità dei significati della Scrittura: «Abbajé dice: Siccome la Scrittura dice: “Una cosa ha detto Dio, due ne ho udite; è questa la potenza di Dio” (Sal. 62.12), (se ne deve dedurre che) un solo passo scritturistico dà luogo a dei sensi molteplici…»; cf. b.Sanhedrin 34a, cit. in A.C. Avril - P. Lenhardt:, La lettura ebraica, p. 108; «Rabbì Jochana dice: Che cosa significa ciò che sta scritto: “Il Signore ha dato una parola, annunci per un’armata numerosa” (Sal. 68.12)? Ogni parola che usciva dalla bocca della Potenza sul monte Sinai si divideva in settanta lingue. É stato insegnato nella scuola di Rabbì Ishmael: “Non é forse così la mia parola: come il fuoco, oracolo del Signore, e come un martello che frantuma la roc­cia?” (Ger. 23.29). Come questo martello sprigiona molte scintille, così pure ogni parola che usciva dalla bocca della Potenza si divideva in settanta lingue.»; cf. b.Shab­bat 88b, cit. in La lettura ebraica, p. 109.

[10]ὡς διήνοιγεν ἡμῖν τὰς γραφάς”.

[11] "…auctor sacrae Scripturae est Deus, in cuius potestate est ut non solum voces ad significandum accommodet (quod etiam homo facere potest), sed etiam res ipsas. Et ideo, cum in omnibus scientiis voces significent, hoc habet proprium ista scientia, quod ipsae res significatae per voces, etiam significant aliquid", S. Th., Iª q. 1 a. 10 co.

[12] Cit. in: Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, Roma: Città Nuova - Libreria Editrice Vaticana, 1985, p. 36/1.

[13] Lc 24, 48: “Di questo voi siete testimoni”.

[14]Cf. 2 Cor. 1, 20.

[15] S. Agostino d'Ippona, Enarrationes in Psalmos, 109, 1. 3.

[16] A sostegno della tesi per cui nei vangeli ritroviamo tutte le caratteristiche del più genuino midrash, riporto quanto afferma uno dei maggiori studiosi ebrei di questo fenomeno culturale, Jacob Neusner: "Ciò che noi abbiamo in tutto il Nuovo Testamento, come pure nella biblioteca essena di Qumran, è un'esegesi del tutto peculiare: una lettura dei versetti dell'antica Scrittura alla luce di uno schema verificabile di eventi concreti: L'esegeta mette in relazione le Scritture dal passato a cose che sono successe nei suoi giorni. La sua forma [letteraria] serve a questo scopo" ("What we have in all of the New Testament Gospel, as in the Essene library of Qumran, is an entirely distinctive sort of exegesis: a reading of the verses of ancient Scipture in light of an avaible scheme of concrete events. The exegete relates Scriptures from the past to thing that have happened in his own day. His form serves that goal"); Jacob Neusner, What is a midrash?, Philadelphia: Fortress Press, 1987, p. 40.

[17] “What we have in all of the New Testament Gospel, as in the Essene library of Qumran, is an entirely distictive sort of exegesis: a reading of the verses of ancient Scipture in light of an avaible scheme of concrete events. The exegete relates Scriptures from the past to thing that have happened in his own day. His form serves that goal”; Jacob Neusner, What is a midrash?, Philadelphia: Fortress Press, 1987, p. 40.

[18] "Come purtroppo suggerisce indebitamente il Card. Kasper, stravolgendo San Bernardo: “Per sostenere quest'interpretazione ci si può riferire a un testo di san Bernardo di Chiaravalle, che dice che non siamo noi a doverci occupare degli ebrei, ma che Dio stesso se ne occuperà”.

[19] Cf. La Nota dottrinale della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti A Note on Ambiguities Contained in «Reflections on Covenant ond Mission», del 19-6-2009, precedentemente citata.

[20] Visita alla Comunità Ebraica di Roma, Parole del Santo Padre Benedetto XVI, Sinagoga di Roma , Domenica, 17 gennaio 2010; testo ripreso dal sito WEB della Santa Sede: http://tinyurl.com/ycb52o4.

[21] Riccardo di Segni, intervistato da Avvenire, alla domanda: “Tutto chiarito invece sulla questione della preghiera del venerdì santo alla quale lei accennava prima?”, ha risposto: “Sull'argomento direi che è stato raggiunto un armistizio "politico", più che una pace vera. Nel senso che è stato chiarito dalle più alte autorità della Chiesa che la conversione non si riferisce all'immediato, ma è trasferita alla fine dei tempi”; “Di Segni: «Indietro non si torna»”, Avvenire, 16 gennaio 2010, cf. http://tinyurl.com/yh9fqg7.

[22] Gv 18, 38.

[23] I precetti noachici sono: 1. Non adorare gli idoli
2. Non profanare il Nome
3. Non uccidere
4. Non commettere atti sessuali proibiti
5. Non rubare
6. Perseguire la giustizia
7. Non essere crudele con gli animali: per una prima infarinatura, vedi il Sito noachide, http://www.benenoach.info/dblog/articolo.asp?articolo=3.

[24] Scrive Marco Morselli: “Rav Elia Benamozegh in un’opera postuma pubblicata a Parigi nel 1914 scriveva: «La riconciliazione sognata dai primi cristiani come una delle condizioni della Parusia, o avvento finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel seno della Chiesa, senza di cui le diverse confessioni cristiane sono concordi nel riconoscere che l’opera della redenzione rimane incompleta, questo ritorno si effettuerà non come lo si è atteso, ma nel solo modo serio, logico e durevole, e soprattutto nel solo modo proficuo al genere umano. Sarà la riunione dell’ebraismo e delle religioni che ne sono derivate, e, secondo la parola dell’ultimo dei profeti, il sigillo dei veggenti, come i dottori chiamano Malachia, “il ritorno del cuore dei figli ai loro padri”» (Ml 3,24). Non vi è una Nuova Alleanza che si contrapponga a una Vecchia Alleanza, non vi è neppure un’unica Alleanza Vecchio-Nuova che costringerebbe gli ebrei a farsi cristiani o i cristiani a farsi ebrei. Vi è un’unica Torah eterna che contiene molte Alleanze, i molti modi in cui il Santo, benedetto Egli sia, rivela il suo amore per gli uomini e indica le vie per giungere all’incontro con Lui”. Il dialogo ebraico-cristiano da un punto di vista ebraico, conferenza del Prof. Marco Morselli pronunziata a Roma il giorno 10 marzo c.a. -Via Aurelia 476 - nell’Aula Magna dei Fratelli delle Scuole Cristiane; cf. http://tinyurl.com/y9x7yva, visitato il 24 marzo 2010.

[25] “l’alleanza noachide non prescrive nessuna cultura, nessuna religione, nessun mito, nessun rito, è compatibile con tutte le culture e con tutti i diversi modi di essere umani”; Ibidem.

[26] “Il rabbino capo Di Segni incontra il Grande Oriente”, Erasmo Notizie, bollettino di informazione del Grand’Oriente d’Italia, anno V - Numero 11 - 15 giugno 2003, p. 2. Inoltre negli scritti di Maimonide si trovano delle considerazioni, a proposito dei sette precetti noachici, che calzano a pennello con il pensiero massonico: egli dichiara che i non-Ebrei che osservano le sette leggi riconoscendone l'origine Divina sono chiamati Chasidei Umot HaOlam, ovvero "i Giusti tra le nazioni del mondo", mentre coloro che le osservano soltanto per motivi razionali, avendo riconosciuto la loro validità tramite l'intelletto, sono Chochmei Umot HaOlam, cioè uomini saggi. Hilchot Melachim 8:11, cit. in Informazioni e approfondimenti sui precetti Noachidi, http://tinyurl.com/ygm22gw, visitato il 24 marzo 2010.

[27] Benedetto XVI, Discorso durante la visita al campo di Auschwitz, 28 maggio 2006. Citazione dal sito WEB della Santa Sede: http://tinyurl.com/3cjqe4, visitato il 24 marzo 2010.

[28] CCC 675. Riporto anche il seguito, per comodità e giovamento del lettore:

676 Questa impostura anti-cristica si delinea già nel mondo ogniqualvolta si pretende di realizzare nella storia la speranza messianica che non può essere portata a compimento se non al di là di essa, attraverso il giudizio escatologico; anche sotto la sua forma mitigata, la Chiesa ha rigettato questa falsificazione del regno futuro sotto il nome di millenarismo, soprattutto sotto la forma politica di un messianismo secolarizzato «intrinsecamente perverso».

677 La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest'ultima pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e risurrezione. Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male che farà discendere dal cielo la sua Sposa. Il trionfo di Dio sulla rivolta del male prenderà la forma dell'ultimo giudizio dopo l'ultimo sommovimento cosmico di questo mondo che passa”.

[29] Sal 49, 13.

[30] Is 59,20 cit. in Rm 11, 26.

[31] Rm 11, 12.

[32] Rm 11, 26.

[33] Rm 11, 5.

[34] R. Cascioli, “La conversione degli ebrei è ancora attuale?”, in http://tinyurl.com/y8eugkk ; sito visitato il 1 marzo 2010.

[35] Intervista di Giuseppe Rusconi a Roccardo di Segni; Il Consulente RE online, http://www.ilconsulentere.it/stampaArticolo.php?id=244, visitato il 23 marzo 2010.

17 commenti:

  1. <span><span>La nuova preghiera è discreta, toglie alcune espressioni delle preghiere del passato che sono lecite, in quanto tratte dalla Scrittura, ma che potrebbero essere dure per l’interlocutore.</span></span>
    .................
    dunque una preghiera lecita, in quanto tratta dalla Scrittura, può essere considerata 
    "dura" o "indiscreta":
    <span>perchè ?</span>
    E' giunto il tempo della preghiera "diplomatica", che non suoni offensiva per coloro che sono l'oggetto delle preghiere ?

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  2. <span><span><span>La nuova preghiera è discreta, toglie alcune espressioni delle preghiere del passato che sono lecite, in quanto tratte dalla Scrittura, ma che potrebbero essere dure per l’interlocutore.</span></span>  
    .................  
    dunque una preghiera lecita, in quanto tratta dalla Scrittura, può essere considerata   
    "dura" o "indiscreta":  
    <span>perchè ?</span>  
    E' giunto il tempo della preghiera "diplomatica", che non suoni offensiva per coloro che ne sono i destinatari ?</span>
    Oppure è mai accaduto che un tizio, che chieda o accetti preghiere per il proprio bene, dica all'intercessore: "Ti darò io però le istruzioni su come pregare per me, altrimenti la tua preghiera mi può risultare sgradita e invadente " ?

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  3. In cinquant'anni la preghiera è stata cambiata quattro o cinque volte (nemmeno me lo ricordo) perchè?

    A voler far meglio della Tradizione la cambieranno ancora venti volte poi si accorgeranno che era meglio prima.....

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  4. Per Eraclio 73. Ci sei? Vado fuori tema ma resto di grande attualità: i "maomettani maledetti" del New Yoek Times e della CNN stanno attaccando il papa. Chiedi aiuto agli ebrei!

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  5. <p><span><span>La nuova preghiera è discreta, toglie alcune espressioni delle preghiere del passato che sono lecite, in quanto tratte dalla Scrittura, ma che potrebbero essere dure per l’interlocutore.</span></span>
    Dunque: una preghiera è lecita, in quanto tratta dalla Scrittura, però viene considerata “dura” o “indiscreta” e quindi deve essere<span>  </span>adeguatamente “smorzata” ; ma allora…
    è giunta l’epoca della preghiera “diplomatica”, che non deve risultare offensiva o indiscreta per coloro che ne sono i destinatari ?
    Oppure è mai accaduto che un tizio, che chieda o accetti preghiere per il proprio bene da un intercessore, gli dica: “Ti darò io però istruzioni sul modo di pregare per me, altrimenti la tua preghiera può risultare per me offensiva o invadente” ?...
    </p>

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  6. e poi vorrei sapere: tutti questi cambiamenti e attenuazioni molto-correct, QUANTO hanno giovato alla conversione e/o al dialogo con gli Ebrei ? come verifichiamo un avvicinamento...
    e poi, in tutti questi incontri ravvicinati degli ultimi decenni:
    QUAL è stato effettivamente l'avvicinamento: di quale natura, di chi, a chi, o a che cosa ?

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  7. <span>e poi vorrei sapere: tutti questi cambiamenti e attenuazioni molto-correct, QUANTO hanno giovato alla conversione e/o al dialogo con gli Ebrei ? come verifichiamo un avvicinamento... ? da quale segno positivo ?
    e poi, in tutti questi incontri ravvicinati degli ultimi decenni: 
    QUAL è stato effettivamente l'avvicinamento: di quale natura, di chi, a chi, o a che cosa ?</span>

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  8. <span><span>Che Maria, Madre ebrea di Gesù ebreo, aiuti il dialogo tra i discepoli e i consanguinei del suo Figlio. Amen!</span></span>

    <span>Mi suscita una certa perplessità questa preghiera: è possibile che la Madonna debba intercedere per la loro conversione "appoggiandosi" alla consanguineità degli ebrei (e di se stessa) con Gesù Cristo ?</span>
    <span>Allora mi ricordo quando Gesù interrogò gli Apostoli sull’opinione che avevano di Lui:</span>
    <span><span>"</span>Ed egli disse loro: «E voi, chi dite che io sia?» Simon Pietro rispose: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».</span>
    <span>Gesù, replicando, disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo,  <span>ma il Padre mio che è nei cieli.”</span></span>
    <span>(Matteo 16:15-1)</span>
    <span>Allora, mentre pensiamo, speriamo e preghiamo per la conversione degli Ebrei, dovremo credere che NON LA loro CARNE O IL SANGUE riveleranno loro che Gesù è il Figlio di Dio, il Messia Salvatore che essi aspettavano dalle parole dei profeti, ma solo il Padre che è nei cieli, così come è accaduto per Pietro, per Paolo, per i gentili e gli ebrei e tutti quelli che divennero cristiani, come noi, fin dal giorno dell’Incarnazione e Redenzione nella Croce di Nostro Signore!</span>
    <span> oppure non è così per gli ebrei di oggi ?</span>
    <span><span>
    </span></span>

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  9. io non credo affatto che nel cosiddetto dialogo o nella (sperata) conversione sia di qualche peso determinante il dato storico di essere consanguinei di Gesù: essi ne sono certamente consapevoli, e non da oggi, ma dall'anno 30, quando Gesù iniziò la sua vita pubblica con la predicazione e i miracoli, tra i loro antenati (che poi Lo crocifissero) e questa coscienza della discendenza comune non li ha affatto aiutati ad avvicinarsi alla Verità, a riconoscere Gesù come il Messia, anzi pare sia stato un intralcio a confronto dell'apertura di tanti pagani che credettero ! Non a caso Gesù disse: "Nessuno è profeta in patria!" (perchè fu ed è motivo di vergogna per loro la figura storica di Nostro Signore...)
    Oggi noi cristiani sappiamo che Gesù è morto in Croce per redimere il mondo dai peccati di tutti (i nostri e i loro); essi invece continuano a credere che Egli era un impostore sovversivo, che presumeva di essere il messia tanto atteso e dunque meritò la condanna a morte.
    E' la Croce che ci separa e che ancora copre i loro occhi incapaci di vedere in Lui il Re dei re: sembra solo un velo (a noi cristiani), che sia così sottile la separazione tra noi e loro, ma è essenziale.
    Quella stessa Croce che abbaglia noi con la sua evidenza gloriosa di fonte di Salvezza eterna, abbaglia loro rendendoli ciechi, (per la troppa luce: e così il Signore ha chiamato S. Paolo, abbagliandolo e accecandolo per un po'....), ed è per loro ancora motivo di scandalo, come Gesù aveva detto !

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  10. <span>io non credo affatto che nel cosiddetto dialogo o nella (sperata) conversione sia di qualche peso determinante il dato storico di essere consanguinei di Gesù: essi ne sono certamente consapevoli, e non da oggi, ma dall'anno 30, quando Gesù iniziò la sua vita pubblica con la predicazione e i miracoli, tra i loro antenati (che poi Lo crocifissero) e questa coscienza della discendenza comune non li ha affatto aiutati ad avvicinarsi alla Verità, a riconoscere Gesù come il Messia, anzi pare sia stato un intralcio a confronto dell'apertura di tanti pagani che credettero ! Non a caso Gesù disse: "Nessuno è profeta in patria!" (perchè fu ed è motivo di vergogna per loro la figura storica di Nostro Signore...)  
    Oggi noi cristiani sappiamo che Gesù è morto in Croce per redimere il mondo dai peccati di tutti (i nostri e i loro); essi invece continuano a credere che Egli era un impostore sovversivo, che presumeva di essere il Messia tanto atteso e dunque meritò la condanna a morte.  
    E' la Croce che ci separa e che ancora copre i loro occhi incapaci di vedere in Lui il Re dei re, Figlio di Dio e Salvatore del mondo: sembra solo un velo (a noi cristiani), che sia così sottile la separazione tra noi e loro, ma è essenziale.  
    Quella stessa Croce che abbaglia noi con la sua evidenza gloriosa di fonte di Salvezza eterna, abbaglia loro rendendoli ciechi, (per la troppa luce: e così il Signore ha chiamato S. Paolo, abbagliandolo e accecandolo per un po'....), ed è per loro ancora motivo di scandalo, come Gesù aveva detto !</span>

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  11. E poi ci si domanda perchè siamo arrivati a questo punto. Se NS Gesù Cristo  avesse usato il politically correct della nostra religione  non si sarebbe nemmeno parlato. Egli è una pietra di contraddizione che metterà i padri contro i figli, Egli è il si si mo no, Egli è colui che  scacciò i mercanti dal tempio. Certamente a quei tempi  e subito dopo la sua morte e resurrezione non si parlava di "dialogo" ma di EVANGELIZZAZIONE come voluto dal Divino Maestro. Ed i discepoli trovarono grandi difficoltà da parte dei loro contemporanei ebrei, che furono i primi loro persecutori. Infatti si legge nel Vangelo che i Dodici si trovavano rinchiusi nel cenacolo "propter metu iudeorum". Ma siccome Gesù ci ha dato un nuopvo comandamento, cioè amarci l'un l'altro e perdonare chi ti fa del male, la Chiesa ha sempre pregato per la conversione degli ebrei. Anche il "perfidi " della antica preghiera non ha il significato che oggi viene dato, cioè cattivi, spregevoli, ma che pur avendo la piena rivelazione a portata di mano non l'accettano e continuano a rifiutarla anche con offese nei confronti di Gesù e di sua madre, come si legge nel Talmud. (Mentre i mussulmani hanno rispetto sia per l'uno che per l'altra).Quindi è incomprensibile tutta questa melina  che si concretizza nelle nuove preghiere, frutto soltanto della resa di questa chiesa conciliare. E poi basta con tutte queste spappardellate lunghe e leggibili soltanto da chi non ha niente da fare. O in Cristo ci si crede o no. Leggere il Prologo del Vangelo di San Giovanni.

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  12. Scrivi qui il tuo nome...28 marzo 2010 alle ore 10:47

    <span><span>Proviamo a vederla così: evitare espressioni che potrebbero essere dure per l'interlocutore è una "santa astuzia" per avvicinarne la conversione (specie quando l'interlocutore, come mi pare avvenga per gli Ebrei, non chiede né gradisce preghiere da parte nostra).</span></span>
    <span><span>Cordialità,</span></span>
    <span><span>ms</span></span>

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  13. Non saranno queste "sane astuzie" a indurne la conversione, che avverrà per tutt'altre vie.

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  14. Non ricordo esattamente quando, ma mi sembra nel prImo decennio del XX Secolo, Martin Buber fece richiesta formale di un processo d'appello per Gesù, di fronte alla Corte rabbinica di Parigi. Fu accontentato. La Corte, anche se non mancò di notare e stigmatizzare le irregolarità che avevano accompagnato il processo i 2000 ani fa, non poté che rinnovare la condanna. Il senso è che proclamarsi per proclamarsi Messia, o si è folli, o si commette un delitto meritevole non solo dell'equivalente ebraico della "Scomunica", ma anche proprio della pena capitale, o lo si è. E visto che Gesù non era folle, dato che riconoscerlo come Messia andava contro l'idea che se ne erano fatti, ne consegue che, pur deplorando le irregolarità formali del giudizio precedente, pur riconoscendo le "attenuanti generiche" legate alle azioni umanitarie compiute nei secoli dai suoi discepoli, la Corte non potè che reiterare la condanna.

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  15. Non ricordo esattamente quando, ma mi sembra nel prImo decennio del XX Secolo, Martin Buber fece richiesta formale di un processo d'appello per Gesù, di fronte alla Corte rabbinica di Parigi. Fu accontentato. La Corte, anche se non mancò di notare e stigmatizzare le irregolarità che avevano accompagnato il processo i 2000 ani fa, non poté che rinnovare la condanna. Il senso è che proclamarsi per proclamarsi Messia, o si è folli, o si commette un delitto meritevole non solo dell'equivalente ebraico della "Scomunica", ma anche proprio della pena capitale, o lo si è. E visto che Gesù non era folle, dato che riconoscerlo come Messia andava contro l'idea che se ne erano fatti, ne consegue che, pur deplorando le irregolarità formali del giudizio precedente, pur riconoscendo le "attenuanti generiche" legate alle azioni umanitarie compiute nei secoli dai suoi discepoli, la Corte non potè che reiterare la condanna.

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  16. Non ricordo esattamente quando, ma mi sembra nel prImo decennio del XX Secolo, Martin Buber fece richiesta formale di un processo d'appello per Gesù, di fronte alla Corte rabbinica di Parigi. Fu accontentato. La Corte, anche se non mancò di notare e stigmatizzare le irregolarità che avevano accompagnato il processo i 2000 ani fa, non poté che rinnovare la condanna. Il senso è che proclamarsi per proclamarsi Messia, o si è folli, o si commette un delitto meritevole non solo dell'equivalente ebraico della "Scomunica", ma anche proprio della pena capitale, o lo si è. E visto che Gesù non era folle, dato che riconoscerlo come Messia andava contro l'idea che se ne erano fatti, ne consegue che, pur deplorando le irregolarità formali del giudizio precedente, pur riconoscendo le "attenuanti generiche" legate alle azioni umanitarie compiute nei secoli dai suoi discepoli, la Corte non potè che reiterare la condanna.

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