Il Concilio Vaticano II rimane, quarant’anni dopo, un evento che entusiasma e che divide. Se ne fa continuamente un gran parlare: i progressisti come il cardinal Martini, Mancuso, Melloni ecc. sembrano far risalire ad esso la nascita della Chiesa, ne invocano una più ampia e corretta attuazione e chiedono addirittura il Vaticano III, per aprirsi ancora di più al mondo e al pensiero moderno; il papa ribadisce che il Concilio Vaticano II non va separato da ciò che lo precede; mons. Fellay, superiore della Fraternità san Pio X, afferma di voler interpretare tale concilio alla luce della Tradizione, riservandosi anche di poter criticare alcuni passaggi ritenuti ambigui e alcuni documenti che considera almeno parzialmente in contrasto col magistero precedente (posizione questa già accettata dal papa per quanto riguarda gli statuti della comunità tradizionalista del “Buon pastore”, a cui è stato dato il permesso di criticare, con spirito costruttivo, alcuni passi conciliari controversi).
Personalmente non ho grande competenza per esprimermi, ma due concetti vorrei qui esporli, sperando siano utili al dibattito, e augurandomi di non dire sciocchezze troppo grosse (se lo farò, ci sarà certo qualcuno pronto, fraternamente, a correggermi).
Ebbene, leggendo alcuni documenti del Concilio intravedo talora qualcosa che mi stupisce per eccesso di ottimismo. Il Concilio si aprì con le famose dichiarazioni di Giovanni XXIII, contro i “profeti di sventura”: Giovanni XXIII credeva fermamente che i nostri tempi fossero particolarmente favorevoli ad una nuova “primavera della Chiesa”, ad un “balzo innanzi”, ad una rinascita senza precedenti.
Parlava apertamente di un “giorno foriero di luce splendidissima” di cui il Concilio rappresentava l’ “aurora”. Si distaccava, in questo, dalla visione che avevano avuto Pio X e Pio XII, più inclini a scorgere nella contemporaneità un’epoca di progressivo e terribile allontanamento da Dio.
Scriveva Giovanni XXII l’8 dicembre 1962, a chiusura della prima sessione del Concilio: “sarà veramente la nuova Pentecoste che farà fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza…sarà un nuovo balzo in avanti del Regno di Cristo nel mondo, un riaffermare in modo sempre più alto e suadente la lieta novella della Redenzione, l’annuncio luminoso della sovranità di Dio, della fratellanza umana nella carità…”.
Scriveva Giovanni XXII l’8 dicembre 1962, a chiusura della prima sessione del Concilio: “sarà veramente la nuova Pentecoste che farà fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza…sarà un nuovo balzo in avanti del Regno di Cristo nel mondo, un riaffermare in modo sempre più alto e suadente la lieta novella della Redenzione, l’annuncio luminoso della sovranità di Dio, della fratellanza umana nella carità…”.
Purtroppo non è andata così, come ha notato anche il cardinal Biffi nelle sue recenti memorie, e se l’albero si vede dai frutti, oggi si può dire che molti segni dei tempi furono male interpretati. Dopo il Concilio migliaia e migliaia di sacerdoti lasciarono la veste, per sposarsi, o addirittura in seguito a crisi di fede. E il tempo non avrebbe mutato le cose.
Il pontificato di Paolo VI è stato su questo punto assai indicativo: il Montini fu infatti sovente portato a condividere l’ottimismo quasi utopico di Giovanni XXIII e a cercare nel rinnovamento pastorale, in una maggiore apertura al mondo, la via maestra per una nuova evangelizzazione; ma fu anche consapevole, in molte occasioni, e lo disse a gran voce, che invece della primavera, nella Chiesa, era arrivato l’inverno; che il fumo di Satana era entrato nel tempio di Dio. In lui convissero l’idea che il Concilio significasse un “primaverile risveglio d’immense energie spirituali e morali, quasi latenti nel seno della Chiesa”, insieme con profonde crisi interiori, di cui rendeva partecipe, tra gli altri, il cardinal Siri in lunghi colloqui privati e drammatici.
E’ così che alcuni documenti del Concilio portano qua e là il segno di un certo ingenuo ottimismo, che, secondo padre Stanley Jaki, amico stimato di Benedetto XVI, secondo don Divo Barsotti e il riscoperto Romano Amerio, deriva da una sottovalutazione del peccato originale e della perfidia dello spirito del mondo, evangelicamente inteso.
Questo ottimismo utopico, dicevo, lo si trova ad esempio all’inizio della Dichiarazione sulla libertà religiosa: “Nell’età contemporanea gli esseri umani divengono sempre più consapevoli della propria dignità di persone e cresce il numero di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabile libertà mossi dalla coscienza del dovere e non pressati da misure coercitive”. Nella “Gaudium e spes” invece si leggono frasi di tal genere: “Mai come oggi gli uomini hanno avuto un senso così acuto della libertà…numerosi sono perciò coloro che giungono a un più acuto senso di Dio…L’uomo d’oggi procede sulla strada di un più pieno sviluppo della sua personalità e di una progressiva scoperta e affermazione dei propri diritti”. Dichiarazioni analoghe, magari spesso limate e meglio specificate nei passaggi successivi, si trovano abbondantemente anche in altre encicliche pressoché contemporanee, prima tra tutte la Pacem in terris.
Che male c’è, dirà qualcuno, ad essere ottimisti, a voler andare incontro al mondo in modo suadente e senza condanne altisonanti? Che male c’è a preferire “la medicina della misericordia piuttosto che della severità”, come disse sempre Giovanni XXIII, a puntare sull’ “aggiornamento”, piuttosto che sulla Tradizione?
In effetti a chi non piacerebbe, almeno apparentemente, un Cristo meno esigente, che fosse venuto a patti col mondo, che avesse dialogato con i suoi carnefici sino a convincerli, e che non chiedesse, anche ai suoi discepoli, di lottare contro il peccato, sino, se necessario, al sangue e al martirio? Che non ci avesse ricordato che “siete nel mondo, ma non del mondo”?
Personalmente penso che la mancanza di realismo, di un sapiente equilibrio tra “severità” e “misericordia”, abbia sovente conseguenze negative, perché la diagnosi è sempre necessaria alla cura, e per questo deve essere implacabile e vera. “Il suo atteggiamento", scriveva Paolo VI il 7 dicembre 1965 parlando del Concilio, "è stato molto e volutamente ottimista. Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno”, preferendo a “deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi”. Ma quali sono state le conseguenze di tutto ciò, di questo atteggiamento così dichiaratamente nuovo nella storia della Chiesa?
Quanto è mancata, al nostro mondo contemporaneo, una cruda diagnosi della sua malattia, accompagnata, certo, anche dalla misericordia della cura?
Le conseguenze di un ottimismo estremo le stiamo pagando tuttora: si è ingenerata piano piano nei cattolici una mentalità eccessivamente acquiescente e irenista. L’idea che non si debba “condannare”, che si debba sempre dialogare ad oltranza, che occorra far viaggiare la Chiesa col mondo, ha fatto tanta strada, portando ai “cattolici per il marxismo”, ai “cattolici per il divorzio”, ai “cattolici per l’aborto”, ai cattolici relativisti (“io no, ma gli altri…”), ai “cattolici adulti” e via discorrendo. Non cioè alla pace della Chiesa col mondo, come oggi è sempre più chiaro, ma alla discordia tra gli stessi credenti.
Un esempio su tutti: la mancata scomunica del comunismo da parte dei padri conciliari, nonostante la petizione di 450 di essi, proprio allorché le persecuzioni erano immense e quella ideologia di morte devastava interi popoli, risponde proprio ad un ottimismo irrealistico, e ad una mentalità che volendo distanziarsi dalla consuetudine degli anatemi del passato, crede, mi sembra ingenuamente, che il dialogo col mondo sia la soluzione possibile, indolore ed efficace, per la redenzione dell’umanità. Di qui anche quella visione del dialogo che diventa non un mezzo ma il fine; un dialogo che ha come scopo null’altro che il dialogo stesso, invece della conversione: come se Cristo stesso non avesse scelto, in ultima analisi, di testimoniare la sua divinità col suo sangue, e non avesse annunciato ai suoi discepoli persecuzioni e martirio.
Riusciamo ad immaginare un Concilio, oggigiorno, in cui Benedetto XVI, per non litigare col mondo, rifiutasse di condannare clonazione, aborto e manipolazione genetica? E oggi, che il papa lotta come un leone a difesa dell’uomo, dal concepimento sino alla morte naturale, possiamo ancora sottoscrivere la celebre frase di Paolo VI secondo la quale “la religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata [al Concilio ndr] con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio”, senza che ciò generasse un “scontro, una lotta, un anatema”, ma al contrario una “simpatia immensa”? O non è piuttosto sempre più chiaro che l’uomo che si fa Dio è la perfetta antitesi del Dio che si fa uomo, e che lungi dal rappresentare un vero umanesimo, l’umanesimo ateo contemporaneo finisce per disprezzare l’uomo, riducendolo ad una scimmia, ad un “numero uscito alla roulette”, ad un oggetto manipolabile?
Messa in luce questa mentalità di fondo presente in alcuni passaggi del Concilio, proporrei un’altra considerazione. Forse proprio la volontà di non urtare, di essere più “pastorali”, di non utilizzare la chiarezza lapidaria e sintetica del concilio di Trento, ha determinato la presenza in alcuni documenti conciliari di concetti non sempre chiari, ambigui, che lasciano spazio a interpretazioni divergenti. Prendiamo ad esempio il documento sull’ecumenismo, l’Unitatis Redintegratio. In esso si ripete più volte il dogma cattolico per il quale solo la Chiesa cattolica è la vera Chiesa di Cristo; si insiste sovente sulle divergenze dottrinali tra cattolici, ad esempio, e protestanti; si condanna come “alieno dall’ecumenismo” il “falso irenismo”, in linea dunque con il magistero precedente. Ma poi, nell’illustrare i metodi del dialogo, si lascia spazio, ad esempio, alla preghiera comune, tra cattolici e membri di altre confessioni: “nei congressi ecumenici è lecito, anzi desiderabile, che i cattolici si associno nella preghiera coi fratelli separati”.
Ma questo non genera confusione, indifferentismo, mentalità sincretista? Non porta i fedeli a dimenticare la realtà, e cioè l’importanza, nella Chiesa, della comunione con Roma e del primato petrino? I padri conciliari continuavano: “Tuttavia la comunicazione nelle cose sacre non la si deve considerare come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento dell’unità dei cristiani… La significazione dell’unità per lo più vieta la comunicazione. La necessità di partecipare la grazia talvolta la raccomanda. Circa il modo di agire…decida prudentemente l’autorità del luogo…”. Ma allora pregare insieme a persone di fede diversa è un atto doveroso, o qualcosa di equivoco?
Posizioni di questo genere, così poco chiare, hanno generato, nel post Concilio, una grande confusione, culminata, a mio modo di vedere, nei famosi incontri di Assisi del 1986. Allora si arrivò a porre sugli altari delle chiese cattoliche statue di altre divinità o simulacri del Budda; sacerdoti cattolici si fecero pubblicamente iniziare a religioni animiste e i fedeli videro mescolarsi indifferentemente il nome di Cristo, “via, verità e vita”, con quello delle molteplici divinità fasulle, nella città di un grande santo, all’interno di chiese consacrate. L’effetto concreto fu il dilagare dell’indifferentismo, sintetizzabile in quell’espressione che divenne di moda sulla bocca di molti cattolici: “siamo tutti figli dello stesso Dio”. Espressione vera, per carità, in ultima analisi, ma estremamente pericolosa se utilizzata per far credere che Cristo, Budda e Maometto siano la stessa identica cosa. Espressione che racchiude in sé un altro dramma del post Concilio: il progressivo venir meno nei cattolici della consapevolezza del dovere di annunciare Cristo a tutte le genti e delle responsabilità che il dono della fede comporta.
Ad Assisi nel 1986 due cardinali preferirono non partecipare, intravedendo in quell’evento un grosso pericolo per la fede: il cardinal Giacomo Biffi e il cardinal Joseph Ratzinger, che in una recente prefazione ad un libro di Marcello Pera ha sottolineato come il dialogo sia possibile e doveroso tra persone, tra culture e popoli diversi, ma non tra diverse concezioni religiose e dottrinali. Erano, i due cardinali, sulla stessa linea di papa Pio XI, che nella “Mortalium animos” aveva deprecato “congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere”, cattolici, eretici e rappresentanti di altre religioni, in nome di “una falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni”. Pregare insieme, pensava Pio XI, serve solo a creare confusione, a spingere al naturalismo e in ultima analisi all’ateismo pratico, delegittimando la Rivelazione e la Chiesa stessa.
Un’ultima considerazione. La lettura del documento conciliare sulla liturgia permette qui di intravedere quello che a mio avviso fu un altro degli errori di quegli anni, cui il papa attuale sta piano piano ponendo rimedio, prima col motu proprio e poi restaurando la croce al centro dell’altare, la comunione in ginocchio e altro ancora.
Da una parte si predicò il rinnovamento, insistendo fortemente su di esso, e generando la nascita di una serie incredibile di messe sperimentali in cui accadeva di tutto e durante le quali il celebrante diventava l’inventore sempre più fantasioso di nuove ritualità, sino alla nascita delle messe beat, o delle messe con le ballerine sull’altare; dall’altra si invitava a mantenere il latino, accanto ad un maggiore uso del volgare, e nel contempo si chiedeva di non introdurre “innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l’avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle esistenti”. Per quanto riguarda il canto, il concilio affermava che “la Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana”, a cui riservare “il posto principale”; invitava contestualmente a tenere “in grande onore l’organo a canne…il cui suono è in grado di aggiungere notevole splendore alle cerimonie della Chiesa”. Contemporaneamente, però, nella prassi, si lasciò che il latino scomparisse, e che del gregoriano e dell’organo non rimanesse traccia. In perfetta coerenza gli altari di un tempo vennero abbattuti, insieme alle balaustre e a tutto ciò che nella messa tradizionale serviva a sottolineare la sacralità della cerimonia e il suo carattere di rinnovazione del Sacrificio della Croce. Con esiti per nulla positivi.
Rendersi conto di certi errori del passato, che esimi cardinali e papi riconobbero con grande umiltà di fronte all’esplosione del protestantesimo, permise alla Chiesa del Concilio di Trento di rinascere, dopo tempi onestamente bui.
Non è giunto il momento, anche oggi, di qualche piccolo mea culpa, di una revisione, almeno, di questo ottimismo troppo mondano ed utopico? In verità l’ottimismo che, come cristiani, possiamo professare, è veramente immenso, ma ci viene dalla Resurrezione di Cristo, come fatto storico, non da altro. Dalla Sua morte, invece, dovremmo apprendere il realismo, cioè la consapevolezza dei nostri peccati e della necessità di convertirci e di convertirlo, non di vezzeggiarlo, il mondo.
Comunque la si pensi, in conclusione, mi sembra che buona parte della polemica sul Concilio e su Benedetto XVI stia qui: nella necessità di definire l’atteggiamento del cristiano dinanzi al mondo. Benedetto XVI ama il mondo, perché Cristo ha dato suo figlio per esso, ma lo richiama, lo incalza, lo sprona e lo infastidisce come si fa con un ronzino vecchio, stanco ed egoista; ama gli uomini di oggi, ma stigmatizza senza falsi scrupoli i mali contemporanei, alla luce della ragione e della fede, per il vero bene dell’umanità. Sa che il sale della fede non è dolce, e talora brucia, sulle nostre ferite, ma dà sapore alla vita. E lo fa tanto più con forza ed urgenza, quanto meno condivide l’idea che il mondo e la Chiesa stiano vivendo una “nuova primavera” e una “nuova Pentecoste”. In questo mi sembra che sia vero un certo suo distacco, una disillusione rispetto a certe illusioni dell’epoca conciliare.
In effetti a chi non piacerebbe, almeno apparentemente, un Cristo meno esigente, che fosse venuto a patti col mondo, che avesse dialogato con i suoi carnefici sino a convincerli, e che non chiedesse, anche ai suoi discepoli, di lottare contro il peccato, sino, se necessario, al sangue e al martirio? Che non ci avesse ricordato che “siete nel mondo, ma non del mondo”?
Personalmente penso che la mancanza di realismo, di un sapiente equilibrio tra “severità” e “misericordia”, abbia sovente conseguenze negative, perché la diagnosi è sempre necessaria alla cura, e per questo deve essere implacabile e vera. “Il suo atteggiamento", scriveva Paolo VI il 7 dicembre 1965 parlando del Concilio, "è stato molto e volutamente ottimista. Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno”, preferendo a “deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi”. Ma quali sono state le conseguenze di tutto ciò, di questo atteggiamento così dichiaratamente nuovo nella storia della Chiesa?
Quanto è mancata, al nostro mondo contemporaneo, una cruda diagnosi della sua malattia, accompagnata, certo, anche dalla misericordia della cura?
Le conseguenze di un ottimismo estremo le stiamo pagando tuttora: si è ingenerata piano piano nei cattolici una mentalità eccessivamente acquiescente e irenista. L’idea che non si debba “condannare”, che si debba sempre dialogare ad oltranza, che occorra far viaggiare la Chiesa col mondo, ha fatto tanta strada, portando ai “cattolici per il marxismo”, ai “cattolici per il divorzio”, ai “cattolici per l’aborto”, ai cattolici relativisti (“io no, ma gli altri…”), ai “cattolici adulti” e via discorrendo. Non cioè alla pace della Chiesa col mondo, come oggi è sempre più chiaro, ma alla discordia tra gli stessi credenti.
Un esempio su tutti: la mancata scomunica del comunismo da parte dei padri conciliari, nonostante la petizione di 450 di essi, proprio allorché le persecuzioni erano immense e quella ideologia di morte devastava interi popoli, risponde proprio ad un ottimismo irrealistico, e ad una mentalità che volendo distanziarsi dalla consuetudine degli anatemi del passato, crede, mi sembra ingenuamente, che il dialogo col mondo sia la soluzione possibile, indolore ed efficace, per la redenzione dell’umanità. Di qui anche quella visione del dialogo che diventa non un mezzo ma il fine; un dialogo che ha come scopo null’altro che il dialogo stesso, invece della conversione: come se Cristo stesso non avesse scelto, in ultima analisi, di testimoniare la sua divinità col suo sangue, e non avesse annunciato ai suoi discepoli persecuzioni e martirio.
Riusciamo ad immaginare un Concilio, oggigiorno, in cui Benedetto XVI, per non litigare col mondo, rifiutasse di condannare clonazione, aborto e manipolazione genetica? E oggi, che il papa lotta come un leone a difesa dell’uomo, dal concepimento sino alla morte naturale, possiamo ancora sottoscrivere la celebre frase di Paolo VI secondo la quale “la religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata [al Concilio ndr] con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio”, senza che ciò generasse un “scontro, una lotta, un anatema”, ma al contrario una “simpatia immensa”? O non è piuttosto sempre più chiaro che l’uomo che si fa Dio è la perfetta antitesi del Dio che si fa uomo, e che lungi dal rappresentare un vero umanesimo, l’umanesimo ateo contemporaneo finisce per disprezzare l’uomo, riducendolo ad una scimmia, ad un “numero uscito alla roulette”, ad un oggetto manipolabile?
Messa in luce questa mentalità di fondo presente in alcuni passaggi del Concilio, proporrei un’altra considerazione. Forse proprio la volontà di non urtare, di essere più “pastorali”, di non utilizzare la chiarezza lapidaria e sintetica del concilio di Trento, ha determinato la presenza in alcuni documenti conciliari di concetti non sempre chiari, ambigui, che lasciano spazio a interpretazioni divergenti. Prendiamo ad esempio il documento sull’ecumenismo, l’Unitatis Redintegratio. In esso si ripete più volte il dogma cattolico per il quale solo la Chiesa cattolica è la vera Chiesa di Cristo; si insiste sovente sulle divergenze dottrinali tra cattolici, ad esempio, e protestanti; si condanna come “alieno dall’ecumenismo” il “falso irenismo”, in linea dunque con il magistero precedente. Ma poi, nell’illustrare i metodi del dialogo, si lascia spazio, ad esempio, alla preghiera comune, tra cattolici e membri di altre confessioni: “nei congressi ecumenici è lecito, anzi desiderabile, che i cattolici si associno nella preghiera coi fratelli separati”.
Ma questo non genera confusione, indifferentismo, mentalità sincretista? Non porta i fedeli a dimenticare la realtà, e cioè l’importanza, nella Chiesa, della comunione con Roma e del primato petrino? I padri conciliari continuavano: “Tuttavia la comunicazione nelle cose sacre non la si deve considerare come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento dell’unità dei cristiani… La significazione dell’unità per lo più vieta la comunicazione. La necessità di partecipare la grazia talvolta la raccomanda. Circa il modo di agire…decida prudentemente l’autorità del luogo…”. Ma allora pregare insieme a persone di fede diversa è un atto doveroso, o qualcosa di equivoco?
Posizioni di questo genere, così poco chiare, hanno generato, nel post Concilio, una grande confusione, culminata, a mio modo di vedere, nei famosi incontri di Assisi del 1986. Allora si arrivò a porre sugli altari delle chiese cattoliche statue di altre divinità o simulacri del Budda; sacerdoti cattolici si fecero pubblicamente iniziare a religioni animiste e i fedeli videro mescolarsi indifferentemente il nome di Cristo, “via, verità e vita”, con quello delle molteplici divinità fasulle, nella città di un grande santo, all’interno di chiese consacrate. L’effetto concreto fu il dilagare dell’indifferentismo, sintetizzabile in quell’espressione che divenne di moda sulla bocca di molti cattolici: “siamo tutti figli dello stesso Dio”. Espressione vera, per carità, in ultima analisi, ma estremamente pericolosa se utilizzata per far credere che Cristo, Budda e Maometto siano la stessa identica cosa. Espressione che racchiude in sé un altro dramma del post Concilio: il progressivo venir meno nei cattolici della consapevolezza del dovere di annunciare Cristo a tutte le genti e delle responsabilità che il dono della fede comporta.
Ad Assisi nel 1986 due cardinali preferirono non partecipare, intravedendo in quell’evento un grosso pericolo per la fede: il cardinal Giacomo Biffi e il cardinal Joseph Ratzinger, che in una recente prefazione ad un libro di Marcello Pera ha sottolineato come il dialogo sia possibile e doveroso tra persone, tra culture e popoli diversi, ma non tra diverse concezioni religiose e dottrinali. Erano, i due cardinali, sulla stessa linea di papa Pio XI, che nella “Mortalium animos” aveva deprecato “congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere”, cattolici, eretici e rappresentanti di altre religioni, in nome di “una falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni”. Pregare insieme, pensava Pio XI, serve solo a creare confusione, a spingere al naturalismo e in ultima analisi all’ateismo pratico, delegittimando la Rivelazione e la Chiesa stessa.
Un’ultima considerazione. La lettura del documento conciliare sulla liturgia permette qui di intravedere quello che a mio avviso fu un altro degli errori di quegli anni, cui il papa attuale sta piano piano ponendo rimedio, prima col motu proprio e poi restaurando la croce al centro dell’altare, la comunione in ginocchio e altro ancora.
Da una parte si predicò il rinnovamento, insistendo fortemente su di esso, e generando la nascita di una serie incredibile di messe sperimentali in cui accadeva di tutto e durante le quali il celebrante diventava l’inventore sempre più fantasioso di nuove ritualità, sino alla nascita delle messe beat, o delle messe con le ballerine sull’altare; dall’altra si invitava a mantenere il latino, accanto ad un maggiore uso del volgare, e nel contempo si chiedeva di non introdurre “innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l’avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle esistenti”. Per quanto riguarda il canto, il concilio affermava che “la Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana”, a cui riservare “il posto principale”; invitava contestualmente a tenere “in grande onore l’organo a canne…il cui suono è in grado di aggiungere notevole splendore alle cerimonie della Chiesa”. Contemporaneamente, però, nella prassi, si lasciò che il latino scomparisse, e che del gregoriano e dell’organo non rimanesse traccia. In perfetta coerenza gli altari di un tempo vennero abbattuti, insieme alle balaustre e a tutto ciò che nella messa tradizionale serviva a sottolineare la sacralità della cerimonia e il suo carattere di rinnovazione del Sacrificio della Croce. Con esiti per nulla positivi.
Rendersi conto di certi errori del passato, che esimi cardinali e papi riconobbero con grande umiltà di fronte all’esplosione del protestantesimo, permise alla Chiesa del Concilio di Trento di rinascere, dopo tempi onestamente bui.
Non è giunto il momento, anche oggi, di qualche piccolo mea culpa, di una revisione, almeno, di questo ottimismo troppo mondano ed utopico? In verità l’ottimismo che, come cristiani, possiamo professare, è veramente immenso, ma ci viene dalla Resurrezione di Cristo, come fatto storico, non da altro. Dalla Sua morte, invece, dovremmo apprendere il realismo, cioè la consapevolezza dei nostri peccati e della necessità di convertirci e di convertirlo, non di vezzeggiarlo, il mondo.
Comunque la si pensi, in conclusione, mi sembra che buona parte della polemica sul Concilio e su Benedetto XVI stia qui: nella necessità di definire l’atteggiamento del cristiano dinanzi al mondo. Benedetto XVI ama il mondo, perché Cristo ha dato suo figlio per esso, ma lo richiama, lo incalza, lo sprona e lo infastidisce come si fa con un ronzino vecchio, stanco ed egoista; ama gli uomini di oggi, ma stigmatizza senza falsi scrupoli i mali contemporanei, alla luce della ragione e della fede, per il vero bene dell’umanità. Sa che il sale della fede non è dolce, e talora brucia, sulle nostre ferite, ma dà sapore alla vita. E lo fa tanto più con forza ed urgenza, quanto meno condivide l’idea che il mondo e la Chiesa stiano vivendo una “nuova primavera” e una “nuova Pentecoste”. In questo mi sembra che sia vero un certo suo distacco, una disillusione rispetto a certe illusioni dell’epoca conciliare.
Ottima, ottima, e ancora ottima analisi. Mi ha fatto capire cose nuove: ora so fino a che punto erano ottimisti Giovanni XXIII e Paolo VI. Che Dio possa concederci presto questo ravvedimento!
RispondiEliminaCommento davvero ineccepibile!
RispondiEliminaUn'analisi precisa e chiara, assolutamente condivisibile.
RispondiElimina<span>finalmente!
RispondiEliminaE' tutto da incorniciare, ma per ora fisso questo, che da parte mia osservo da anni:
Quanto è mancata, al nostro mondo contemporaneo, una cruda diagnosi della sua malattia, accompagnata, certo, anche dalla misericordia della cura?
Bastava la saggezza di tutti i tempi a capire che il medico pietoso fa la piaga cancrenosa: ma il buon senso dell'uomo della strada è stato disprezzato per correre dietro alle utopie, soprattutto quella di auto-guarigione dal male, come se l'uomo ad un tratto potesse dire: Mi posso curare da solo, col mio pensiero, con le mie soluzioni, perchè il tempo presente va OLTRE Cristo!
E allora sarà la Chiesa ad imparare dall'uomo, ad accodarsi alle SUE ideologie, alle SUE soluzioni dle problema del male, della sofferenza, della precarietà...
Il mondo ha detto alla Chiesa: ascolta me, seguimi!
E la Chiesa docente (ahimè...) si è ad esso accodata e modellata sempre di più!</span>
(e la parte discente che altro poteva fare, se non seguire quella strada così accettata anche dai maestri? nessuno era in grado di accorgersi che si stava deragliando dalla strada Maestra perenne, seguita fino al 1962).
<p><span style=" ">Andare in chiesa deve essere UNA GIOIA e non una sopportazione. Allora non è certo il problema dell’ottimismo o pessimismo. Perché quando pronunciamo le formule da ripetere nell'assemblea, lo facciamo con un'aria da funerale : è la formula o la forma? Dietro il rispetto, dietro l'ordine, dietro il silenzio, manca la gioia del Signore. Quando il presbitero dice: "In alto i vostri cuori!", l'assemblea pronuncia (quando lo pronuncia) "sono rivolti al Signore" con un'aria così seria, <span style="background: #ffff66;">lugubre</span>, deprimente: non è Chiesa e fa scappare dalla chiesa. I canti tanto più sono tradizionali, Gloria o <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Santo, tanto più sono smorti e slentati : niente allegria nè gioia nelle facce di chi canta, né di chi partecipa.</span>
RispondiElimina<p><span style=" ">Nel Rito <span style="background: #a0ffff;">Tridentino</span> sia ancor peggio perché il latino è una lingua che crea atmosfere rigide, severe e quindi lugubri. </span>
<p><span style=" ">Il Concilio voleva che la messa fosse un incontro con il Signore , quindi motivo di gioia. Tutto dovrebbe essere detto con il sorriso sulle labbra, guardando in alto e aprendo le braccia come per accogliere il Signore che si manifesta per noi e in noi: una festa, così come fu fatta per il figlio prodigo. il re Davide ballava davanti al Signore che stava nell'arca, ballava dalla felicità di essere vicino al Signore.</span>
<p><span style=" ">Invece di accusare il Concilio di ottimismo, bisogna chiederci che ne abbiamo fatto, quindi, dell'autentica gioia. Rispettare Dio non significa deprimersi e deprimere, rispettare Dio significa non offenderlo. e si offende Dio solo se si ha il cuore malvagio. Ma se si ha il cuore puro, si è come bambini. i bambini parlano, ridono, cantano, sorridono, toccano.</span>
<p><span style=" ">Guardatevi <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dal credere di essere "migliori" solo perché mostrate di prendere seriamente la liturgia cattolica, tridentina o conciliare :che sia. solo chi ama Dio e gioisce con Lui con cuore sincero è in grado di sentire Dio in lui e di essere in armonia con Lui. Questo voleva il Concilio.</span>
Introibo ad altare Dei: ad Deum qui laetificat iuventutem meam
RispondiEliminaquelle atmosfere "lugubri" hanno nutrito e donato alla Chiesa migliaia di santi della GIOIA cristiana come S. Giovanni Bosco, S. Filippo Neri et alii!
RispondiEliminarispettare Dio significa IN PRIMIS adorarlo con degno culto, mettendo Gesù Cristo al centro della Liturgia, non l'assemblea e/o il celeb...presidente!
RispondiElimina<span>il Sacrificio è deprimente?</span>
RispondiElimina<span>ah certo...è vero, oggi vogliamo solo ballare e cantare, guai a dire ai nostri figli che la vita è cosparsa più di spine che di rose!
Mettere la Croce al centro dell'altare, per fissare lo sguardo e la mente e far convergere tutta la Liturgia sul Santo Sacrificio del Calvario con cui Cristo ha redento l'umanità e ci ha donato la sua Divina Liturgia redentrice,
significa DEPRIMERE l'uomo? o piuttosto assumere in Cristo tutto il male dell'uomo, mediante quell'Agnello senza macchia che tollit (=prende su di sè per eliminare, ESPIANDO) il peccato del mondo, Unico Sacrificio Perfetto gradito al Padre per cancellare gli effetti devastanti del peccato originale e attuale (cioè che si attua nell'uomo di tutti i tempi?)
Salvare l'uomo mediante la Croce significa deprimerlo?
Certo Gesù ha parlato chiaro:
"Chi vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua!"
Seguirlo significa in tutto: sulla Via della Croce, per risorgere con Lui.
Per Crucem ad Lucem: e non è una passeggiata.</span>
Condivido il pensiero del Prof. Francesco Agnoli, preghiamo per la Chiesa e chiediamo al Signore la luce per illuminare chi di dovere affinchè si ponga mano risolutamente ai necessari rimedi.....
RispondiEliminaAttenzione poi a voler beatificere e canonizzare i papa di post concilio.... occorre andarci con i piedi di piombo....
don Bernardo
<span><span>il re Davide ballava....ma sì, ricordo, come dice "mister" Ki:</span></span>
RispondiElimina"il Signore è venuto a portarci dalla tristezza all'allegria": tutta qui la sua missione, vero?
nelle salette delle danze ki-davidiche intorno all'altare non si parla affatto di Sacrificio di espiazione offerto da Nostro Signore con la sua morte di Croce, nè tantomento di rinnovazione del Calvario nella S. Messa, perchè....già perchè secondo quei maestri e catechisti "conciliari" a cui sembra rifarsi inopportuno (sembra?)
...bisogna superare il concetto di sacrificio, che è solo roba dei pagani!
ma veramente il Concilio aveva detto questo: che la Messa non è Sacrificio ?
Caro Inopportuno, certamente il Critianesimo vissuto ci dona la gioia, la semplicità dei bambini, la serenità, l'umiltà..... frutti che nascono dall'abbandonarsi totalmente nelle mani di Dio (fede), dalla speranza che il suo amore è più forte (non abbiate timore io ho vinto il mondo), dalla carità fraterna con tutti (anche verso i nemici).
RispondiEliminaLa Messa certo è incontro con il Signore, anzi dirò di più è adorazione, lode, sacrificio, ringraziamento. E' esperienza estatica del mistero e della bellezza.... tutte queste cose le troviamo nella messa tridentina.... anche la gioia, molta gioia, la letizia cristiana che ti pervade dopo aver preso parte alla Santa Messa.... la gioia è dono dell'Altissimo, non frutto tecniche umane.....
Lugubre e scialbo è il pensiero e l'atteggiamento di chi disprezza e giudica i fratelli
<span>uno dei tanti enormi equivoci derivati dal Concilio (o dalle sue libere letture), perniciosi sia per la retta Fede che per la retta ragione (e di cui vediamo svariati saggi, ricorrenti su questo blog e dappertutto...):
RispondiEliminase oggi ti permetti di dire a qualcuno che sta seguendo una strada pericolosa per la sua Fede e per la sua anima, subito vieni accusato di non avere Carità: grazie alla mentalità diffusa dall'ottimismo seguito al Concilio si è dimenticato che la Verità precede la Carità, in ordine logico e teologico, come diciamo nel Credo:
"Credo nello spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio". ...
Fino al Catechismo di S. Pio X sapevamo bene che prima bisogna conoscere Dio, attraverso Gesù Cristo che è Verità, Verbo di Dio eterno fatto Uomo, poi potremo amarlo con tutto il cuore, con tutte le forze, con tutta l'anima, poi grazie a questo amore DA e VERSO Dio (1mo comandamento), potremo amare il prossimo come noi stessi, e come Lui ci comanda.
Dal Concilio in poi invece ci hanno lasciato credere che basta applicare quella esortazione:
"Ama e fà quel che vuoi", perchè "più grande di tutte è la Carità",
ma senza spiegarci esattamente la qualità di quell'amore e COME dovesse essere gestito, verificato e governato ( cioè con quali mezzi di Grazia e di ascesi, altro termine riposto in soffitta....). Nella vita pratica cristiana l'ottimismo si così è tradotto in superficialità e tiepidezza spirituale, cioè lassismo su tutte le tendenze viziose dell'uomo, perchè tanto...Dio perdona tutto, inuitile fare sforzi per migliorare, collaborando con la Grazia santificante !
</span>
scusate l'OT. Sapete a chi ha dedicato un articolo il numero del 2 gennaio di quest'anno de La Civiltà Cattolica? Non lo immaginereste mai ... Ad un ex gesuita di cui ricorreva l'anno scorso il centenario della morte. L'articolo, che ha ottenuto l'approvazione dei soloni della Segreteria di Stato, è sostanzialmente elogiativo, ne prepara l'apertura del processo di beatificazione, è dedicato al'ex gesuita (in quanto espulso dall'Ordine) inglese Tyrrel, massimo esponente del modernismo.
RispondiEliminaBella roba, vero? Nell'articolo si dipinge Tyrrel come una vittima di quel Torquemada di san Pio X.
Non ho parole ...
caro <span>don Bernardo...la beatificazione di Papa GPII è già iniziata (nonostante le gravi perplessità suscitate dall'incontro di Assisi ed altri dubbi...) e non credo che il processo si fermerà. Mi pare all'insegna dell'et-et. Più facile che si fermi quello per Pio XII.
RispondiElimina</span>
se il Papa da una parte ara, dissoda il terreno e fa la semina del buon seme, e accanto a lui o alle sue spalle altri -tanti altri- continuano a seminare quello nefasto, quali piantine potranno spuntare? quale seminatore conquisterà la massima parte del terreno per le nuove piante?
RispondiEliminad'altra parte, se il Papa non respinge lontano i cattivi seminatori, e non li ammonisce in modo diretto, si espone continuamente a questa concorrenza....
pensando a tutti quelli che gli stanno remando contro (forse più dei collaboratori e obbedienti operai), quella del Papa può sembrare la fatica di Sisifo: fatta o detta una cosa, subito viene smorzata o vanificata da un'azione contraria.
RispondiEliminaMa il Signore può supplire totalmente (in modo inconoscibile) all'apparente insufficienza del suo "umile operaio", continuamente intralciato mentre lavora pazientemente nella Vigna disastrata....
Analisi, completa, acuta e magnificamente articolata.
RispondiEliminaMazzarino da ALMA PREX
Non ci posso credEre. Proprio stamattina, senza aver ancora visto Messainlatino, ho inserito nel nostro blog questo articolo, che diventa un contributo per la riflessione...
RispondiElimina<span style=" white-space: pre;">http://neocatecumenali.blogspot.com/2010/01/concilio-dellecumenismo-emblematica.html</span>
Il Pontefice faccia pulizia dei modernisti presenti nella Chiesa a tutti i livelli, comprese le riviste pseudo-cattoliche come Famiglia Cristiana, Jesus, civiltà Cattolica e molte altre anche all'estero. E poi la smetta di andare a far visita a sinagoghe, moschee e templi protestanti, perchè non fa altro che perpetuare il nefando spirito di Assisi. Domenica sarà per me un giorno di lutto.
RispondiEliminaA quando un articolo de La Croix dedicato alla riabilitazione e, perchè no, all'apertura di un processo di beatificazione di Loisy? Sono, davvero, senza parole...come ormai mi capita spesso...
RispondiEliminaChe dire, tiriamo fuori il "Canone Mike Buongiorno" (riposi in pace)? Allegria!
RispondiEliminaDavvero una analisi interessante che sarebbe da meditare lungamente e da arricchire ulteriormente....
RispondiEliminaOserei aggiungere che una altrettanta analisi del fenomeno PROTESTANTE dal 1500 ad oggi non è altro che la medesima matrice dei nostri problemi attuali....
La stessa idea di FRAMMENTAZIONE avvenuta nella Chiesa da 40 anni a questa parte, è di matrice Protestante, attraverso la cui idea nasce quella sorta di INDIPENDENZA dall'obbedienza ALLA Chiesa e nella quale le opinioni personali sono diventate verità incontrovertibili e laddove all'accusa di infallibilità petrina si è sostituita la personale infallibilità accusatoria specialmente in campo ECUMENICO attraverso il quale I SENSI DI COLPA hanno dato origine nella Chiesa ai segni di cedimento nei riguardi della solidità del patrimonio della Fede e della Tradizione....
Dobbiamo riscoprire la nostra identità autenticamente cattolica e con la fierezza del nostro passato, avere il coraggio di correggere gli errori commessi non solo in passato, ma soprattutto in questi ultimi 40 anni....
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RispondiElimina<p>1/2
<p>Condivido in parte l’analisi di Agnoli ma concordo pure, sempre in parte, con l’intervento di Inopportuno. L’analisi dell’Agnoli sarebbe stata ottima se avesse evidenziato la vecchia fobia e “senso di persecuzione del comunismo e del protestantesimo, della preghiera di Assisi, ecc”.
<p>Voglio sottolineare che nella mia parrocchia, ma anche in tutta la mia diocesi, non c’è mai stata una frattura, ne’ una contrapposizione tra il prima e il dopo concilio. La liturgia rinnovata è stata accolta con entusiasmo e applicata senza problemi, nel segno della continuità con la tradizione e con la Tradizione. L’organo ha continuato a suonare fino a quando c’è stato un organista; il latino e il gregoriano non è venuto mai meno. Nelle messe solenni e nelle festività non mancano mai il Kirie, il Confiter, Il Credo, il Santus, l’Agnus Dei (de Angelis o Perosi) non sono mai mancati I paramenti ricchi e “buoni” come li chiamava il vecchio parroco, sono stati utilizzati soprattutto per le Messe solenni. Non sono mancate nemmeno le tanto criticate chitarre nelle Messe dei giovani.
<p>Fermo restando che la Santa messa è il memoriale del Santo Sacrificio, è tuttavia pure un momento di Festa, perché con la celebrazione del Mistero Pasquale, Passione, <span style="text-transform: uppercase;">m</span>orte e <span style="text-transform: uppercase;">r</span>esurrezione del Signore, abbiamo le porte del Paradiso spalancate e noi tutti siamo stati redenti. Dobbiamo forse rattristarci per questo? Alleluia non vuol dire gioia?
<p>GiovanniD
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<p>
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<p><span style=" ">2/2</span>
RispondiElimina<p><span style=" ">Il luogo e il modo di adorare Dio ce lo insegna Gesù stesso:</span>
<p><span style=""><span style=""><span style="color: black;">“</span><span style="color: black;">La donna gli disse: «I nostri padri hanno adorato su questo monte, ma voi dite che a Gerusalemme è il luogo dove bisogna adorare». Gesù le disse: «Donna, credimi; l'ora viene che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori»” (cfr Gv 4,19 ss).</span></span></span>
<p><span style=" "> </span>
<p><span style=" ">Il buon senso, secondo me, è ciò che deve stare alla base di tutto, specialmente quando si parla e si opera per e nella Chiesa.</span>
<p><span style=" ">Oggi più che mai c’è bisogno d Testimoni, come diceva Paolo VI; di testimoni credibili, non iracondi, integralisti, nostalgici o lassivi e superficiali, ma di autentici testimoni di Cristo! </span>
<p><span style=" ">Perciò cerchiamo di avere in noi <span style="color: black;">gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù (cfr. Fil 2,5)</span>, se vogliamo davvero contribuire ad accrescere i Regno di Dio, salvare il mondo e salvare noi stessi.</span>
<p><span style="color: black;"><span style=" ">Anche perché «Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli (Mat 7,21).</span></span>
<p><span style=" "> </span>
<p><span style=" ">GiovanniD</span>
errata corrige:
RispondiEliminaL’analisi dell’Agnoli sarebbe stata ottima se <span style="text-decoration: underline;">NON</span> avesse evidenziato
Tutta la gioia che ho visto nelle messe carismatiche non ha mai portato ad una frequenza maggiore, e neanche a frutti stabili!
RispondiEliminaperò al momento erano tutti contenti!
vogliamo superare lo psicologismo e guardare i frutti?
A me non risulta che Davide danzasse nel tempio. La Gioia vera è molto lontana dalle appariscenti danze e canzoncine da musica leggera di basso livello. L'unico modo per trovare la gioia, tutta la Scrittura ne parla, è seguire i comandamenti del Signore. ll canto e la danza sono frutti della gioia e non causa. E, comunque, non è alla presenza del sacrificio incruento della croce il momento adatto a danze e canzoni smielate, per quanto mirabile sia il sacrificio.
RispondiEliminaChe poi il latino e la liturgia tridentina sia lugubre denota, scusami, una certa ignoranza. Ti propongo di ascoltare il "gloria" di Mozart, tridentino e latino, e confrontarlo con il symbolum 77, italiano e post-conciliare.
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"Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena."
Une belle analyse, oui, que celle de Francesco Agnoli, et que j'applaudis des deux mains, mais qui ne changera plus rien, je pense, au cours des choses. C'est trop tard. Nous ne sommes plus après le Concile de Trente, où la chrétienté, déjà mortellement blessée par la révolution protestante, disposait encore de réserves parfaitement intactes, Espagne et Portugal en particulier. Depuis, comme l'a dit un poète, «l'odeur du monde a changé», et tout donne à penser que nous sommes entrés dans les temps de la Fin. Cela ne devrait pas ébranler notre foi: nous <span style="text-decoration: underline;">savons</span>, en effet, que ce monde doit <span style="text-decoration: underline;">finir</span>.
RispondiEliminaSeulement, «quand le Fils de l'homme reviendra, trouvera-t-il encore de la foi sur la terre?» (Luc 18,8).
Di quanto la liturgia tridentina e il latino siano "lucubri" lo si sperimenta benissimo ascoltando un "Credo" pre-conciliare:
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/watch?v=VrOybGJPXeg&feature=related
Avrei voluto inserire l'equivalente post-conciliare, ma nessuno di quelli trovati da me su youtube è fedele al testo liturgico.
Buon ascolto "lucubre".
io adoro Mozart perchè la sua musica è talmente al limite che solo una mente folle e geniale poteva crearla (vedi ad esempio il Requiem). Mozart è stato pero' anche un massone e nonstante questo la sua musica (giustamente) trova ancora posto nelle celebrazioni...
RispondiEliminapero' Giovanni Paolo II ha avuto anche il coraggio di cominciare a chiedere perdono agli uomini per il male commesso dai cristiani e dagli uomini di Chiesa in nome di Cristo e questo è stato un grande evento (assieme secondo me ad Assisi). I dubbi pero' è vero ci sono e rimangono: ha messo mano alla liturgia e l'ha lasciata tale e quale coi risultati che si vedono oggi) , si è affacciato con Pinochet su quel terrazzino...
RispondiElimina<span>C'est trop tard. Nous ne sommes plus après le Concile de Trente...</span>
RispondiEliminaConcordo.
Il male è ormai troppo esteso e in rapidissimo peggioramento, perchè i piccoli rimedi apportati qua e là possano operare un veloce risanamento: tra l'altro la stragrande maggiornaza dei fedeli è inconsapevole della gravità della situazione generale della Chiesa e si culla nelle false sicurezze divulgate dai fans a oltranza della primavera conciliare che continuano a dire "Tutto va bene!"
mentre la Barca è piena di falle che si moltiplicano e si allargano, come il Papa stesso ha denunciato in quella memorabile Via Crucis del Venerdì Santo 2005, da cardinale, mentre Papa GPII partecipava in preghiera interiore...
Dove sono i buoni frutti del Concilio?
Quale aumento e fioritura della Fede ne è scaturito?
"Ma quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la Fede sulla Terra?"
<span style="cursor: pointer;"></span><span>Può giudicare lugubri il canto gregoriano, la Liturgia Divina immemorabile e tutta la civiltà cristiana (arte-cultura-carità-spiritualità-progresso materiale) fiorita in 2000 anni, con tutta la scia luminosa dei Santi che hanno reso gloria a Dio e alla Chiesa per 1930 anni, soltanto chi ha completamente perso il senso del Bello, del Vero e del Giusto e del Bene assoluto che da quella civiltà cristianizzata si era propagato e irradiato, quale Luce eterna, su tutta l'umanità (sia cristiana che pagana) dal 33 d.C. al 1962 d.C.</span>
RispondiEliminaLugubre ci sarai te e tutti i modernisti come te, che infatti fai sempre interventi tristi e cupi.
RispondiEliminaPersonalmente la gioia di stare alla presenza del signore l'avverto molto di più alla messa "tridentina" che quando andavo a quelle neoteriche, dalle quali uscivo sempre rattristato (spesso decisamente incazzato), nonostante le musichette allegre e l'uso abbondante delle parole <span style="text-decoration: underline;">gioia </span>e<span style="text-decoration: underline;"> gioioso </span>da parte dl celebrante.
Liturgia e canto fatti per elevare a Dio non possono essere lugubri e la Grazia allieta il cuore dell'uomo.
E' andato anche da Castro, se è per quello, ma non sono le cose peggiori che ha fatto. Ha chiesto anche perdono ai cinesi perchè i missionari quando li spellavano vivi urlavano e disturbavano i carnefici. Santo mai!
RispondiEliminami sembra che quella boccata d'aria con Pinochet sia stata molto peggio (per i cristiani) della chiaccherata con Fidel ma peggio assai. Il perdono è importante che i cristiani le chiedano (e spero che questo pontefici continui quella sana abitudine...anche se dubito lo faccia) ma non possono pretenderlo dagli altri: se poi gli altri si vorranno scusare del male che hanno fatto ai cristiani bene, altrimenti è lo stesso...
RispondiEliminala santità di coloro che sono a guida della Chiesa inoltre è un argomento strano e delicato, luci ed ombre sono sempre presenti: vedi la polemiche su Pio XII per il suo atteggiamento "cauto" verso il nazismo e aggiungerei io per l'approvazione data alla scomunica dei comunisti...
RispondiEliminainoltre dobbiamo ricordarci che la lingua latina per la sua morfologia e fonetica è naturalmente più musicale e più bella ad esempio della lingua italiana di qualsiasi epoca: se si leggono con le regole del pentametro e dell'esametro elegie e poemi latini il risultato è commovente...i tentativi di fare la solita cosa nella poesia italiana (vedi Carducci) sono stati molto inspidi.
RispondiElimina<span> correggere gli errori commessi non solo in passato, ma soprattutto in questi ultimi 40 anni....</span>
RispondiEliminaquando verrà un Papa che avrà il coraggio di chiedere perdono al mondo cattolico per gli errori che, favoriti dalle gerarchie, hanno portato, dal 1968 ad oggi, alla disgregazione dell'unità della Chiesa e alla demolizione della Santa Liturgia e allo sfacelo conseguente della Fede cattolica, con la perdita dell'identità cattolica, trascinando all'apostasia moltissimi credenti e all'indifferenza stabile i cercatori del vero Dio ? e propagando la dispersione della Fede fino alle future generazioni, come uno tsunami che non accenna a ritirarsi indietro ancora per altri decenni ?
<!--StartFragment-->
RispondiElimina<p><span style="">Pour compléter La China (13:19):</span>
<p><span style="">«Je me plaignis au Pape et lui demandai comment il pouvait tolérer qu’il y eût tant de prêtres parmi les démolisseurs…</span>
<p><span style="">«Vous prêtres, vous ne bougez pas! Vous dormez, et la bergerie brûle par les deux bouts! Vous ne faites rien! Oh! comme vous pleurerez cela un jour! Si vous aviez seulement dit un “Pater”!</span>
<p><span style="">«Je vois tant de traîtres! Ils ne peuvent pas souffrir qu’on dise: “Cela va mal!” Tout est bien à leurs yeux pourvu qu’ils puissent se glorifier avec le monde!»</span>
<p><span style="">Anne-Catherine Emmerich.</span>
<!--EndFragment-->
secondo me anche i cattolici devono tirarsi su le maniche e ricominciare a lavorare (e pregare) per la Chiesa soprattutto nei momenti in cui sembra che i pastori che dovono guidarli siano distratti a guardare il paesaggio più che il gregge: a volte ho come la sensazione che ci si metta troppo nello stato d'animo di chi aspetta e cerca solo di essere guidato passivamente senza metterci il proprio impegno ...
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/v/IUQcCvX2MKk" type="application/x-shockwave-flash" width="170" height="140
RispondiEliminaEccoti il Credo post-conciliare, Laico. Se mastichi un po' di inglese ti puoi fare qualche risata a denti stretti.
Caro Tramonto (il tuo nome mi ricorda un simpatico film di Pieraccioni, nel quale voleva chiamare i suoi figli Aurora e Tramonto), il Signore Gesù è sempre e comunque alba e luce dell'umanità redenta dal Suo sacrificio: non c'è tramonto per la sua luce. Non sono un millenarista, ma pure se la parousía fosse vicina (e nessuno ne conosce giorno ed ora, salvo il Padre) maràna tha, vieni o Signore: vorrebbe dire che la nostra liberazione è vicina! Sursum corda, dunque, la nostra fede ci sia di guida.
RispondiEliminasarebbe ora che Loisy venisse riabilitato...insieme a molti altri pensatori (vivi e defunti) che hanno sofferto e soffrono per colpa degli inquisitori
RispondiEliminaovviamente ognuno è libero di avere le proprie opinioni (spero)...anche sullo splendido spirito di Assisi
RispondiEliminaBisognerebbe che qualcuno solennemente dichiarasse che se qualcuno avrà detto o dirà che nella Chiesa si possa dare una seconda Pentecoste, sia scomunicato. E allora molte cose andrebbero a posto
RispondiEliminaBelle parole...
RispondiEliminaPeccato che oggi il Vaticano, tramite il suo portavoce, dimostra per l' ennesima volta che nulla è cambiato...
Roma è sempre la stessa e date queste condizioni diceva bene Mons. Lefebvre "C' est ne pas possible".
CITTA' DEL VATICANO "Non sono in discussione'' le conclusioni del Concilio Vaticano II e in particolare il documento Nostra Aetate che ha ridefinito anche i rapporti tra cattolici ed ebrei. Lo ha detto il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, dopo che questa mattina Benedetto XVI aveva auspicato un "superamento degli ostacoli per il raggiungimento della piena comunione con la Chiesa da parte della Fraternita' S.Pio X'', cui fa capo il movimento dei Lefebvriani. Padre Lombardi ha poi sottolineato che "l'adesione al magistero del Concilio Vaticano II, di cui la Dichiarazione Nostra Aetate e' un documento essenziale, e' condizione per la vera comunione ecclesiale''.
Le stupidaggini dei portavoce vaticani sono assai note.
RispondiEliminaPer esser essenziale alla comunione con la Chiesa la Nostra Aetate dovrebbe esser un documento dogmatico e non lo è, ancor meno di quelli che pure pomposamente vengon intitolati dogmatici sol perché toccano qualche precedente Verità definita dalla Chiesa.
Se la Nostra Aetate fosse essenziale alla comunione, la Chiesa sarebbe piena di eretici.
Lo scritto di Agnoli è da par suo: dice di non aver competenza ed invece centra perfettamente i problemi. Io ricordo il discorso di Giovanni XXIII e il card. Ottaviani che, sedendogli accanto, fremeva a sentir parlar di profeti di sventura. Dall'ottimismo di matrice illuministica è derivato un cumulo di rovine.
La canonizzazione di Giov. Paolo II andrà avanti: è la canonizzazione del Concilio. E non può essere un suo protagonista progressista a ridimensionarlo. Occorrono decenni, forse secoli.
Tra cent'anni come giudicheranno il periodo 1962-20... ?
RispondiEliminaCome disse Padre Federico Lombardi (ovviamente non il summenzionato) al Card. Roncalli "le anime vanno all'inferno e il Patriarca dice che va tutto bene".
RispondiEliminaFdS
Geniale
RispondiEliminaAnche Giuliano l'Apostata, poverino! E magari Ario. Per non dimenticare Giuda Iscariota.
RispondiEliminaMaggio! Anche i sassi sanno che il Papa aveva detto che sarebbe uscito sul balcone solo. Ottenne questo dagli organizzatori, poi Pinochet lo fregò uscendogli alle spalle! Ma è evidente che ci si limita sempre alla superficie per portare acqua al proprio mulino. Come gli ebrei con Pio XII.
RispondiEliminaMatteo Dellanoce
<span>strano...questo "tutto va bene" mi ricorda tanto un ex-premier...dossettiano</span>
RispondiEliminae se il papa gli avesse dato una pedatina in uno stinco per rimandarlo dentro?...avrebbe fatto un santo dovere
RispondiEliminaA proposito di ottimismo, sinceramente non riesco a comprendere la recente presa di posizione del card. Martini sulle pagine del "Corriere della Sera": ha dichiarato che la Chiesa non è stata mai così fiorente. Come spesso succede, ha messo insieme con fare soave concetti antitetici: da una parte ha esaltato la qualità dei pontefici del '900 ( compreso Pio XII ?), dall'altro quella dei più noti teologi, fra i quali, a parte Karl Rahner, attualmente "sub judice" ( con rabbiosa reazione di Alberto Melloni ) ha intruppato anche i protestanti Karl Barth ( amico rispettato di von Balthasar, ma nemico acerrimo della Mariologia: un "bubbone del Cattolicesimo, a suo modo di vedere ), Bonhoeffer ( martire del Nazismo, ma autore della teoria del "Dio tappabuchi" ormai inutile per i moderni ), Bultmann ( propugnatore della "demitizzazione" degli elementi miracolistici dei Vangeli ). Possibile che anche l'arcivescovo emerito di Milano segua la logica del "tanto peggio, tanto meglio": fatto il deserto ( o quasi ) fiorirà finalmente una Chiesa diversa? Personalmente mi riesce più simpatico ( e meno incomprensibile ) il "pessimista" Biffi: un uomo che abbina una cultura teologica straordinaria con il tratto sbarazzino del coadiutore di oratorio.
RispondiEliminaA proposito di ottimismo, sinceramente non riesco a comprendere la recente presa di posizione del card. Martini sulle pagine del "Corriere della Sera": ha dichiarato che la Chiesa non è stata mai così fiorente. Come spesso succede, ha messo insieme con fare soave concetti antitetici: da una parte ha esaltato la qualità dei pontefici del '900 ( compreso Pio XII ?), dall'altro quella dei più noti teologi, fra i quali, a parte Karl Rahner, attualmente "sub judice" ( con rabbiosa reazione di Alberto Melloni ) ha intruppato anche i protestanti Karl Barth ( amico rispettato di von Balthasar, ma nemico acerrimo della Mariologia: un "bubbone del Cattolicesimo, a suo modo di vedere ), Bonhoeffer ( martire del Nazismo, ma autore della teoria del "Dio tappabuchi" ormai inutile per i moderni ), Bultmann ( propugnatore della "demitizzazione" degli elementi miracolistici dei Vangeli ). Possibile che anche l'arcivescovo emerito di Milano segua la logica del "tanto peggio, tanto meglio": fatto il deserto ( o quasi ) fiorirà finalmente una Chiesa diversa? Personalmente mi riesce più simpatico ( e meno incomprensibile ) il "pessimista" Biffi: un uomo che abbina una cultura teologica straordinaria con il tratto sbarazzino del coadiutore di oratorio.
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