Ecco il testo integrale dell'allocuzione del Segretario della Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica (che ha competenza sulla formazione dei seminaristi), il francese mons. Jean-Louis Bruguès, di cui avevamo dato ieri alcuni spunti. E' stata pubblicata da Sandro Magister nel suo blog e merita d'esser letta per intero perché è un'analisi, sociologica innanzitutto, estremamente lucida, franca e chiara.
È sempre rischioso spiegare una situazione sociale a partire da una sola interpretazione. Tuttavia, alcune chiavi aprono più porte di altre. Da molto tempo sono convinto del fatto che la secolarizzazione sia diventata una parola-chiave per pensare oggi le nostre società, ma anche la nostra Chiesa.La secolarizzazione rappresenta un processo storico molto antico, poiché è nato in Francia a metà del XVIII secolo, prima di estendersi all'insieme delle società moderne. Tuttavia, la secolarizzazione della società varia molto da un paese all'altro.In Francia e in Belgio, per esempio, essa tende a bandire i segni dell'appartenenza religiosa dalla sfera pubblica e a riportare la fede nella sfera privata. Si osserva la stessa tendenza, ma meno forte, in Spagna, in Portogallo e in Gran Bretagna. Negli Stati Uniti, invece, la secolarizzazione si armonizza facilmente con l'espressione pubblica delle convinzioni religiose: l'abbiamo visto anche in occasione delle ultime elezioni presidenziali.Da una decina d'anni a questa parte è emerso tra gli specialisti un dibattito molto interessante. Sembrava, fino ad allora, che si dovesse dare per scontato che la secolarizzazione all'europea costituisse la regola e il modello, mentre quella di tipo americano costituisse l'eccezione. Ora invece sono numerosi coloro i quali - Jürgen Habermas per esempio - pensano che è vero l'opposto e che anche nell'Europa post-moderna le religioni svolgeranno un nuovo ruolo sociale.
RICOMINCIARE DAL CATECHISMO
Qualunque sia la forma che ha assunto, la secolarizzazione ha provocato nei nostri paesi un crollo della cultura cristiana. I giovani che si presentano nei nostri seminari non conoscono più niente o quasi della dottrina cattolica, della storia della Chiesa e dei suoi costumi. Questa incultura generalizzata ci obbliga a effettuare delle revisioni importanti nella pratica seguita fino ad ora. Ne menzionerò due. Per prima cosa, mi sembra indispensabile prevedere per questi giovani un periodo - un anno o più - di formazione iniziale, di "ricupero", di tipo catechetico e culturale al tempo stesso. I programmi possono essere concepiti in modo diverso, in funzione dei bisogni specifici di ciascun paese. Personalmente, penso a un intero anno dedicato all'assimilazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che si presenta come un compendio molto completo.In secondo luogo occorrerebbe rivedere i nostri programmi di formazione. I giovani che entrano in seminario sanno di non sapere. Sono umili e desiderosi di assimilare il messaggio della Chiesa. Si può lavorare con loro veramente bene. La loro mancanza di cultura ha questo di positivo: non si portano più dietro i pregiudizi negativi dei loro fratelli maggiori. È una fortuna. Ci troviamo quindi a costruire su una "tabula rasa". Ecco perché sono a favore di una formazione teologica sintetica, organica e che punta all'essenziale.
Questo implica, da parte degli insegnanti e dei formatori, la rinuncia a una formazione iniziale contrassegnata da uno spirito critico - come era stato il caso della mia generazione, per la quale la scoperta della Bibbia e della dottrina è stata contaminata da uno spirito di critica sistematico - e alla tentazione di una specializzazione troppo precoce: precisamente perché manca a questi giovani il background culturale necessario.Permettetemi di confidarvi alcune domande che mi sorgono in questo momento. Si ha mille volte ragione di voler dare ai futuri sacerdoti una formazione completa e d'alto livello. Come una madre attenta, la Chiesa desidera il meglio per i suoi futuri sacerdoti. Per questo i corsi si sono moltiplicati, ma al punto di appesantire i programmi in un modo a mio parere esagerato. Avete probabilmente percepito il rischio dello scoraggiamento in molti dei vostri seminaristi. Chiedo: una prospettiva enciclopedica è forse adatta per questi giovani che non hanno ricevuto alcuna formazione cristiana di base? Questa prospettiva non ha forse provocato una frammentazione della formazione, un'accumulazione dei corsi e un'impostazione eccessivamente storicizzante? È davvero necessario, per esempio, dare a dei giovani che non hanno mai imparato il catechismo una formazione approfondita nelle scienze umane, o nelle tecniche di comunicazione?
Consiglierei di scegliere la profondità piuttosto che l'estensione, la sintesi piuttosto che la dispersione nei dettagli, l'architettura piuttosto che la decorazione. Altrettante ragioni mi portano a credere che l'apprendimento della metafisica, per quanto impegnativo, rappresenti la fase preliminare assolutamente indispensabile allo studio della teologia. Quelli che vengono da noi hanno spesso ricevuto una solida formazione scientifica e tecnica - il che è una fortuna - ma la loro mancanza di cultura generale non permette ad essi di entrare con passo deciso nella teologia.
DUE GENERAZIONI, DUE MODELLI DI CHIESA
In numerose occasioni ho parlato delle generazioni: della mia, di quella che mi ha preceduto, delle generazioni future. È questo, per me, il nodo cruciale della presente situazione. Certo, il passaggio da una generazione all'altra ha sempre posto dei problemi d'adattamento, ma quello che viviamo oggi è assolutamente particolare.
Il tema della secolarizzazione dovrebbe aiutarci, anche qui, a comprendere meglio. Essa ha conosciuto un'accelerazione senza precedenti durante gli anni Sessanta. Per gli uomini della mia generazione, e ancor di più per coloro che mi hanno preceduto, spesso nati e cresciuti in un ambiente cristiano, essa ha costituito una scoperta essenziale, la grande avventura della loro esistenza. Sono dunque arrivati a interpretare l'"apertura al mondo" invocata dal Concilio Vaticano II come una conversione alla secolarizzazione.
Così di fatto abbiamo vissuto, o persino favorito, un'autosecolarizzazione estremamente potente nella maggior parte delle Chiese occidentali.
Gli esempi abbondano. I credenti sono pronti a impegnarsi al servizio della pace, della giustizia e delle cause umanitarie, ma credono alla vita eterna? Le nostre Chiese hanno compiuto un immenso sforzo per rinnovare la catechesi, ma questa stessa catechesi non tende a trascurare le realtà ultime? Le nostre Chiese si sono imbarcate nella maggior parte dei dibattiti etici del momento, sollecitate dall'opinione pubblica, ma quanto parlano del peccato, della grazia e della vita teologale? Le nostre Chiese hanno dispiegato felicemente dei tesori d'ingegno per far meglio partecipare i fedeli alla liturgia, ma quest'ultima non ha perso in gran parte il senso del sacro? Qualcuno può negare che la nostra generazione, forse senza rendersene conto, ha sognato una "Chiesa di puri", una fede purificata da ogni manifestazione religiosa, mettendo in guardia contro ogni manifestazione di devozione popolare come processioni, pellegrinaggi, eccetera?
L'impatto con la secolarizzazione delle nostre società ha trasformato profondamente le nostre Chiese. Potremmo avanzare l'ipotesi che siamo passati da una Chiesa di "appartenenza", nella quale la fede era data dal gruppo di nascita, a una Chiesa di "convinzione", in cui la fede si definisce come una scelta personale e coraggiosa, spesso in opposizione al gruppo di origine. Questo passaggio è stato accompagnato da variazioni numeriche impressionanti. Le presenze sono diminuite a vista d'occhio nelle chiese, nei corsi di catechesi, ma anche nei seminari. Anni fa il cardinale Lustiger aveva tuttavia dimostrato, cifre alla mano, che in Francia il rapporto fra il numero dei sacerdoti e quello dei praticanti effettivi era restato sempre lo stesso.
I nostri seminaristi, così come i nostri giovani sacerdoti, appartengono anch'essi a questa Chiesa di "convinzione". Non vengono più tanto dalle campagne, quanto piuttosto dalle città, soprattutto delle città universitarie. Sono cresciuti spesso in famiglie divise o "scoppiate", il che lascia in loro tracce di ferite e, talvolta, una sorta d'immaturità affettiva. L'ambiente sociale di appartenenza non li sostiene più: hanno scelto di essere sacerdoti per convinzione e hanno rinunciato, per questo fatto, ad ogni ambizione sociale (quello che dico non vale dovunque; conosco delle comunità africane in cui la famiglia o il villaggio portano ancora delle vocazioni sbocciate nel loro seno). Per questo essi offrono un profilo più determinato, individualità più forti e temperamenti più coraggiosi. A questo titolo, hanno diritto a tutta la nostra stima.
La difficoltà sulla quale vorrei attirare la vostra attenzione supera dunque la cornice di un semplice conflitto generazionale. La mia generazione, insisto, ha identificato l'apertura al mondo col convertirsi alla secolarizzazione, nei confronti della quale ha sperimentato un certo fascino. I più giovani, invece, sono sì nati nella secolarizzazione, che rappresenta il loro ambiente naturale, e l'hanno assimilata col latte della nutrice: ma cercano innanzitutto di prendere le distanze da essa, e rivendicano la loro identità e le loro differenze.
ACCOMODAMENTO COL MONDO O CONTESTAZIONE?
Esiste ormai nelle Chiese europee, e forse anche nella Chiesa americana, una linea di divisione, talora di frattura, tra una corrente di "composizione" e una corrente di "contestazione".La prima ci porta a osservare che esistono nella secolarizzazione dei valori a forte matrice cristiana, come l'uguaglianza, la libertà, la solidarietà, la responsabilità, e che deve essere possibile venire a patti con tale corrente e individuare dei campi di cooperazione.La seconda corrente, al contrario, invita a prendere le distanze. Ritiene che le differenze o le opposizioni, soprattutto nel campo etico, diventeranno sempre più marcate. Propone dunque un modello alternativo al modello dominante, e accetta di sostenere il ruolo di una minoranza contestatrice.La prima corrente è risultata predominante nel dopoconcilio; ha fornito la matrice ideologica delle interpretazioni del Vaticano II che si sono imposte alla fine degli anni Sessanta e nel decennio successivo.Le cose si sono invertite a partire dagli anni Ottanta, soprattutto - ma non esclusivamente - sotto l'influenza di Giovanni Paolo II. La corrente della "composizione" è invecchiata, ma i suoi adepti detengono ancora delle posizioni chiave nella Chiesa. La corrente del modello alternativo si è rinforzata considerevolmente, ma non è ancora diventata dominante. Così si spiegherebbero le tensioni del momento in numerose Chiese del nostro continente.Non mi sarebbe difficile illustrare con degli esempi la contrapposizione che ho appena descritto.Le università cattoliche si distribuiscono oggi secondo questa linea di divisione. Alcune giocano la carta dell'adattamento e della cooperazione con la società secolarizzata, a costo di trovarsi costrette a prendere le distanze in senso critico nei confronti di questo o quell'aspetto della dottrina o della morale cattolica. Altre, d'ispirazione più recente, mettono l'accento sulla confessione della fede e la partecipazione attiva all'evangelizzazione. Lo stesso vale per le scuole cattoliche.E lo stesso si potrebbe affermare, per ritornare al tema di questo incontro, nei riguardi della fisionomia tipica di coloro che bussano alla porta dei nostri seminari o delle nostre case religiose.I candidati della prima tendenza sono diventati sempre più rari, con grande dispiacere dei sacerdoti delle generazioni più anziane. I candidati della seconda tendenza sono diventati oggi più numerosi dei primi, ma esitano a varcare la soglia dei nostri seminari, perché spesso non vi trovano ciò che cercano.Essi sono portatori d'una preoccupazione d'identità (con un certo disprezzo vengono qualificati talvolta come "identitari"): identità cristiana - in che cosa ci dobbiamo distinguere da coloro che non condividono la nostra fede? - e identità del sacerdote, mentre l'identità del monaco e del religioso è più facilmente percepibile.Come favorire un'armonia tra gli educatori, che appartengono spesso alla prima corrente, e i giovani che si identificano con la seconda? Gli educatori continueranno ad aggrapparsi a criteri d'ammissione e di selezione che risalgono ai loro tempi, ma non corrispondono più alle aspirazioni dei più giovani? Mi è stato raccontato il caso di un seminario francese nel quale le adorazioni del Santissimo Sacramento erano state bandite da una buona ventina d'anni, perché giudicate troppo devozionali: i nuovi seminaristi hanno dovuto battersi per parecchi anni perché fossero ripristinate, mentre alcuni docenti hanno preferito dare le dimissioni davanti a ciò che giudicavano come un "ritorno al passato"; cedendo alle richieste dei più giovani, avevano l'impressione di rinnegare ciò per cui si erano battuti per tutta la vita.Nella diocesi di cui ero vescovo ho conosciuto difficoltà simili quando dei sacerdoti più anziani - oppure intere comunità parrocchiali - provavano una grande difficoltà a rispondere alle aspirazioni dei giovani sacerdoti che erano stati loro mandati.Comprendo le difficoltà che incontrate nel vostro ministero di rettori di seminari. Più che il passaggio da una generazione ad un'altra, dovete assicurare armoniosamente il passaggio da un'interpretazione del Concilio Vaticano II ad un'altra, e forse da un modello ecclesiale a un altro. La vostra posizione è delicata, ma è assolutamente essenziale per la Chiesa.
E' "identitario" anche l'estensore del documento.
RispondiEliminaHa scritto infatti una cosa inaudita: "ricominciare dal catechismo".
Incredibile (dati i tempi).
la sbornia postconciliare no può durare in eterno, è destinata a finire. questo intervento chiaro e schietto ne è la dimostrazione. l'intelligenza non può essere annebbiata in eterno dai vapori della modernità. Tranquilli, la Chiesa ritroverà se stessa e il Suo Sposo. Come ritroverà figli che credeva fossero da lei lontani mentre li aveva in grembo e non se ne accorgeva: i lefebvriani.
RispondiEliminaSursum corda!
INNOMINATO
P. S. Così come si accorgerà che certi figli che credeva di tener per mano in realtà erano lontani.
RispondiEliminaInnominato
Ai lefebvriani il merito di preparar bene i bambini, i ragazzi, i giovani ed i preti si deve riconoscere. Il card. Gagnon ebbe a dir pubblicamente che la fede e la dottrina che aveva trovato ad Econe altrove era insesistente.
RispondiEliminaDante, circa vent'anni fa in una omelia il vescovo di Tortona (Luigi Bongianino, emerito nel 1996 e deceduto nel 2003) disse che aveva accertato che in una parrocchia della sua diocesi i bambini, dopo TRE ANNI di catechismo, non sapevano ancora il Pater. E se mandassimo certi catechisti dai lefebvraini a imparare come si fa catechismo? Alessandro
RispondiEliminaDopotutto il parroco vuole che i bambini vadano al "catechismo" per giocare e socializzare...
RispondiEliminaUn monsignore francese che dice queste cose?
RispondiEliminaTE DEUM LAUDAMUS!
E il fatto che l'intervento sia pubblicato dall'Osservatore è un segnale splendido.
La "riforma silenziosa" del grande Benedetto XVI un po' per volta mostra i suoi frutti...
Che pena che nella chiesa comandi un puro sociologismo e un alto prelato possa scrivere una analisi tanto profonda evitando di usare una qualsiasi di queste due parole: "GESÙ CRISTO".
RispondiEliminaBasta dargli un libretto di devozioni ed un compendio di catechismo da studiare: e dopo, un esame almeno su quegli argomenti.
RispondiEliminaSarebbe già tanto.
Si trovano ancora questi sussidi, e del Nuovo Catechismo c'è il compendio voluto testardamente (saggiamente) dal card. Ratzinger.
Il catechismo ludico ormai di disastri ne ha combinati troppi: generazioni intee di analfabeti in campo religioso. Ricordo bene come furon preparati i miei figli per la Comunione e la Cresima (ora han 45,44,38 anni): gioco e film d'indiani.
Si deve cominciar a far studiare i seminaristi con serietà; si devon formare santi preti; si deve riportar il "sacro" al centro della loro vita e della loro missione. Solo così potran formarsi nuovi catechisiti e nuovi cristiani.
Benvenuto don Ambro.
RispondiEliminaCoraggio: pensi che spesso quelle due paroline ("Gesù Cristo") mancano del tutto nelle prediche in chiesa, dove sì abbonda un sociologismo fuori posto.
Questo invece era un intervento molto "operativo", che parte da una constatazione (vera, molto vera) dello scontro generazionale nella Chiesa e dalla perdita di cultura cristiana diffusa, per trarne conseguenze in tema di programmi di studio in seminario.
per trarne conseguenze in tema di programmi di studio in seminario.
RispondiEliminail problema sta in chi ha formato i formatori!
L'Arcivescovo Brugues ha chiesto ai rettori dei seminari di "assicurare armoniosamente il passaggio da un'interpretazione del Concilio Vaticano II ad un'altra, e forse da un modello ecclesiale a un altro. La vostra posizione - ha concluso rivolto ai rettori - e' delicata, ma e' assolutamente essenziale per la Chiesa".
Ben detto, ma come si può pretenderlo, se quei Rettori - e molti formatori, forse la maggior parte - sono già strutturati nell'altra ecclesiologia? Chi li convincerà che ha rotto con la Tradizione e occorre abbandonarla?
Chi riuscirà ad uscire dall'ideologia per rientrae nella vera Fede?
Occorrre preghiera, preghiera, preghiera, ma anche inteventi consapevoli e non solo parole sante, ma pur sempre parole!
Come del resto quelle del Papa, che continua a 'indirizzare', 'mostrare' 'orientare', ma non corregge nessuno!
Credo che i discorsi 'indiretti' servano a poco, soprattutto se hai a che fare con interlocutori poco inclini ad ascoltare e a continuare per la loro strada!
per i discorsi 'indiretti' ovviamente mi riferivo alle parole del Papa.
RispondiEliminaQuello dell'Arcivescovo è senza dubbio un intervento molto operativo; ma occorre innanzitutto trovare i realizzatori!
Anonimo ha detto...
RispondiEliminaE' "identitario" anche l'estensore del documento.
Ha scritto infatti una cosa inaudita: "ricominciare dal catechismo".
Incredibile (dati i tempi).
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inaudito si, ma reale....sono catechista da 21 anni e avendo operato in 6 diocesi diverse ho sempre combattutto questo OSTRACISMO al Catechismo per privilegiare una fede di CARTELLONI "FAI DA TE"
qui in maranathà:
http://www.maranatha.it/catpiox/02page.htm
se ne è parlato...e si legge ad un tratto:
E' triste considerare infatti come negli ultimi 40 anni, la Chiesa abbia tendenzialmente evitato di guardare in faccia la realtà, preferendo trovare una soluzione materiale a problemi marginali. Alla scarsa affluenza al catechismo ha risposto rendendo il catechismo "divertente". Alla scarsa affluenza alla Messa, ha risposto rendendo la Messa "coinvolgente".
Senza considerare tali segnali, come sintomi di un disagio ulteriore, con la conseguenza che l'affluenza al catechismo non è aumentata, nonostante i giochi, i cartelloni e tutte le "animazioni" suggerite dagli esperti di pastorale, e l'affluenza alla Messa è diminuita, nonostante la ridicolizzazione della liturgia, per portarla al livello ridicolo delle nuove masse, sazie e perplesse e oramai refrattarie a tutto ciò che è trascendente e sacro.
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ciò deve far molto riflettere e farci AGIRE subito seppur i danni fatti sono al momento irreparabili, ma guardando sempre con fiducia ed ottimismo al futuro....
Fraternamente CaterinaLD