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domenica 17 maggio 2009

Un Concilio pastorale non dogmatico?

Riceviamo queste approfondite riflessioni di don Alfredo Morselli sul valore magisteriale del Concilio Vaticano II.


Uno dei luoghi comuni del dibattito teologico di questi anni è l’affermazione secondo la quale il Concilio Vaticano II è stato “un Concilio pastorale e non dogmatico”. Per avere un’idea della cosa, invito a cercare in internet, su un qualsivoglia motore di ricerca, “concilio pastorale dogmatico”: dando un'occhiata ai risultati, si constata che l’affermazione suddetta è diventata uno slogan, usato da progressisti entusiasti - per dire “finalmente abbiamo finito coi dogmi” -, e da pseudo-tradizionalisti, che dallo stesso luogo comune arguiscono che l’assenso dovuto al Vaticano II è poco più di un optional. Un altro pericolo è la falsa conclusione a cui potrebbero giungere anche dei buoni tradizionalisti: - siccome il Vaticano II non è un concilio dogmatico, allora “posso fargli le pulci” - . Mi sembra che siano doverose alcune considerazioni, onde avere ben chiaro il grado di assenso che si deve a questo Concilio, e poter essere così validi operai della Nuova Evangelizzazione, nello spirito dell’ermenutica della riforma e della continuità.

A) ALCUNI TESTI DEL MAGISTERO IN PROPOSITO
Come il Magistero stesso ha presentato il valore e la natura del testi del Concilio Ecumenico Vaticano II :

1) Notificazione fatta dall'Ecc.mo Segretario generale (Card. Pericle Felici) nella congregazione generale 123.a (16 novembre 1964): “È stato chiesto quale debba essere la qualificazione teologica della dottrina esposta nello schema sulla Chiesa e sottoposto alla votazione. La commissione dottrinale ha dato al quesito questa risposta: «Come è di per sé evidente, il testo del Concilio deve sempre essere interpretato secondo le regole generali da tutti conosciute».
In pari tempo la commissione dottrinale rimanda alla sua dichiarazione del 6 marzo 1964, di cui trascriviamo il testo: "Tenuto conto dell'uso conciliare e del fine pastorale del presente Concilio, questo definisce come obbliganti per tutta la Chiesa i soli punti concernenti la fede o i costumi, che esso stesso abbia apertamente dichiarato come tali". «Le altre cose che il Concilio propone, in quanto dottrina del magistero supremo della Chiesa, tutti e singoli i fedeli devono accettarle e tenerle secondo lo spirito dello stesso Concilio, il quale risulta sia dalla materia trattata, sia dalla maniera in cui si esprime, conforme alle norme d'interpretazione teologica”.
Osservazioni:

Vediamo che è dichiarato un fine pastorale del Concilio, ma questo non è usato in opposizione a dottrinale o dogmatico; e ciò neppure libera da ogni forma di assenso, ma questo è richiesto a precise condizioni: a) obbliganti per tutta la Chiesa i soli punti concernenti la fede o i costumi, che esso stesso abbia apertamente dichiarato come tali; b) Le altre cose che il Concilio propone non sono pie riflessioni facoltative, ma tutti e singoli i fedeli devono accettarle e tenerle in base alla materia trattata e alla maniera in cui si esprime, conforme alle norme d'interpretazione teologica.

2) Ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II: Allocuzione di Sua Santità Paolo VI (7 dicembre 1965) “Ma una cosa giova ora notare: il magistero della Chiesa, pur non volendo pronunciarsi con sentenze dogmatiche straordinarie, ha profuso il suo autorevole insegnamento sopra una quantità di questioni, che oggi impegnano la coscienza e l’attività dell’uomo; è sceso, per così dire, a dialogo con lui; e, pur sempre conservando la autorità e la virtù sue proprie, ha assunto la voce facile ed amica della carità pastorale”

Osservazioni:

Il Concilio non ha definito nulla, ma ha profuso il suo autorevole insegnamento, sempre conservando la autorità e la virtù sue proprie. Il termine pastorale anche qui viene usato non in contrapposizione a dogmatico o dottrinale, ma per indicare il modo di espressione di un magistero che non perde autorità e virtù.

3) PAOLO VI, Udienza Generale del 6 agosto 1975: "Fu su la sacra Liturgia che si pronunciò la prima costituzione del Concilio; e fu questa legislazione a conferire al Concilio stesso il suo aspetto rinnovatore, che, a differenza d’altri Concilii, non fu direttamente dogmatico, ma dottrinale e pastorale”

Osservazioni:
Il termine pastorale non è usato in contrapposizione a dottrinale, e neppure a dogmatico tout-cout, ma a direttamente dogmatico: viene detto cioè che il Concilio non ha voluto definire direttamente nulla, senza rinunciare però ad affermazioni dottrinali; è chiaro che le affermazioni dottrinali del magistero richiedono l’assenso della fede; un grado di assenso che varia, come aveva riassunto il Card. Felici, “sia dalla materia trattata, sia dalla maniera in cui si esprime, conforme alle norme d'interpretazione teologica”.


B) ALCUNE RIFLESSIONI

1) Può esistere un Concilio delle Chiesa Cattolica che sia pastorale e non dogmatico o dottrinale?Assolutamente no, perché:

A) niente è più “pastorale” di un Concilio in cui vengono definite verità di fede: Il buon Pastore conduce le pecore la pascolo e le difende dai lupi (cf Gv 10): così la Chiesa docente nutre i fedeli con la proclamazione delle verità (la proposizione delle cose da credere) e difende gli stessi fedeli dai lupi, ovvero dagli errori e da tutti gli assalti demoniaci.
E allora si vede come, ad esempio, con il il concilio di Trento, i fedeli sono stati “nutriti”, ovvero edotti dai Pastori circa le verità da credere, e protetti dai “lupi” (condanna degli errori). Il Concilio di Trento è stato dogmatico e pastoralissimo.

B) Viceversa anche la più semplice predica del meno dotto parroco di campagna non può essere che dogmatica: perché detto parroco non può fare altro che far dipendere la predicazione dal dogma. Così indica il Catechismo del Concilio di Trento, che richiede al parroco somma attenzione pastorale e nel contempo, che tutto venga ricondotto ai contenuti del catechismo stesso:“E siccome alcuni di essi (i fedeli) sono "come bambini appena nati" (1 Pt 2,2), altri cominciano a crescere in Cristo, mentre ce ne sono di quelli che hanno raggiunto l'età matura, è necessario considerare con diligenza chi ha bisogno del latte e chi del cibo solido, per offrire a ciascuno quell'alimento di dottrina che ne assicuri la crescita spirituale, "fino a che arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (Ef 4,13)”. (Par 6) “Riteniamo... opportuno avvertire i parroci che ogni qualvolta essi son chiamati a spiegare un passo del Vangelo o qualsiasi brano della Sacra Scrittura, la materia di quel testo, qualunque esso sia, ricade sotto una delle quattro formule riassuntive suddette [il Simbolo apostolico, i sette sacramenti, il Decalogo e l'Orazione domenicale o Padre nostro] e a quella essi dovranno ricorrere per trovarvi la fonte della spiegazione richiesta” (Par 8).

2) Ma il Concilio ha dichiarato la sua indole pastorale: come conciliare con quanto sopra?Anche quando è stato dichiarato il fine pastorale del Concilio, questo fine non è mai stato proposto come il contrario né di “dogmatico” tout-court, né di “dottrinale”.

3) In che misura le affermazioni dottrinali del Vaticano II richiedono l’assenso della fede?
Al pari delle affermazioni di tutti i documenti del Magistero della Chiesa, tutti e singoli i fedeli devono accettarle e tenerle in base alla materia trattata e alla maniera in cui si esprime, conforme alle norme d'interpretazione teologica.

4) Può un qualunque christifidelis decidere lui ciò che è vincolante?
No; in ultima analisi è sempre e solo il magistero che può dare l’interpretazione autentica e autoritativa di quanto afferma. Nessuno può setacciare il Concilio, decidendo cosa accettare o meno.

5) E se un fedele ravvisasse contraddizione tra il Vaticano II e il resto della Tradizione?
Deve umilmente ritenere che se egli stesso non capisce come non vi sia contraddizione, non è detto che la contraddizione sia reale: anzi, per fede crede fermissimamente che il Magistero non può contraddirsi: e questo è il presupposto e il fondamento dell’ermeneutica della riforma e della continuità.

6) Allora non rimane al fedele altro che tacere e ingoiare rospi?
No, il fedele può fare domande, come uno scolaro che dice: “Signora Maestra, non ho capito”: e la Chiesa può rispondere, come ha fatto, per esempio, con il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede circa la questione del “subsistit” (Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa, del 29 giugno 2007). La materia delle domande – non delle contestazioni o delle non accettazioni o del “fare le pulci” – può riguardare anche l’opportunità storica di alcune scelte: es. “E’ stato davvero un bene non condannare il comunismo?”; oppure l’opportunità delle scelte metodologiche: “è stato proprio un bene rinunciare a definizioni e condanne chiare?”Questo tipo di domande sono state fatte dal Servo di Dio P. Tomas Tyn O.P.: cf. http://www.totustuus.biz/users/tyn/chiesapost.htm

7) Quali sono gli altri rischi di approccio sbagliato a questo problema?
Vista la natura prolissa dei documenti conciliari, non è possibile neppure ritagliare due frasette del Concilio e del magistero precedente, confrontarle fuori da un contesto più ampio e dichiararle incompatibili. Sarebbe come prendere l’affermazione di Gesù “Il Padre è più grande di me” (Gv 14, 28), considerarla fuori da un contesto più ampio e affermare che l’affermazione è evidentemente contraria a Nicea e che quindi Gv 14,28 non è un testo ispirato.

8) Con quale atteggiamento interiore dobbiamo considerare il magistero conciliare?
Non c’è un atteggiamento interiore per il magistero conciliare: c’è un atteggiamento interiore per considerare TUTTO il magistero: mi permetto di proporre alcune sentenze tratte dagli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola: § 22: “E’ da presupporre che un buon cristiano deve essere propenso a difendere piuttosto che a condannare l'affermazione di un altro. Se non può difenderla, cerchi di chiarire in che senso l'altro la intende; se la intende in modo erroneo, lo corregga benevolmente; se questo non basta, impieghi tutti i mezzi opportuni perché la intenda correttamente, e così possa salvarsi” § 353: ... Messo da parte ogni giudizio proprio, dobbiamo avere l'animo disposto e pronto a obbedire in tutto alla vera sposa di Cristo nostro Signore, che è la nostra santa madre Chiesa gerarchica; § 365: ... Per essere certi in tutto, dobbiamo sempre tenere questo criterio: quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica. Infatti noi crediamo che lo Spirito che ci governa e che guida le nostre anime alla salvezza è lo stesso in Cristo nostro Signore, lo sposo, e nella Chiesa sua sposa; poiché la nostra santa madre Chiesa è guidata e governata dallo stesso Spirito e signore nostro che diede i dieci comandamenti.

Don Alfredo Morselli
Stiatico di San Giorgio di Piano, BO, 1 maggio 2009


Testi latini delle sopra citate affermazioni magisteriali:
1) Notificazione fatta dall'Ecc.mo Segretario generale (Card. Pericle Felici) nella congregazione generale 123.a (16 novembre 1964)
Ex Actis Ss. Oecumenici Concilii Vaticani II [836] NOTIFICATIOFacta ab Exc.mo Secretario Generali Ss. Concilii in Congregatione Generali CLXXI diei XV nov. MCMLXV
Quaesitum est quaenam esse debeat qualificatio theologica doctrinae, quae in Schemate Constitutionis dogmaticae de Divina Revelatione exponitur et suffragationi subicitur. Huic quaesito Commissio de doctrina fidei et morum hanc dedit responsionem iuxta suam Declarationem diei 6 martii 1964: «Ratione habita moris conciliaris ac praesentis Concilii finis pastoralis, haec S. Synodus ea tantum de rebus fidei vel morum ab Ecclesia tenenda definit quae ut talia aperte ipsa declaraverit». «Cetera autem, quae S. Synodus proponit, utpote Supremi Ecclesiae Magisterii doctrinam, omnes ac singuli christifideles excipere et amplecti debent iuxta ipsius S. Synodi mentem, quae sive ex subiecta materia sive ex dicendi ratione innotescit, secundum normas theologicae interpretationis».
PERICLES FELICI Archiepiscopus tit. SamosatensisSs. Concilii Secretarius Generalis
2) Ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II: Allocuzione di Sua Santità Paolo VI (7 dicembre 1965) “Nunc vero animadvertere iuvat, Ecclesiam per suum magisterium, quamvis nullum doctrinae caput sententiis dogmaticis extraordinariis definire voluerit, nihilominus circa plurimas quaestiones cum auctoritate doctrinam proposuisse suam, ad cuius normam homines hodie tenentur conscientiam suam suamque agendi rationem conformare. Ecclesia pratetera, ut ita dicamus, cum nostrorum temporum hominibus colloquium iniit; semperque auctoritatem virtutemque suam retinens, ipsam tamen loquendi rationem adhibuit facilem et amicam, quae caritatis pastoralis propria est.

15 commenti:

  1. Mi permetto di dissentire su alcune affermazioni di don Morselli. Se anche la stessa Fede richiede, per sua stessa natura, un "rationabile obsequium" (altrimenti perchè Dio ci avrebbe creati dotati di intelligenza?), tanto più ritengo che tale criterio debba e possa essere applicato all'interpretazione di un documento magisteriale come il CVII.
    Non posso accettare di convincermi che una cosa è nera se, con gli strumenti razionali che Dio mi ha dato, appare inequivocabilmente come bianca.
    Così ragionano piuttosto gli Islamici che rifiutano l'esistenza delle cause seconde e tutto ricollegano alla Volontà diretta di Dio che può anche mutare senza che nessuno possa capire il perchè.
    Tornando al Concilio ritengo indubbiamente che i documenti debbano essere, per quanto possibile, interpretati nella continuità della S. Tradizione ma appunto, per quanto possibile: "Ad impossibilia nemo tenetur" dice un antico adagio latino.

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  2. CONCILIUM 2/2009:
    Forum teologico: Strategie vaticane in discussione

    1. Un bilancio del motu proprio “Summorum pontificum”. Quattro paradossi e una intenzione dimenticata (Andrea Grillo)
    2. Et pro Iudæis. Il discusso oremus di Benedetto XVI (Alberto Melloni)
    3. Proposta per il Venerdì santo: “ricordarsi degli ebrei”, anziché pregare per loro (Ansgar Ahlbrecht)
    4. Rivedere l’antigiudaismo della teologia femminista. Una risposta a Maria Clara Bingemer (Katharina Von Kellenbach)
    5. Sguardi prospettici sulla seconda assemblea speciale per l’Africa del sinodo dei vescovi (Ignace Ndongala Maduku)
    6. La remissione della scomunica alla Fraternità sacerdotale San Pio X. Documentazione delle reazioni teologiche (Erik Borgman)

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  3. Marco Bongi ha detto...

    Non posso accettare di convincermi che una cosa è nera se, con gli strumenti razionali che Dio mi ha dato, appare inequivocabilmente come bianca.
    Così ragionano piuttosto gli Islamici che rifiutano l'esistenza delle cause seconde e tutto ricollegano alla Volontà diretta di Dio che può anche mutare senza che nessuno possa capire il perchè.

    ************************

    Rileggendo i passi riportati da don Morsello ci leggo esattamente il contrario ^__^

    Il fatto che "una cosa" smbri apparire inequivocabilmente bianca quando è nera è parte di quelle incomprensioni che devono far scaturire in noi un atteggiamento di umiltà...don Morselli, a mio parere, sottolinea proprio il pericolo di pretendere che il "bianco che inequivocabilmente appare" diventi causa di divisione e metta la Chiesa di oggi contro la Chiesa di sempre con il suo Magistero infallibile...^__^

    Se una cosa è nera e qualcos'altro la vuole far diventare bianca, il nostro sforzo deve volgersi a ciò che c'è di vero da sempre...del resto è proprio san Paolo che ci rammenta che la nostra battaglia non è contro le persone ma contro lo spirito delle tenebre il quale OFFUSCA E NASCONDE la verità...ergo se una cosa è nera, non è il Magistero del Concilio ad averla dipinta di bianco, al contrario, sono le nostre interpretazioni che tale la dipingono...ponendo una separazione nel Magistero di sempre e dando origine così all'incomprensione...

    Non c'è altra strada per applicare il Concilio che quella di interpretarne i Documenti nella continuità e LOTTARE contro ogni tentazione che ciò che è davvero nero non ci appaia "inequivocabilmente" bianco, perchè ciò NON proviene dai Documenti del Concilio in sè, ma dalle interpretazioni che sono state date, sono queste che vanno corrette, e di fronte all'incomprensibile, prendere il Rosario e pregare...
    ^__^

    Fraternamente CaterinaLD

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  4. Da tempo sto cercando di fare chiarezza, volendo rimanere fedele alla Fede cattolica sub Petro et cum Petro, su alcune affermazioni del CVII che "mi sembrano" in patente relazione di contraddizone, ripeto mi sembrano, con la dottrina espressa dal Magisetrio ordinario, e quindi infallibile, dei Papi precedenti il b. Giovanni XXIII. Un caso solo, forse il più eclatante: quello sulla libertà religiosa. Mi sembra, ripeto mi sembra, che ci sia un'opposizione di contradditorietà tra quanto affermato dai Sommi Pontefici come verità da credersi sulla libertà religiosa (vedi Pio IV, Gregorio XVI, il b.Pio IX, Leone XIII)e la dichiarazione "Dignitatis Humanae" del CVII. Il punto è questo: se è vero quello che ha affermato per secoli il magistero ordinario dei papi (infallibile) e che non tutti i documenti del Concilio (come si evince dalla nota del card. Felici) obbligano ad un assenso di fede, al limite un religioso assenso; che cosa devo pensare del valore che il CVII ha voluto dare in ordine all'assenso di fede ai suoi documenti quando lo stesso papa Paolo VI (nell'allocuzione del 1966) dice che la Chiesa con il CVII vuole "dialogare" con gli uomini del mondo contemporaneo e nello stesso tempo mantenere la propria autorità? Anche qui vedo una contraddizione in terminis. Infatti, il dialogo (nel senso proprio e rigoroso del termine) si può fare solo tra "pari", tra amici, tra coetanei, compagni di banco a scuola, colleghi di lavoro. Un insegnante non deve dialogare (nel senso rigoroso del termine) con i suoi alunni ma deve insegnare con autorità. Ma Gesù Cristo ha dato alla Chiesa, attraverso s. Pietro e i Suoi apostoli, il mandato di insegnare la Verità che viene dall'alto, da Gesù Cristo, e come tale da insegnare com autorità. Se la Chiesa con Paolo VI, come mi sembra, e con il CVII, ha deciso di dialogare "in familiarità" con gli uomini del mondo contemporaneo, allora Essa stessa si pone sullo stesso piano del mondo, degli uomini contemporanei, di quella che, un tempo, veniva chiamata "Ecclesis discens": vuola attuare un dialogo come fra amici o perché si costituisca fra la Chiesa e il mondo ua buona relazione di amicizia, implicitamente rinunciando (come mi sembra di evincere dalle parle di Sua santità Paolo VI) al compito assegnatoLe dal Divino Maestro di insegnare con autorità perché Essa sola è in possesso della sola e salvifica Verità. Perciò, se questo è il compito affidato da Paolo VI al CVII, e qualcuno per misericordia mi corregga se sbaglio (non sono un teologo), quale grado di assenso devo dare a documenti del CVII che si palesano privi di autorità, in quanto sono proposti al mondo come inizio di un dialogo con il mondo, che ut in pluribus non ha la fede cattolica, per arrivare ad un accordo su cosa credere (perché il fine di ogni dialogo -nel senso rigoroso del termine- è quello di arrivare, con gli apporti dei vari interlocutori ad una verità condivisa da tutti gli interlocutori, che sono sullo stesso piano, Chiesa cattolica sullos stesso piano delle denopminazioni protestanti, per es.) e non per insegnare con Autorità divina verità da credersi e quindi portare il mondo alla conversione alla Fede cattolica e ad entrare nell'unica Chiesa di Cristo che è quella cattolica? Che assenso devo dare all "Dignitatis Humanae" chiarito 1) che essa viene proposta dalla Chiesa e da Sua Santità Paolo VI non come verità di fede da credersi, ma come un'affermazione suscettibile di essere riformata in quanto oggetto di dialogo con gli uomini del mondo contemporaneo; 2) che tale dichiarazione è in palese contrasto (come mi sembra) con il Magisetro ordinario e plurisecolare dei papi della Chiesa Cattolica, e quindi infallibile?
    Alfredo, che vuole rimanere Cattolico sub Petro et cum Petro, ma che ha in testa molta confusione.

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  5. La posizione di don Morselli è rispettabile, ma forse per bilanciarla la redazione farebbe bene a riprodurre per intero almeno il più acuto intervento di mons. Gherardini apparso su "Disputationes liturgicae". Per non parlare dei numerosi scritti del grande esegeta mons. Spadafora.

    Don Morselli, fra le altre cose, su cui non voglio insistere, si sofferma sulla non opposizione tra "pastorale" e "dogmatico": indubbiamente ciò che è dogmatico è pastorale, ma non sempre ciò che è pastorale è dogmatico. Di esempi se ne potrebbero portare a bizzeffe.
    Se il "pastorale" non è in opposizione a "dogmatico" è o può essere però "diverso" da "dogmatico". E la diversità può portare anche a conclusioni diverse. Direi a magisteri diversi, paralleli.
    E ciò si verifica ad es. nella Dignitatis Humanae e nella Nostra Aetate, che introducono dottrine nuove che, anche ad alto livello scientifico, appaiono in contrasto con la Tradizione.
    Il diverso grado di autorità dei singoli documenti, costituzioni, decreti e dichiarazioni comporta anche il diverso grado di accettazione, che se non può esser di netta ripulsa, non può al contempo impedire la discussione al lume della retta ragione e dell'insegnamento infallibile ed ininterrotto della Chiesa.

    Il limite del discorso di don Morselli è la sua "astrattezza".
    Leggo persino che la predica di un povero parroco di campagna è dogmatica perché esprime la verità insegnata.
    E' dogmatica o dovrebbe esserlo? Se dovessimo accettare per verità tutte le eresie e le sciocchezze che ci propalano i preti, i vescovi e i cardinali nelle omelie ed altrove a quest'ora saremmo tutti fuori della vera Chiesa di Cristo.
    Dimostri don Morselli che la Nostra Aetate esprime una dottrina tradizionale o comunque non in contrasto con la Tradizione e la Sacra Scrittura.
    Si possono fare i salti mortali, ma ci si arrampica sugli specchi, come sugli specchi, ora lo confessa a chiare lettere, un tempo s'arrampicava mons. Gherardini.
    L'unico esempio che don Morselli porta è il "subsistit in". Ma davvero nella "Risposta a Quesiti" l'Autorità ha espresso il suo parere chiaramente?
    A me, e non solo a me, sembra proprio di no: ripete, questa spiegazione, semplicemente le parole del Vaticano II e lascia tutto nell'aleatorio, nella prolissità ambigua del testo conciliare.

    Niente di più, come tanti altri fedeli, io m'aspetto da 40 annui: la risposta ai dubbi che abbiamo sempre presentato ed a cui mai è stata data risposta.
    Ora a questi dubbi Roma dovrebbe rispondere nelle discussioni con la Fraternità S. Pio X. Speriamo che chiarezza sia fatta.
    Cosicché non ci venga lasciata la libertà di ripetere con il teologo Ratzinger, che evidentemente non aveva capito niente: Finalmente abbiamo l'antisillabo!

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  6. Se dopo 40 anni siamo qui ancora a discutere sull'interpretazione dei documenti conciliari e la commissione apposita per l'interpretazione autentica non si è mai espressa, significa che qualcosa di quel concilio non quadra. Fin dal su esordio, il discorso di papa Giovanni contiene una novità che avrebbe dovuto fa sussultare ogni cattolico e invece venne digerita come la cosa più naturale di questo mondo (la verità non ha più bisogno della condanna dell'errore, ma della misericordia).

    Ma quanti altri passaggi pongono dubbi sulla continuità con la Tradizione.

    Don Morselli dovrebbe sapere che ogni cristiano è dotato di raziocinio, non avendo buttato il cervello all'ammasso, è più che giusto che l'autorità renda conto delle novità che introduce nella dottrina, nella morale e nella liturgia. mi pare che finora le spiegazioni sono state più che deludenti.

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  7. posto che anche del Sillabo si dice che sia un parere di un avvocato che cita il Codice e si discute sul suo valore
    http://www.storialibera.it/epoca_contemporanea/risorgimento/pio_IX_e_il_sillabo/articolo.php?id=447

    Ho trovato un illuminante scritto di Mons Gherardini sull' Osservatore Romano in un articolo su Pio IX:


    La realtà è del tutto diversa. Nel Sillabo confluì un magistero secolare, più volte riproposto dallo stesso Pio IX e dai suoi predecessori, sull'inconciliabilità di due prospettive: l'antropocentrica e la teocentrica. O più specificamente: della civiltà cristiana, incarnata nella storia ed affidata al ministero della Chiesa e del papa, e della sua eversione ad opera dell'anarchismo sfrenato, della rivoluzione e dell'equalitarismo. In effetti, il Sillabo non colpì né condannò il progresso in quanto tale; ma i pericoli ai quali quel tipo di progresso esponeva la civiltà cristiana. Non la libertà, ma la sua dissociazione dall'ordine oggettivo. E quindi non la nativa capacità di distinguere il bene dal male, o comunque di scegliere o l'uno o l'altro, ma l'indifferentismo religioso e morale, per cui tutto è ugualmente vero, tutto ugualmente buono, tutto ugualmente salutare.
    Se ne deduce non la contraddittorietà, ma la diversità formale fra la “Dignitatis humanae” ed il Sillabo: questo spaziava sull'orizzonte oggettivo dei rapporti sociali, quella entra nel sacrario della coscienza individuale per tutelarlo da qualunque aggressione. Non diversamente dal pensiero e dalla prassi di Pio IX, anzi della Chiesa stessa, come dimostra la costante proibizione delle conversioni forzate e del Battesimo contro volontà.

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  8. don Gian luigi ha colto nel segno: se dopo 40 e più anni stiamo 0ancora a discutere della interpretazione da dare ad alcuni testi del Vaticano II significa che qualcosa di molto poco chiaro è contenuto in alcuni suoi documenti. Don Morselli sbaglia: pastorale è una cosa, dogmatico è un'altra. Non sono interscambiabili. Se così fosse (e non lo è) ve l'immaginate che fine farebbe l'infallibilità papale o il dogma dell'Immacolata Concezione? Pastorale significa anche legato ad un determinato momento storico e relativo fa pendant con relativismo. Per cui se l'infallibilità papale è pastorale, secondo la tesi di d. Morselli, quello che andava bene 50 anni fa oggi può essere disatteso. Quelle di d. Morselli sono opinioni teologiche un po' (tanto) deboli. Alessandro

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  9. Lo stesso articolo di mons. Gherardini fu pubblicato nella sua interezza su Divinitas. L'ho già segnalato: Pio IX, una parola chiara.
    Quello apparso sull'Osservatore Romano è un' "edizione" parziale e, a giudicar dallo stile, non mi sembra che i tagli sian opera dell'autore.

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  10. All'Anonimo che riporta l'indice di Concilium: che cos'è, pubblicità?

    Credi, proprio dall'indice che riporti si intuisce che si tratta sempre dei soliti noti che girano intorno al totem (anzi: al tabù) ripetendo gli usuali biliosi ritornelli. Non credo proprio che ci abboneremo a quella rivista che è alfiere dell'ermeneutica della rottura (in tutti i sensi...)

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  11. Concilium: le solite tesi trite e ritrite, sempre le solite cose, non cambiano mai, i soliti luoghi comuni, le solite amenità del dialogo, dello spirito del Concilio, della necessità di indire un Vaticano III, che barba, che noia. Poverini: loro credono che il mondo si sia fermato al 1965. Alessandro

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  12. "Per fede crede fermissimamente che il Magistero non può contraddirsi: e questo è il presupposto e il fondamento dell’ermeneutica della riforma e della continuità": è uno scherzo vero?!Per fede si deve accogliere il magistero straordinario, vale a dire divinamente garantito!!Il magistero per quanto autentico non richiede l' assenso di fede cattolica, ma l' ossequio...è ben diverso!

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  13. Piccola correzione al precedente:
    "Per fede crede fermissimamente che il Magistero non può contraddirsi: e questo è il presupposto e il fondamento dell’ermeneutica della riforma e della continuità": è uno scherzo vero?!Per fede si deve accogliere il magistero straordinario, vale a dire divinamente garantito!!Il magistero (non infallibile), per quanto autentico, non richiede l' assenso di fede cattolica, ma l' ossequio...è ben diverso!

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  14. Penso che una sola riflessione di Dante Pastorelli riassuma l'articolo di don Alfredo Morselli; è un' "arrampica(ta) sugli specchi".

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  15. Grazie. Un Concilio porta il cammino della comunità avanti, in modo esplicito e solenne.

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