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domenica 17 maggio 2009

Carducci bifronte "In una chiesa gotica" ed "Era un giorno di festa"

Poiché ha forse suscitato qualche sorpresa l’aver citato, nella scorsa divagazione, alcuni versi di Carducci, i cui sentimenti anticlericali, per non dire anticristiani, di derivazione massonica, sono noti a tutti, può non essere fuori luogo una coda che esamini più a fondo la sua posizione nei confronti dei riti cattolici. Posizione, si direbbe di primo acchito, piuttosto incoerente, almeno secondo la logica del senso comune, che i poeti hanno il diritto di trascendere in nome di un’altra logica loro propria.

In una chiesa gotica” è un’ode barbara risalente al 1876 e ambientata nel duomo di Milano, dove Carducci aveva dato appuntamento per un convegno amoroso a Carolina, ovvero Lina, ribattezzata unilateralmente Lidia per ragioni di altisonanza classicistica:
.
Sorgono e in agili file dilungano
gl’immani ed ardui steli marmorei,

e ne la tenebra sacra somigliano
di giganti un esercito

che guerra mediti con l’invisibile:
le arcate salgono chete, si slanciano
quindi a vol rapide, poi si rabbracciano
prone per l’alto e pendule.

Ne la discordia così de gli uomini
di fra i barbarici tumuli salgono
a Dio gli aneliti di solinghe anime
che in lui si ricongiungono.

Io non Dio chieggovi, steli marmorei,
arcate aeree: tremo, ma vigile
al suon d’un cognito passo che piccolo
i solenni echi suscita.

[…]

Non io le angeliche glorie né i démoni,
io veggo un fievole baglior che tremola
per l’umid’aere: freddo crepuscolo
fascia di tedio l’anima.

Addio, semitico nume! Continua
ne’ tuoi misterii la morte domina.
O inaccessibile re de gli spiriti,
tuoi templi il sole escludono.

Cruciato martire tu cruci gli uomini,
tu di tristizia l’aër contamini:
ma i cieli splendono, ma i campi ridono,
ma d’amore lampeggiano

gli occhi di Lidia. […]
.
Decisamente, non è un attestato di simpatia per la Chiesa cattolica. Qualche anno più tardi però, come risulta da una seconda poesia composta nel 1881, senza titolo ma con un esergo tratto da Cavalcanti, Carducci entra in un’altra chiesa lombarda (per il particolare della porta con i leoni stilofori si può pensare a Santa Maria Maggiore a Bergamo, città dove il poeta-professore fu in effetti commissario agli esami di maturità), e l’impressione che ne ricava è nettamente diversa:

Da la qual par ch’una stella si mova.(Guido Cavalcanti)

Era un giorno di festa, e luglio ardea
Basso in un’afa di nuvole bianche:
Ne la chiesa lombarda il dì scendea
Per le bifori giallo in su le panche.
Da la porta arcuata, che i leoni
Millenni di granito ama carcar,
Il rumor de la piazza e le canzoni
E i muggiti veniano in fra gli altar.

La messa era cantata, ed i boati
De l’organo chiamavano il Signore.
In fondo de la chiesa due soldati
Guardavan fisi ne l’altar maggiore.
Tra quella festa di candele accese,
Tra quella pompa di broccati e d’òr,
Ei pensavan la chiesa del paese
Nel mese di Maria piena di fior.

Sotto la volta d’una bruna arcata,
In tra due rosse colonnette snelle,
Stava la bella donna inginocchiata,
Giunte le mani, senza guanti, belle.
Umido a la piumata ombra del nero
Cappello il nero sguardo luccicò,
E in un lampo di fede il suo mistero
Quel fior di giovinezza a Dio mandò.

Io vidi, come un dì Guido vedea,
Uscir da quei levati occhi una stella,
E da i labbri, che a pena ella movea,
Un’alata figura d’angelella.
La stella tremolando un lume pio
Sorridea, sorridea, non so a che;
Salìa la supplicante angela a Dio
Chiamando in atti – Signor mio, mercé. –

Si volse il prete a dire: Ite. Potente
Ruppe il sole a le nubi sormontando,
E incoronò d’un’iride scendente
La bella donna che sorgea pregando.
Corse tra le figure bizantine
Vermiglio un riso come di pudor;
Ma la Madonna le pupille chine
Tenea su ’l figlio, e mormorava – Amor.
.
Carducci emulo di Jekyll e Hyde, allora? O fra le due prove intercorre una resipiscenza? Forse entrambe le cose e anche un po’ di gioco delle parti: il Carducci classicheggiante e pagano ostenta disprezzo per il cristianesimo, il Carducci medioevaleggiante si lascia incantare dai simboli cristiani. Non sarebbe giusto elucubrare troppo su queste due poesie, che vanno prese come sono. Piace comunque pensare al professore anticlericale militante, ma esteticamente sensibile, che entra per caso in chiesa durante una messa ed è colpito, oltre che da una bella orante, dalle candele, dai broccati (forse anche dai pizzi e dai ricami?), dall’organo, dai canti gregoriani, dal prete che parla in latino… Anche queste cose erano una “pastorale”, e per nulla inefficace.

Jacopo

4 commenti:

  1. Ah, la pastorale del simbolo e della bellezza, cui è subentrata quella dell'arbitrario sentimentalismo e dello squallore pauperistico. Bravo Jacopo! Mettere in luce queste pieghe e questi riflessi, a partire dal loro precitipato letterario, è un'autentica benemerenza.

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  2. [Emendatione de Lampredon frate, propheticamente ad consonandum co’ vili tempi (a’ tempi suoi) venturi]

    Da la porta arcüata, onde i piccioni
    Su ’l capo de’ messeri aman cacar,
    A’ romor de la pazza* e a le canzoni
    Tradïzon vaniva in fra gli altar.

    * Hai da saper che “pazza” è animatrice
    liturgica di pessime canzoni.

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  3. Carissimi,
    la Chiave interpretativa della poesia di costui va ritrovata nel famoso "inno" al principe di questo mondo (1863) che molti anni dopo gli valse il Nobel per la letteratura (1906).
    La nobilta' e sacralita' del Rito ispirava comunque anche a "mangiapreti" come il Carducci in certo "adirato" rispetto, sia pur confuso con il suo turbamento per vaghe e pie bellezze muliebri.
    F.d.S.

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  4. Al capezzale di Carducci i frammassoni non lo lasciarono mai da solo.
    La moglie del poeta, credente, fece del tutto per far confessare e comunicare il marito morente, ma occorreva un sacerdote.
    Con uno stratagemma fece vestire un prete con abiti secolari e con una scusa lo fece avvicinare al marito.
    Si seppe in seguito, che il giovane Giosuè da ragazzo fece con fede i primi NOVE venerdì del mese.
    Quest'antica promessa non tramonta mai

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