Prosegue la ricostruzione del vaticanista Rodari, nel suo blog, sull'organizzazione di governo della Santa Sede e, in particolare, della Segreteria di Stato. Una lettura estremamente interessante, come in genere quelle cui ci ha abituato questo giovane e valente giornalista.
Ai tempi di Giovanni Paolo II governare la curia romana era difficile almeno tanto quanto oggi. Nella prima parte del suo pontificato Wojtyla dovette lavorare con Agostino Casaroli, il cardinale segretario di Stato eminente rappresentate in Vaticano della Ostpolitik di brandtiana memoria. Una linea poi portata avanti dal cardinale Achille Silvestrini, per svariati anni segretario del consiglio per gli Affari Pubblici e dal suo vice, oggi arcivescovo di Vilnius, il cardinale Audrys Juozas Backis. In sostanza, il Papa della resistenza al regime comunista, così come gliela aveva insegnata il primate di Polonia Stephan Wishinsky, dovette collaborare col principale fautore nella Santa Sede di accordi, concessioni e aperture verso i paesi del blocco sovietico. Furono due visioni politico-ecclesiologiche diverse e divergenti a incontrarsi e, spesso, a scontrarsi.
E anche col successore di Casaroli, il cardinale Angelo Sodano, il lavoro non fu semplice. Da una parte il Papa era aiutato nel governo, ogni giorno con sempre maggior peso, dal suo segretario particolare don Stanislaw Dziwisz. Dall’altra un contropotere rispetto a questa unione era rappresentato proprio da Sodano, il quale col duo Wojtyla-Dziwisz, più che collaborare, cercava di trattare. Soprattutto negli ultimi anni dell’era Wojtyla, quando il Pontefice sempre più ammalato faticava a tenere le fila di tutto, era anche la bravura del portavoce Joaquin Navarro-Valls a mascherare tante difficoltà. Una bravura della quale oggi si sente fortemente la mancanza.Oggi, appunto: le cose vanno diversamente rispetto al passato. Il duo Ratzinger-Bertone è parecchio affiatato. Per molto tempo hanno lavorato assieme quando Ratzinger era prefetto della congregazione per la Dottrina delle Fede e Bertone ne era il segretario. E oggi nessuno può dire che il segretario di Stato non sia un fedelissimo del Papa. Eppure, le critiche non mancano. Eppure, qualche evidente problema di governo c’è. Ed è principalmente a motivo di un governo non pienamente efficiente, prima che per colpe di mala comunicazione, che la Chiesa è dovuta sbandare più volte e in modo pericoloso. Soprattutto tre anni fa con la crisi diplomatica verificatasi col mondo islamico a seguito della lectio di Ratisbona. E poi quest’anno, col caso Richard Williamson che ha inquinato parecchio i rapporti, per la verità atavicamente rattrappiti, con gli ebrei.
Il problema di governo è ascrivibile da una parte alla segreteria di Stato, dall’altra a tutti quei capi dicastero che, oramai in età pensionabile, sono chiamati a responsabilità probabilmente troppo onerose per le loro energie. Dei capi dicastero in scadenza e della nuova curia che il Papa potrebbe disegnare nel 2009 parleremo domani, nell’ultima puntata di questa inchiesta. Qui parliamo della segreteria di Stato dalla quale, come hanno sostenuto non a torto diversi osservatori, Benedetto XVI dovrebbe iniziare la sua personale cura a seguito del caso Williamson.
Ratzinger ha scelto Bertone perché è una persona di cui sa che si può fidare. E in futuro non è di lui che farà a meno. Anche perché lo stesso Pontefice è consapevole di come parecchia mala gestione nell’attuale segreteria di Stato non sia imputabile a coloro che ne hanno la responsabilità ma anche e soprattutto a problematiche strutturali. Quali? Occorre partire da Sisto V. Papa Felice Peretti, alla fine del 1500, ebbe la brillante intuizione di impostare una gestione del governo della curia romana altamente democratica, diciamo orizzontale. La segreteria di Stato non era, come invece è oggi, un super ministero. Ogni capo dicastero rendeva direttamente conto del proprio operato al Papa e tutti erano di pari grado. E così fino a Giovanni XXIII. Paolo VI, invece, forte di svariati anni trascorsi a lavorare in segreteria di Stato prima di partire alla volta di Milano, decise una volta salito al soglio di Pietro che era opportuno, per una maggiore praticità, interrompere questo sistema di governo e far sì che alla segreteria di Stato venisse concesso maggiore potere e, in particolare, far sì che fungesse da cono di bottiglia per le richieste che i vari capi dicastero della curia volevano fargli giungere. E in questo modo una nuova modalità di governo della curia romana venne introdotta, una modalità che ha portato il segretario di Stato ad avere sempre maggiore peso e potere.
Oggi è questo peso e questo potere che Bertone patisce. Perché un conto era essere segretario di Stato venti anni fa quando il mondo era diverso e le problematiche che la Chiesa aveva da affrontare non dovevano essere risolte con la velocità e la prontezza che è richiesta ora. Un conto era essere segretario di Stato nell’ultimo decennio del pontificato di Wojtyla quando tutto quello che il Papa aveva fatto e tutto quello che stava vivendo mettevano in secondo piano eventuali errori di governo. Altro conto è essere il primo collaboratore del Papa oggi, durante un Pontificato particolarmente inviso ai media e ai settori più progressisti della Chiesa, i quali continuano a vedere nell’ancoraggio di Benedetto XVI al primato della verità una volontà di chiusura e di ritorno al passato. Bertone, poi, non è propriamente un diplomatico. Ha un profilo meno navigato quanto a gestione del potere. È un salesiano più avvezzo al contatto con la gente, coi fedeli. E questa sua caratteristica senz’altro non l’aiuta.
Oltre a una questione strutturale e, dunque, al ruolo che la segreteria di Stato ricopre in un’organizzazione della curia di tipo verticale, c’è un problema di uomini, e quindi dei più stretti collaboratori di Bertone. Molti sono cresciuti in segreteria di Stato ai tempi di Sodano e, dunque, non sono propriamente affiatati con lui. Ed è probabilmente qui, a livello dello staff di Bertone, che Benedetto XVI dovrà necessariamente intervenire per cercare di far sì che il suo principale collaboratore possa essere supportato a dovere.
I primi a partire dovrebbero essere quattro pari grado. Per Paolo Sardi, l’arcivescovo che per anni ha scritto i testi dei discorsi di Wojtyla, il destino è segnato ed è pure prestigioso: diverrà patrono dell’ordine di Malta e, dunque, giungerà presto alla berretta cardinalizia. Per il capo dell’“ufficio del personale”, cioè monsignor Carlo Maria Viganò, si parla invece di un’importante nunziatura all’estero. Poi ci sono il vice del sostituto per gli affari generali, Fernando Filoni, e il vice del segretario del rapporto con gli Stati Dominique Mamberti, ovvero Pietro Parolin e Gabriele Giordano Caccia. Anche per loro si parla di promozioni in altri lidi. Discorso a parte lo merita il torinese Gianfranco Piovano: incontrastato dominatore di tutte le finanze della segreteria di Stato, domina la scena da più di trent’anni e da cinque anni avrebbe dovuto lasciare per limiti di età. Non c’è stata assunzione oltre il Tevere che non sia passata dalle sue mani. Ma pare che, dopo così tanti anni, lascerà anche lui. Infine, Fernando Filoni. Questi è stato portato in segreteria di Stato da Bertone il 9 giungo 2007 quando Leonardo Sandri divenne prefetto delle Chiese Orientali. E ora che i due - Bertone e Filoni - faticano a lavorare in tandem, serve una nuova soluzione. È qui forse la matassa più difficile da sbrogliare
Avvertire la mancanza di Joaquin Navarro-Valls?! E della sua abilità nel "mascherare tante difficoltà"? Le difficoltà vanno affrontate, perbacco, non mascherate! Fu anche allorché colui si tolse garbatamente di torno che cominciammo a capire che il nuovo Papa intendeva fare sul serio. Ed è stato anche a furia di edulcorare pillole amare e nascondere il sudiciume sotto il tappeto che la situazione si è deteriorata fino al punto presente.
RispondiEliminaBen detto, Caro Pernice. Navarro si è reso ridicolo dichiarando per anni che il papa stava benissimo e aveva solo un po' di affaticamento, quando la verità era chiara a tutti. Certo che sollevare il velo sui conflitti interni al vertice della Chiesa fa sorridere di quanti additano il "Vaticano" come una falange macedone (del male) inarrestabile.
RispondiEliminaQuando uno è parkinsoniano non c'è bisogno di diramare bollettini medici: tutti lo vedono. E Navarro doveva dire che Wojtyla era parkinsoniano? Per carità, purtroppo era un'evidenza scientifica! Ricordatevi che Navarro non fu licenziato (come P. Marini o Sepe) ma chiese più volte di lasciare. E ricordatevi anche che Navarro svolse un ruolo determinante nella preparazione e buona riuscita della visita del Papa a Cuba. Alessandro
RispondiEliminaNavarro poteva anche non dire niente, il fatto è che negò pervicacemente l'evidenza. Licenziato o volontariamente dimessosi, ha comunque saputo approdare a ottime sponde, per esempio il quotidiano "La Repubblica"...
RispondiEliminaE' passato troppo poco tempo per compilare agiografie sul personaggio.
RispondiEliminaQuanto alle ragioni e alle modalità del suo ritiro, la questione se se ne sia andato volontariamente o no è marginale.
Diciamo, ad ogni buon conto, che nel mondo cattolico Navarro-Valls non fu l'unico a desiderare che Navallo-Valls lasciasse e che i "grandi comunicatori" in abito bianco tornassero a comunicare in prima persona, come - grazie al Cielo - sta egregissimamente facendo Benedetto XVI.
leggere l'intero blog, pretty good
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