Dall'Osservatore romano di oggi. Intervista raccolta da Mario Ponzi.
A Yaoundé è iniziata, almeno questa è la speranza, una stagione nuova per l'Africa. Una stagione di riconciliazione, di giustizia e di pace. E la Chiesa è insieme a questo popolo immenso, con tutto il suo fardello di dolori e di sofferenze, ma anche con tutto il prezioso tesoro di valori contenuti nella sua cultura tradizionale, con la genuinità e la freschezza della sua fede e con il suo profondo rispetto per il sacro. Il Papa, durante l'incontro con i giornalisti al seguito, a bordo dell'aereo sulla via del ritorno a Roma, tra gli altri argomenti affrontati, ha voluto sottolineare proprio questa caratteristica dell'anima africana, il senso del sacro. Anche durante le celebrazioni presiedute in questi giorni, nelle quali sono stati inseriti elementi espressivi della religiosità e della cultura africana, ha mostrato di apprezzarne la compostezza, la fede sincera che riescono effettivamente a esprimere e la forza trainante che esercitano sull'assemblea dei fedeli, rendendone viva e concreta la partecipazione. Esemplare in questo senso è stata la messa nello stadio Amadou Ahidjo di Yaoundé per la consegna dell'Instrumentum laboris, dove un coro di oltre sessantamila persone ha sottolineato i momenti salienti come un'unica voce. La cosiddetta "africanizzazione" della messa ha sempre costituito oggetto, non tanto di discussione quanto piuttosto di studio e di verifica. Ne abbiamo parlato con il maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, monsignor Guido Marini, il quale ha rilasciato questa intervista al nostro giornale.
- Il Papa incontrando i giornalisti ha voluto sottolineare la bellezza delle celebrazioni liturgiche vissute in Africa, mettendone in risalto la grande dignità e la sacralità, manifestate anche attraverso alcune modalità espressive tipiche della cultura africana. A lei cosa è sembrato?
Sicuramente abbiamo partecipato a celebrazioni liturgiche durante le quali si è respirato il senso del sacro, in un clima di grande dignità, e tutto vi ha contribuito: il canto, il silenzio, la parola, alcune gestualità tipiche della cultura africana, le espressioni di gioia contenuta e religiosa. Sono stati incontri di preghiera molto intensi nei quali si è avuta la grazia di entrare nella bellezza del mistero di Dio e della Chiesa.
- Come sono state preparate le celebrazioni liturgiche?
Si è lavorato a lungo e per tempo perché tutto potesse realizzarsi nel migliore dei modi. Prima, come di consueto per la preparazione dei viaggi, abbiamo avuto alcune riunioni a Roma con i responsabili liturgici locali; poi ci siamo recati sul posto per visitare i luoghi delle celebrazioni e portare avanti la preparazione avviata; infine, durante il viaggio papale, abbiamo fatto ancora qualche sopralluogo e le prove con tutti gli incaricati dei diversi servizi liturgici. La collaborazione è stata molto cordiale e generosa, e da parte dei responsabili locali per la liturgia vi è stata molta disponibilità a seguire le indicazioni ricevute e a definire insieme anche i dettagli.
- Secondo lei come si può conciliare la necessità del rispetto dei canoni della liturgia con la manifesta volontà degli africani di esprimere la loro fede secondo la cultura tradizionale africana che del resto ha innato, come ha voluto ricordare il Papa, il rispetto per il sacro?
Sono del parere che il punto di partenza debba essere sempre la realtà più intima e vera della liturgia, il suo essere celebrazione del mistero del Signore, della sua morte e risurrezione per noi uomini e per la nostra salvezza, preghiera della Chiesa nella quale tutti entriamo in vista di una conversione vera della vita. Quando le diverse espressioni culturali vengono messe al servizio di questa celebrazione è possibile che trovino adeguato spazio ed espressione nella liturgia. Non la devono cambiare, perché la liturgia è un dono prezioso donato alla Chiesa e da essa vissuto nella continuità della sua tradizione, che non è modificabile soggettivamente e arbitrariamente; possono però offrirle una forma espressiva culturale, tipica e arricchente. Mi pare di poter affermare che questo è quanto è stato vissuto nei giorni della visita di Benedetto XVI in Africa.
- Le sette religiose basano il successo del loro proselitismo proprio sulla capacità di mimetizzarsi con la cultura africana. Visto che gli africani sembrano tenere molto all'inserimento nelle loro celebrazioni di elementi tipici della loro cultura cosa si può fare per aiutarli a identificarsi sempre meglio e sempre di più con la celebrazione della messa?
Il discorso riguardante le sette comporta una molteplicità di problematiche, tra l'altro complesse. Penso, tuttavia, che per quanto attiene alla liturgia la possibilità che la cultura africana possa trovare adeguata collocazione nella celebrazione dei misteri del Signore sia senza dubbio di aiuto a superare il pericolo dell'adesione alle sette. Ritengo che sia importante anche ricordare che non tutte le espressioni culturali sono compatibili con la liturgia della Chiesa: vi può essere la necessità di educazione e di purificazione. È questo, d'altra parte, il cammino necessario di ogni cultura che si incontra con il Vangelo: ne rimane sanata e purificata e diventa capace di dargli una nuova espressione storica.
- Il Papa è sembrato gradire le forme espressive manifestate durante le celebrazioni africane.
Mi sembra di sì, considerando anche le parole avute al riguardo da Benedetto XVI durante l'incontro con i giornalisti sull'aereo durante il viaggio di ritorno dall'Africa. Mi pare che il gradimento sia rivolto al fatto che in tali celebrazioni si è vissuto un intenso senso del sacro e del mistero, che grande è stato il raccoglimento, nonostante la grande folla di partecipanti, e che si è realizzata una fruttuosa compresenza di elementi tipici locali e di elementi universali. Si stavano vivendo delle celebrazioni liturgiche in Africa, ma si stava vivendo al contempo una celebrazione liturgica della Chiesa universale.
©L'Osservatore Romano - 25 marzo 2009: visionabile online (ma per tempo limitato) su vatican.va
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