Jamna, 17 agosto 2021
A Sua Santità Papa Francesco
Domus Sanctae Marthae
Santa Sede
Città del Vaticano
E per conoscenza a:
Rev. Maestro Generale dell’Ordine, Gerard Francisco Timoner III OP
Rev. Provinciale della Provincia Polacca, Paweł Kozacki OP
S.E. mons. Andrzej Jeż, vescovo di Tarnóv
Rev. Superiore della casa di Jamna, Andrzej Chlewicki OP
Fratelli e Sorelle dell’Ordine
Rev. Superiore del Distretto Polacco della Fraternità San Pio X, Karl Stehlin FSSPX
Omnes quos res tangit
Beatissimo Padre,
Sono nato 57 anni fa e sono entrato 35 anni fa nell’Ordine Domenicano. Ho professato i voti perpetui 29 anni fa e sono sacerdote da 28 anni. Avevo solo vaghi ricordi dell’infanzia della Santa Messa nella forma precedente le riforme del 1970. Sedici anni dopo la mia ordinazione, due amici laici (sconosciuti tra di loro) mi invitarono a imparare a celebrare la Santa Messa nella forma tradizionale e ho dato loro ascolto.
Per me è stato sconvolgente. Ho scoperto che la Santa Messa nella sua forma classica:
- Dirige l’intera attenzione sia del prete sia dei fedeli verso il Mistero,
- Esprime con grande precisione dei gesti e delle parole la fede della Chiesa in ciò che avviene qui e ora sull’altare,
- Rafforza con una potenza pari alla sua precisione, la fede del celebrante e del popolo,
- Non spinge il sacerdote o i fedeli a invenzioni o creatività arbitrarie durante la liturgia,
- Al contrario li pone su una via di silenzio e contemplazione,
- Offre mediante il numero e la natura dei suoi gesti la possibilità di compiere incessanti atti di pietà e amore verso Dio,
- Unisce il prete e i fedeli, ponendoli sullo stesso lato dell’altare e volgendoli nella stessa direzione: versus Crucem, versus Deum.
Ho detto a me stesso: ecco l’essenza della Santa Messa! E io, sacerdote da 16 anni, non la conoscevo! È stata una potente scoperta, dopo la quale la mia concezione della Messa non poteva restare la stessa.
Sin dall’inizio mi ha colpito il fatto che questo rito era l’opposto del suo stereotipo. Invece che formalismo, è libera espressione dell’anima davanti a Dio. Piuttosto che freddezza, è il fervore del culto divino. Piuttosto che distanza, vicinanza. Piuttosto che estraneità, intimità. Piuttosto che rigidità, sicurezza. Piuttosto che passività dei laici, una connessione profonda e viva al mistero (e in fondo è stato grazie a dei laici se sono stato condotto alla Messa tradizionale). Piuttosto che un fossato tra prete e fedeli, una stretta unione spirituale tra tutti i presenti, custodita ed espressa dal silenzio del Canone. Facendo questa scoperta mi è divenuto chiaro: questa forma è il nostro ponte verso le generazioni che ci hanno preceduto e trasmesso la fede. Mi ha dato enorme gioia questa unità ecclesiale che trascende tutti i tempi.
Dagli inizi ho sperimentato la potente forza d’attrazione spirituale della Messa nella sua forma tradizionale. Non erano i segni in sé ad attrarmi, ma il loro significato, che l’anima è in grado di leggere. Il solo pensiero della successiva celebrazione mi riempiva di gioia. Coglievo ogni occasione per celebrarla con entusiasmo e desiderio. Molto presto è maturata in me la certezza che se avessi celebrato la Messa (come pure ogni sacramento e funzione) solo nella forma tradizionale fino alla fine dei miei giorni, non avrei affatto sentito la mancanza della forma post-conciliare.
Se qualcuno mi chiese di esprimere con una sola parola i miei sentimenti sulla celebrazione tradizionale nel contesto del rito riformato avrei risposto: “Sollievo”. Era indubbiamente un sollievo, di indescrivibile profondità. Come se a qualcuno, dopo aver camminato tutta la vita con un sassolino nelle scarpe che urtava e irritava i suoi piedi, ma non aveva altra esperienza del cammino, venisse offerto dopo 16 anni un paio di scarpe senza sassolini, con le parole: “Ecco”, “Indossale”, “Provale!” Non solo ho riscoperto la Santa Messa, ma anche la sorprendente differenza tra le due forme: quella che era stata in uso per secoli e quella post-conciliare. Non conoscevo questa differenza perché non avevo conosciuto la forma precedente. Non potevo paragonare il mio incontro con la liturgia tradizionale a un incontro con qualcuno che mi aveva adottato e diventava così mio genitore adottivo. Era un incontro con una Madre che era sempre stata mia Madre, benché non la conoscessi.
In tutto questo ero accompagnato dalla benedizione dei Sommi Pontefici. Loro avevano insegnato che il Messale del 1962 “non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso”, aggiungendo che “Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto” (Benedetto XVI, Lettera ai vescovi, 7 luglio 2007). Ai fedeli veniva detto inoltre: “Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore” (Istruzione Universae Ecclesiae, 30 aprile 2011). Queste parole seguivano i precedenti documenti che avevano reso possibile ai fedeli avvalersi della liturgia tradizionale dopo le riforme del 1970, il primo dei quali fu Quattuor abhinc annos, del 1984. Essi si fondano e derivano dalla bolla di San Pio V, Quo primum tempore (1570).
Santo Padre, pur senza tralasciare il solenne documento di Papa Pio V, prendiamo in considerazione il lasso di tempo che copre le dichiarazioni dei Suoi immediati predecessori, di circa 37 anni dal 1984 al 2021, durante i quali la Chiesa ha detto ai fedeli, riguardo alla liturgia tradizionale, in termini anche più forti: “È una via sulla quale potete camminare”.
Ho dunque intrapreso il sentiero che mi ha offerto la Chiesa.
Chiunque percorre questa strada – chiunque desidera questo rito, che è vaso della divina presenza e divina oblazione, porta frutto nella propria vita – deve aprirsi interamente per affidare se stesso e gli altri a Dio, che è presente e agisce in noi attraverso questo santo rito. L’ho fatto con totale confidenza.
Poi è venuto il 16 luglio 2021.
Dal Suo documento, Santo Padre, ho compreso che il sentiero che stavo percorrendo da 12 anni aveva cessato di esistere.
Abbiamo le dichiarazioni di due Papi. Sua Santità Benedetto XVI ha detto che il Messale romano promulgato da San Pio V “deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa lex orandi” della Chiesa cattolica di rito romano. Invece, Sua Santità Papa Francesco dice che “I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II […] sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”. L’affermazione del successore pertanto rinnega quella del predecessore ancora vivente.
È possibile che un certo modo di celebrare la Messa, confermato da una tradizione immemorabile, plurisecolare, riconosciuto da ciascun Papa incluso Lei stesso, Santo Padre, dal XVI sec. fino al luglio 2021, e santificata dal suo uso per così tanti secoli, improvvisamente cessi di essere la lex orandi del rito romano? Se questo fosse il caso, significherebbe che una tale caratteristica non è intrinseca al rito ma ne è un attributo esterno, soggetto alla decisione di chi occupa le alte gerarchie. In realtà, la liturgia tradizionale esprime la lex orandi del rito romano per la sua propria gestualità, per ogni frase e per tutto l’insieme che la compone. Essa è garantita come espressione di questa lex orandi, come la Chiesa ha sempre sostenuto, sulla base del suo uso ininterrotto da tempo immemorabile. Dobbiamo concludere che la prima affermazione pontificia (quella di Benedetto) è solidamente fondata ed è vera, mentre la seconda è infondata e falsa. Ma nonostante sia falsa, tuttavia ha ricevuto vigore di legge. Questo ha delle conseguenze di cui le scriverò tra poco.
Le concessioni riguardo all’uso del Messale del 1962 hanno ora un carattere differente rispetto alle precedenti. Non si tratta più di rispondere all’amore con cui i fedeli aderiscono alla forma tradizionale, ma di dar tempo ai fedeli – non sappiamo quanto tempo – di “ritornare” alla liturgia riformata. Le parole del motuproprio e la Sua lettera ai vescovi rendono chiarissimo che è stata presa questa decisione e che è già messa in atto, di rimuovere la liturgia tradizionale dalla vita della Chiesa e gettarla nell’abisso dell’oblio: non può essere usata nelle chiese parrocchiali, i nuovi gruppi non si devono formare, Roma deve essere consultata se nuovi sacerdoti intendono celebrarla. I vescovi sono ora certamente i Traditionis custodes, i custodi della Tradizione, ma non nel senso di coloro che la proteggono, bensì dei secondini di un carcere.
Mi permetta di esprimere la mia convinzione che questo non accadrà e che l’operazione fallirà. Su cosa si basa questa convinzione? Un’attenta analisi di entrambi i testi del 16 luglio rivela quattro caratteristiche: hegelismo, nominalismo, persuasione dell’onnipotenza papale e responsabilità collettiva. Ciascuna è una componente essenziale del suo messaggio e nessuna di loro si può riconciliare con il deposito della fede cattolica. Poiché non si possono riconciliare con la fede, esse non saranno integrate in essa, in teoria o in pratica. Esaminiamole una per una.
1) Hegelismo. È un termine convenzionale, non indica letteralmente il sistema del filosofo tedesco Hegel, ma qualcosa che ne deriva, cioè la concezione della storia come un processo buono, razionale e inevitabile di continui cambiamenti. Questo modo di pensare ha una lunga storia, da Eraclito e Plotino, a Gioacchino da Fiore, fino a Hegel, Marx e ai loro moderni eredi. È tipico di questo approccio dividere la storia in fasi, tali che l’inizio di ciascuna nuova fase è unito alla fine della precedente. I tentativi di “battezzare” l’hegelismo non sono altro che tentativi di conferire a queste presunte fasi storiche l’autorità dello Spirito Santo. Si presume che lo Spirito Santo comunichi alla generazione successiva qualcosa che non aveva detto alla precedente o che talvolta insegni qualcosa che contraddice quanto aveva detto in precedenza. In quest’ultimo caso dobbiamo accettare una delle tre: o in certe fasi la Chiesa ha disobbedito allo Spirito Santo, o lo Spirito Santo è soggetto a cambiamenti oppure contraddice Se stesso. Un’altra conseguenza di questa visione del mondo è un cambiamento nella concezione della Chiesa e della Tradizione. La Chiesa non è più vista come una comunità che unisce i fedeli trascendendo il tempo, come sostiene la fede cattolica, ma come un insieme di gruppi che appartengono alle varie fasi. Questi gruppi non hanno più un linguaggio comune: i nostri antenati non avevano accesso a ciò che lo Spirito Santo dice a noi oggi. La Tradizione stessa non è più un messaggio continuamente studiato, ma consiste piuttosto nel ricevere di volta in volta delle novità dallo Spirito Santo. Allora abbiamo sentito parlare, come nella Sua lettera ai vescovi, Santo Padre, del “dinamismo della Tradizione”, spesso applicato a specifici eventi. Un esempio è quando lei scrive che “di questo dinamismo il Concilio Vaticano II costituisce la tappa più recente, nella quale l’episcopato cattolico si è posto in ascolto per discernere il cammino che lo Spirito indicava alla Chiesa”. Questo modo di ragionare implica che una nuova fase richieda nuove forme liturgiche, poiché le precedenti erano adatte alla tappa precedente, che ora è finita. Poiché questa sequenza di tappe ha il sigillo dello Spirito Santo, attraverso il Concilio, quelli che restano attaccati alle forme antiche invece di aderire a quelle nuove, si oppongono allo Spirito Santo.
Tali concezioni, tuttavia, sono contrarie alla fede. La Sacra Scrittura, norma della fede cattolica, non fornisce basi a tale visione della storia. Piuttosto, ci insegna una concezione ben diversa. Re Giosia, dopo la scoperta dell’antico libro della Legge, ordinò che la celebrazione della Pasqua avvenisse in conformità con esso, nonostante una interruzione di mezzo secolo (2Re 22-23). Allo stesso modo, Ezra e Neemia di ritorno dalla cattività babilonese celebrarono la festa dei Tabernacoli con tutto il popolo, in stretta conformità agli antichi ricordi della Legge, nonostante fossero passati molti decenni dall’ultima celebrazione (Ne 8). In ogni caso, ci si servì delle antiche testimonianze della Legge per riprendere il culto divino dopo un periodo di confusione. Nessuno ha chiesto un cambiamento del rituale basandosi sul fatto che viviamo tempi nuovi.
2) Nominalismo. Mentre l’hegelismo influenza la concezione della storia, il nominalismo tocca la concezione dell’unità. Esso implica che l’introduzione di una unità esteriore (per mezzo di una decisione amministrativa calata dall’alto) equivarrebbe a ottenere una reale unità. Questo perché il nominalismo abolisce la realtà spirituale, cercando di coglierla e regolarla con misure materiali. Lei, Santo Padre, scrive: “È per difendere l’unità del Corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei Predecessori”. Ma per raggiungere l’obiettivo della vera unità, i suoi predecessori hanno preso la decisione opposta e non senza ragioni. Quando si comprende che la vera unità include qualcosa di interiore e spirituale, che differisce dalla mera unità esteriore, non la si cerca più attraverso la semplice uniformità dei segni esteriori. Non otteniamo in questo modo l’unità autentica, bensì l’impoverimento e l’opposto dell’unità: la divisione.
L’unità non risulta dalla revoca delle facoltà, del consenso e dall’imposizione di limitazioni. Re Roboamo di Giuda, prima di decidere il trattamento da riservare agli israeliti che intendevano migliorare la loro sorte, consultò due gruppi di consiglieri. I più anziani raccomandarono clemenza e una riduzione del peso che gravava sul popolo: l’età, nella Sacra Scrittura, spesso simboleggia la maturità. I giovani, coetanei del re, lo incitavano ad aumentare il carico e a far uso di parole dure: la giovinezza, nella Sacra Scrittura, spesso simboleggia l’immaturità. Il re seguì il consiglio dei giovani. Questo portò al fallimento dell’unità tra Giuda e Israele. Al contrario, da lì ebbe inizio la divisione del Paese in due regni (1Re 12). Nostro Signore risanò questa divisione attraverso la mitezza, sapendo che era stata la mancanza di questa virtù a causare la frattura.
Prima di Pentecoste, gli apostoli cercavano l’unità con criteri esterni. Questo approccio fu corretto dal Salvatore Stesso, che in risposta alle parole di San Giovanni: “Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci”, gli rispose: “Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi” (Lc 9,49-50; cfr. Mt 9,38-41). Santo Padre, ha centinaia di fedeli che “non sono contro” di lei. E ha fatto di tutto per ostacolarli! Non sarebbe stato meglio seguire le parole del Salvatore, indicando un’unità fondata su una base più profonda e spirituale? L’hegelismo e il nominalismo frequentemente diventano alleati, poiché la concezione materialistica della storia porta alla convinzione che ogni fase debba terminare irrevocabilmente.
3) Credere che il Papa sia onnipotente. Quando Papa Benedetto XVI offrì una maggiore libertà all’uso della forma classica della liturgia, si riferì a un uso plurisecolare che forniva una solida base per la sua decisione. La decisione di Vostra Santità invece non si fonda su questa base, al contrario, revoca qualcosa che è esistito ed è destinato a durare per lungo tempo. Lei scrive, Santo Padre, di aver trovato sostegno nella decisione di San Pio V, ma questi ha applicato criteri che sono esattamente l’opposto dei suoi. Secondo lui, ciò che era esistito e durato per secoli sarebbe continuato indisturbato; solo ciò che era più recente fu abrogato. La sola base rimasta per la decisione adottata da lei, pertanto, è la volontà di una singola persona investita dell’autorità papale. Tuttavia, può questa autorità, per quanto grande, impedire che antichi usi liturgici siano un’espressione della lex orandi della Chiesa romana? San Tommaso d’Aquino si chiedeva se Dio poteva far sì che qualcosa che un tempo esisteva, non fosse mai esistito. La risposta è no, perché la contraddizione non rientra nell’onnipotenza di Dio (Summa Theologiae, I,q25,art.4). In modo simile, l’autorità papale non può far sì che i riti tradizionali che hanno espresso la fede della Chiesa (lex credendi) per secoli, improvvisamente un giorno non esprimano più la norma della preghiera (lex orandi) della stessa Chiesa. Il Papa può prendere decisioni ma nessuna in grado di violare un’unità che si estende al passato e al futuro, ben oltre la durata del suo pontificato. Il Papa è al servizio di un’unità più grande della propria autorità. Perché è un’unità donata da Dio e non di origine umana. Per questo è l’unità ad avere la precedenza sull’autorità e non viceversa.
4) Responsabilità collettiva. Indicando le ragioni della sua decisione, Santo Padre, lei ha mosso varie e gravi accuse contro coloro che si avvalgono delle facoltà riconosciute da Papa Benedetto XVI. Non è specificato, tuttavia, chi sia a perpetrare questi abusi, o dove e in che numero. Compaiono solo le parole “spesso” e “molti”. Non sappiamo se si tratti di una maggioranza. Probabilmente no. Di sicuro non una maggioranza, bensì tutti coloro che si avvalgono delle facoltà sopra citate sono ora colpiti da sanzioni draconiane. Sono stati privati del loro sentiero spirituale, immediatamente o in un futuro non specificato. Ci sono persone che fanno uso improprio dei coltelli: allora dovremmo vietarne la produzione e la vendita? La sua decisione, Santo Padre, è ben più grave di un’ipotetica e assurda proibizione universale della produzione di coltelli.
Santo Padre, perché sta facendo questo? Perché ha attaccato la santa pratica dell’antica forma di celebrazione del Santo Sacrificio di Nostro Signore? Gli abusi commessi in altre forme, per quanto diffusi ampiamente o universalmente, non suscitano altro che parole, dichiarazioni espresse in termini generici. Ma come è possibile insegnare con autorità che “la scomparsa di una cultura può essere grave come o più della scomparsa di una specie animale o vegetale” (Laudato si’, 145) e poi qualche anno dopo, con un singolo atto, destinare gran parte dell’eredità culturale e spirituale della Chiesa all’estinzione? Perché le regole dell’ “ecologia profonda” formulate da lei non si applicano in questo caso? Perché non si chiede piuttosto se il numero costantemente in crescita dei fedeli che assistono alla liturgia tradizionale non sia un segno dello Spirito Santo? Lei non segue il consiglio di Gamaliele (At 5). Invece, li colpisce con un bando che non prevede neanche una vacatio legis.
Il Signore Dio, modello dei governanti terreni e in primo luogo delle gerarchie ecclesiali, non usa il suo potere in questo modo. La Sacra Scrittura ce ne parla così: “La tua forza infatti è principio di giustizia; il tuo dominio universale ti rende indulgente con tutti […] Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza; ci governi con molta indulgenza, perché il potere lo eserciti quando vuoi” (Sap 12,16-18). Il vero potere non ha bisogno di dar prova di sé con la durezza. E la durezza non è attributo di nessuna autorità che segue il modello divino. Il Nostro Salvatore stesso ci ha lasciato un preciso e signficativo insegnamento in proposito (Mt 20, 24-28). Non solo è stato spazzato, per così dire, il tappeto su cui si posano i piedi di coloro che stavano avanzando verso Dio; ma si è tentato addirittura di privarli del terreno su cui camminavano. Non andrà a buon fine. Nulla che sia in conflitto con il cattolicesimo può essere accettato nella Chiesa di Dio.
Santo Padre, è impossibile aver sentito per 12 anni la terra sotto i propri piedi e improvvisamente asserire che non c’è più. È impossibile concludere che mia Madre, ritrovata dopo lunghi anni, cessi di essere mia Madre. L’autorità papale è immensa. Ma neanche questa autorità può far sì che mia Madre cessi di essere tale! Una singola esistenza non può sopportare due rotture che si escludono a vicenda, l’una che apre un tesoro mentre l’altra afferma che questo tesoro va abbandonato perché il suo valore è esaurito. Se io accettassi questa contraddizione, non sarei più capaci di alcuna vita intellettuale e, di conseguenza, neanche di vita spirituale. Da queste due dichiarazioni contraddittorie dovrebbe seguire ogni affermazione, vera o falsa. Questo significherebbe la fine del pensiero razionale, la fine di ogni nozione di realtà, la fine di una comunicazione efficace tra gli uni e gli altri. Ma tutte queste cose sono componenti basilari dell’esistenza umana in generale e della vita domenicana in particolare.
Non ho alcun dubbio sulla mia vocazione. Sono decisamente risoluto a continuare la mia vita e il mio ministero nell’Ordine di San Domenico, ma a farlo in modo da essere in grado di ragionare correttamente e logicamente. Dopo il 16 luglio 2021 questo per me non è più possibile nell’ambito delle strutture esistenti. Vedo con totale chiarezza che il tesoro dei sacri riti della Chiesa, la terra sotto i piedi di coloro che li frequentano e la madre della loro devozione, continua ad esistere. Ed è ugualmente chiaro per me che io debba testimoniarli.
Non mi resta altra scelta che volgermi a coloro che sin dall’inizio dei cambiamenti radicali (cambiamenti che, si noti, sono andati ben oltre la volontà del Concilio Vaticano II) hanno difeso la Tradizione della Chiesa, insieme al rispetto della Chiesa per le esigenze della ragione e che continuano a trasmettere ai fedeli l’immutabile deposito della fede cattolica: la Fraternità Sacerdotale San Pio X. La FSSPX ha mostrato una prontezza nell’accogliermi, rispettando in pieno la mia identità domenicana. Questo mi offre l’opportunità non solo di vivere una vita al servizio di Dio e della Chiesa, un servizio scevro da contraddizioni che lo ostacolino, ma anche di oppormi a quelle contraddizioni che sono nemiche della Verità e che hanno attaccato la Chiesa con tanto vigore.
C’è una situazione di controversia tra la FSSPX e le strutture ufficiali della Chiesa. È una disputa interna alla Chiesa e che riguarda questioni di grande importanza. I documenti e le decisioni del 16 luglio 2021 hanno fatto sì che la mia posizione in materia convergesse con quella della FSSPX. Come per qualsiasi disputa di rilievo, anche questa dovrà essere risolta. Sono determinato a dedicarvi i miei sforzi fino alla fine. Considero questa lettera come parte dei miei sforzi. I soli mezzi possono consistere in un umile rispetto per la Verità e nella mansuetudine, entrambi provenienti da una fonte soprannaturale. Pertanto auspichiamo la soluzione della controversia e la ricostruzione di un’unità che abbraccerà non solo i viventi ma tutte le generazioni, passate e future.
La ringrazio per l’attenzione verso le mie parole e invoco, Beatissimo Padre, la sua benedizione apostolica.
Con filiale devozione in Cristo
P. Wojciech Gołaski, O.P.
I redattori di MIL sono sempre più imbarazzanti. Ciechi che conducono ciechi.
RispondiEliminaPerché saremmo imbarazzanti?
RispondiEliminaho letto un commento sulla pubblicazione di questa lettera su FB da brividi... una persona commentava dicendo che invece di andare verso la FSSPX bisogna combattere questa gerarchia dai vescovi alle parrocchie.. non abbandonare le parrocchie, ma combattere all'interno.. --- queste persone non hanno ancora capito che questa nuova gerarchia ed il popolo che va nelle chiese parrocchiali.. che li segue in tutto, ormai è talmente infarcita di una dottrina materialista e anti cattolica nel senso vero di cattolicesimo..- per questi esiste solo il materialismo ed un cattolicesimo fatto a modo proprio.. che neanche coi secoli si potrebbe cambiarli... questa è gente che deve finire come il fuoco, con la cenere e spazzata via dal vento.. ormai è convinta dal concilio in poi a causa del modernismo a distruggere proprio tutto del vero cattolicesimo e non tornerebbe mai indietro neppure davanti agli abissi... sono convinti di essere superiori a Dio tutti e quando dico tutti intendo tutta la gerarchia di ogni ordine e gradoi a tutto il popolo che li segue.. si sono gfatti una loro dottrina e nonm accettano più la Dottrina Cattolica di sempre.. distruggeranno sempre e tutto.. loro odiano il vero cattolicesimo.. e dunque dobbiamo proprio ripartire dalle ceneri... dalle catacombe... non siamo all'anno zero.. e non ci torneremo mai.,..ma che nessuno si facesse illusioni di cambiare questo popolo e questa gerarchia.. ormai con 50/60 anni pezzetto per pezzetto hanno distrutto tutto.. e quello che è salvo, bisogna portarlo lontano.. lontano... il demonio sa come gioca e sa giocare bene.. ci ha avvertiti la Madonna a Fatima tramite i Pastorelli.. pregate.. pregate e Dio vi esaudirà...
RispondiElimina