Ottavo: don Ludovico Antonio Muratori,
Qui i precedenti.
Qui i precedenti.
Roberto
Di Aurelio Porfiri.
Ci siamo già riferiti in precedenza alle influenze gianseniste sulla liturgia, influenze che non solo hanno riguardato il diciassettesimo secolo, tempo in cui l’eresia si è diffusa, ma si sono poi insinuate nei secoli a venire. Un autore che abbiamo già citato in precedenza così afferma: “Il senso privato nell'interpretare la Scrittura è l'errore che costituisce l'essenza del protestantismo; il senso privato nell'interpretare gli scritti, le parole, la storia della Chiesa è l'errore che costituisce l'essenza del giansenismo. Per la natura stessa delle cose si vede che il senso privato dei protestanti può prescindere affatto da ogni concetto di Chiesa; il senso privato dei giansenisti no. Questi invocano l'autorità e la combattono; la invocano nei libri; la combattono nelle persone: nei libri la invocano perchè le loro citazioni sono tutte di Padri e di libri della Chiesa; la combattono nelle persone perchè con quelle autorità e citazioni si fan forti a rigettare le decisioni e gli atti dell'autorità viva, della gerarchia e del potere insegnante. Due elementi convien dunque cercare nei traviamenti di questa setta. 1.° Il senso privato protestante. 2.° Il senso privato talmente adoperato da coprire le irriverenze all'autorità viva della Chiesa col rispetto a qualche cosa che sembri la Chiesa e la sua voce”. Prosegue poi: “Sì, diciamo noi pure, il protestantismo nega la tradizione, il giansenismo riduce tutto alla tradizione, TUTTO; escludendo l'interprete non meno della scrittura che della tradizione, l'unica interprete infallibile, la Chiesa” (1). Una eresia quindi pervicace e che si insinuerà in tanti studiosi di valore.
Parliamo per esempio di Ludovico Antonio Muratori, grande erudito e apprezzato studioso delle antichità ecclesiastiche, che si trovò d’accordo con Blaise Pascal nel combattere gli oppositori del Cristianesimo non con una apologetica in risposta ma tornando alla percepita “purezza della Chiesa primitiva” (2).
In effetti uno degli oggetti di indagine furono le devozioni popolari: “In entrambi gli ambiti Muratori combatté le credenze false. Aveva acquisito la convinzione dei maurini che la superstizione fosse estranea al cristianesimo. Il libertinismo erudito si capovolse in fideismo erudito. Nel 1697 pubblicò il primo di quattro volumi di Anecdota latina (Padova), cui ne aggiunse uno in greco. Vi apparve l’edizione di quattro poëmata inediti di s. Paolino da Nola, che giudicò poi insoddisfacente: ma ebbe sempre il gusto, se non l’ansia dell’inedito. Nel 1698 pubblicò i Notula oleorum (Milano) inviati da Gregorio Magno a Teodolinda – un papiro visto da Mabillon nel 1685 –, e la dissertazione Disquisitio de reliquiis, in cui affrontò il tema delle reliquie e del culto loro, trattato da Mabillon nel De cultu sanctorum ignotorum, pure del 1698, forse letto da Muratori manoscritto. Muratori esitava a ridurre il numero dei martiri, ma deprecava siffatte venerazioni popolari. Analogo l’atteggiamento nel Commentario sulla Corona ferrea (in Anecdota latina, cit., II, 1698), che si diceva contenesse uno dei chiodi della santa Croce. Ridicolizzò infatti la leggenda e dimostrò che la corona era stata cinta da Ottone III, che erano stati i sovrani franchi a valersi di tale diritto e che l’invenzione del chiodo sacro risaliva al XVI secolo. Fu un magistrale esempio di applicazione del metodo maurino. L’arrivo di Bernard de Montfaucon a Milano nel luglio 1699 suggellò questo legame. Dieci anni dopo, confutò la replica di Giusto Fontanini nell’Epistola ad Menckenium in Dissertationem fontaninianam. La critica alla superstizione lo spinse a indagare cosa fosse la religione. Evitò di discutere la critica spinoziana e lockiana alla fede, che per lui era mezzo sicuro di conoscenza. La sua teodicea si basava sull’accettazione delle cause finali. Contro il materialismo, seguì Nicolas Malebranche. Se le idee di David Hume sui miracoli e le credenze gli furono estranee, tuttavia era entrato nell’area della crisi della coscienza europea. Per lui, da un lato si collocavano la filosofia postcartesiana, il materialismo di Thomas Hobbes, l’empirismo inglese, la critica storica protestante e il radical Enlightenment di Baruch Spinoza, tutti esiti che condannò sempre come scetticismo. Dall’altro lato stava la decadenza italiana. Muratori collegò i due lati. Per uscire dalla decadenza l’Italia doveva guardare alle nuove prospettive europee, ma nella storia culturale italiana c’erano aspetti che potevano correggere quella cultura. In primo luogo, la tradizione della Chiesa. L’«età muratoriana» (Rosa, 1969) fu dunque una delle vie di uscita dalla crisi della coscienza europea, che non condusse all’Illuminismo, ma permise un ampio confronto tra le esigenze di rinnovamento del mondo cristiano” (3). Ora, la critica storica va certamente bene e come ha detto un Papa, la Chiesa non può avere paura della verità. Quello che è il pericolo è che a volte queste indagini vengono fatte con intento di distruggere a priori, e purtroppo vengono fatte in questo modo da chi dovrebbe difendere la Chiesa e le sue tradizioni. Vedremo più avanti come questa furia critica si scatenerà anche sotto il modernismo.
Certo, i problemi che un erudito importante come il Muratori sollevava erano importanti: quale era l’equilibrio fra emozione e ragione nelle cose di fede, nella liturgia? “Nel 1712 Muratori vide una missione nei pressi di Modena tenuta da Paolo Segneri juniore, nipote del gesuita omonimo. Ne fu sconcertato. Con sincerità gli scrisse che non era d’accordo con quella predicazione basata su superstizioni e fanatismo, da lui criticati nel De moderatione (non ancora pubblicato, ma già redatto). Tuttavia, fu tanto impressionato da chiedere al gesuita di ripetere quelle missioni a Modena. L’anno successivo Segneri morì e nel 1719 Muratori pubblicò la Vita del padre Segneri juniore (Modena, 2a ed. 1720) e nel 1720 gli Esercizi spirituali (Modena). Nel confronto incrociato tra sé e il gesuita ammise di non avere la vocazione ascetica; di non sentire il desiderio di morire; di non sapere rinunciare agli studi e dunque alla vita; di non aver provato il bisogno di predicazione. Nelle missioni del Segneri Muratori volle spezzare la trasposizione della pratica individuale degli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola in rito pubblico fanatico, perché vedeva la positività della prima distorta nella violenza del secondo. Gli Esercizi lo avevano affascinato. Vi scorse come unire il sentimento individuale della preghiera alla partecipazione alle strutture liturgiche, in primo luogo alla messa, e alla volontà di sentirsi parte della comunità cattolica. Era il problema del controllo della fantasia discusso nelle Riflessioni sopra il buon gusto (Venezia 1708)” (4).
Verso la fine della sua vita pubblicherà il Liturgia romana vetus tria Sacramentaria complectens leoninum scilicet, gelasianum et antiquum gregorianum (1748), opera certamente importante come del resto tutta la riflessione di questo celebre erudito (il Jungmann la cita spesso come autorità nel suo MissarumSollemnia) e nulla toglie all’ammirazione per un così celebre studioso ammirarne le luci, ma anche scorgere le ombre.
(1) SACERDOTE MILANESE (1867). Cosa è giansenismo. Reminescenze di seminario e di studi. Milano: Tip. Arciv. Ditta Giacomo Agnelli.
(2) Ben fatta è la voce su Muratori di Girolamo Imbruglia (2012) nel Dizionario Biografico degli Italiani.
(3) IMBRUGLIA (2012), op. cit.
(4) IMBRUGLIA (2012), op. cit.
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