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martedì 15 novembre 2016

Amoris laetitia: la prima domanda dei Cardinali

di don Alfredo M. Morselli

Ave Maria! 🙏🏻 


Diamo inizio a una serie di articoli, volti a spiegare, in modo semplice e comprensibile anche per chi non è un addetto ai lavori, i cinque dubia (domande, quesiti) che quattro Cardinali hanno piamente sottoposto al Santo Padre.
Non facciamo fatica a pensare che la formulazione di ciascun dubium sia stata a lungo pensata e ripensata: le domande proposte quindi vanno necessariamente al cuore dei problemi che l'esortazione Amoris laetitia pone ai credenti.
Non si tratta - da parte dei Cardinali - di una sorta di attacco conciliarista (La Sede Apostolica romana non può essere giudicata da alcuno), ma di un atto di giustizia e di carità.
Sí, un atto di carità nei confronti del Papa, per aiutarlo a essere giusto, perché possa dare alla Chiesa ciò che Le è dovuto, ovvero una propositio fidei chiara, che dissipi tutte le ipotesi di contraddizione con il Magistero infallibilile precedente.
Così hanno spiegato i Cardinali:
"Il nostro è dunque un atto di giustizia e di carità.
Di giustizia: colla nostra iniziativa professiamo che il ministero petrino è il ministero dell’unità, e che a Pietro, al Papa, compete il servizio di confermare nella fede.
Di carità: vogliamo aiutare il Papa a prevenire nella Chiesa divisioni e contrapposizioni, chiedendogli di dissipare ogni ambiguità".
Una contraddizione reale tra pronunciamenti infallibili del magistero, per le promesse del Salvatore, non può darsi: e le risposte del Santo Padre - piamente invocate - devono spiegare o come in effetti essa non si dà, oppure portare a una revisione o precisazione della stesura materiale di Amoris laetitia, in modo da dissolvere il fumo delle problematiche innescate. Non è detto infatti che un documento pontificio sia sempre steso nel modo migliore o senza difetti.

Vediamo ora il primo dubium proposto dai Cardinali.
1. Si chiede se, a seguito di quanto affermato in "Amoris laetitia" nn. 300-305, sia divenuto ora possibile concedere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla Santa Eucaristia una persona che, essendo legata da vincolo matrimoniale valido, convive "more uxorio" con un’altra, senza che siano adempiute le condizioni previste da "Familiaris consortio" n. 84 e poi ribadite da "Reconciliatio et paenitentia" n. 34 e da "Sacramentum caritatis" n. 29. L’espressione "in certi casi" della nota 351 (n. 305) dell’esortazione "Amoris laetitia" può essere applicata a divorziati in nuova unione, che continuano a vivere "more uxorio"?
Il primo dubium si riferisce alla nota 351, che accompagna il paragrafo 305 di Amoris laetitia. Esaminiamo i testi:
§ 305: "A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa". 
Nota 351: "In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, «ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore» (Esort. ap. Evangelii gaudium [24 novembre 2013], 44: AAS 105 [2013], 1038). Ugualmente segnalo che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» (ibid., 47: 1039)". 
Il paragrafo 305 afferma dunque che "entro una situazione oggettiva di peccato", quale può essere la convivenza more uxorio di persone divorziate civilmente risposate, a causa di "condizionamenti e fattori attenuanti", queste stesse persone "possono crescere nella vita di grazia e di carità", essendo possibile che non siano "soggettivamente" colpevoli o non lo siamo "in modo pieno".
Al fine di questa crescita possono essere aiutati dalla Chiesa, senza escludere - e qui entra in gioco la nota 305 - i sacramenti.
E mentre prima di Amoris laetitia i sacramenti eranno accordati a precise condizioni, in primis l'impegno dei conviventi a vivere come fratello e sorella, ora sembra che le suddette condizioni, ben precisate da S Giovanni Paolo II al § 84 dell'esortazione Familiaris consortio, possano essere in "certi casi" bypassate.
Ciò comporterebbe uno sconvolgimento della dottrina cattolica, in quanto la suddetta conclusione (vale a dire: in certi casi i divirziati risposati che convivono more uxorio possono ricevere i sacramenti anche se non vivono come fratello e sorella) presuppone inevitabilmente almeno una delle seguenti condizioni, assolutamente inammissibili per un cattolico; citiamo le stesse parole dei firmatari:

1ª ipotesi inammissibile: "le persone che non sono sposate possono, a certe condizioni, compiere legittimamente atti di intimità sessuale".

2ª ipotesi inammissibile: "i divorziati e risposati sono legittimamente sposi e i loro atti sessuali sono lecitamente atti coniugali".

3ª ipotesi inammissibile: "il fedele può accostarsi alla mensa eucaristica anche con la coscienza di peccato grave. Per ricevere l’assoluzione nel sacramento della penitenza non è sempre necessario il proposito di cambiare la vita". A questa ipotesi si aggiunge che, a questo punto, "i sacramenti … sono staccati dalla vita: i riti cristiani e il culto sono in una sfera differente rispetto alla vita morale cristiana".

Ecco la posta in gioco, ecco cosa comporta - se ragioniamo coerentemente - ammettere ai sacramenti chi non può riceverli.
Si tratta forse di non essere misericordiosi, di lanciare pietre, di non amare i nostri fratelli per il momento in stato di peccato? No, anzi, tutto il contrario: tuttavi la misericordia, l'integrazione, l'aiuto, vanno prestati in altro modo che non sia l'ammissione a una Comunione sacrilega e una Confessione sacrilega e invalida.

In realtà ci sarebbe un altra via di fuga per cercare di evitare le tre vie obbligate davanti alle quali i Cardinali pongono alcune affermazioni di Amoris laetitia: provare a sostenere che gli atti sessuali tra due persone non sposate, in certi casi, non sono peccato. Ma in questo modo si va a sovvertire tutta la morale oggettiva, riproposta in modo autorevole da San Giovanni Paolo II, con l'enciclica Veritatis splendor. Ma questo è materia di altri dubia, che esamineremo nei prossimi giorni (a Dio piacendo).

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