Tempo fa avevamo pubblicato la traduzione di un articolo(iscito su Il Timone, aprile 2015) che riportava l'autorevole opinione di un
"principe" del marketing brasiliano, Alex Periscinoto, il quale,
incaricato dalla Conferenza Episcopale Brasiliana per studiare una campagna per
"ripopolare" le chiese ormai deserte, aveva così sintetizzato:
""Voi avevate già un perfetto sistema di "marcheting". Ma
cambiando le cose, togliendo il latino, abbandonando la talare, e facendo
chiese simili a edifici civili pensavate
di fare cosa gradita ai fedeli, ma avete fatto un gigantesco errore. Modificare
la liturgia è stato un disastro". (qui)
Contrariamente a quanto si aspettavano i vescovi, il
professionista di marketing aveva riconosciuto la forte attrattiva e l'appeal
che la Chiesa Cattolica pre-riforma vaticanosecondista aveva grazie ai propri
secolari simboli (campanili, croci, talari, linguaggio, "slogan",
processioni, ecc).
Se quella (di Persiscinoto) riportata l'anno scorso era
un'analisi dal punto di vista "aziendale", (molto appropriata e
coerente, ammettiamolo, con la funzione dei simboli religiosi) oggi proponiamo
(su segnalazione di un lettore che ringraziamo) le parole di un regista
teatrale (estraneo ad ambienti ecclesiastici e quindi a digiuno di dispute
liturgiche) che analizza le due forme (vetus e novus) della Messa da un punto
di vista altrettanto insolito (come quello del "marketing" ma
parimenti pertinente: quello dell'antropologia della performance.
Del libro avevamo già dato notizia in prossimità della
pubblicazione (si veda qui), ma è utile riproporre la recentissima intervista
all'autore, perchè il momento liturgico è quando mai delicato.
Inoltr viene quindi messo bene in evidenza come il fedele
non solo abbia bisogno di simboli in cui
riconoscersi e attorno al quale ritrovarsi e riunirsi (tesi di Persiscinoto) ma
anche come venga naturalmente attratto da riti e da elementi
"esoterici" e non direttamente razionali, per comprendere meglio il
senso del sacro.
QUI LA SCHEDA DEL LIBRO
Roberto
Lo "spettacolo" della Messa
l'efficacia del rito romano agli occhi di un regista teatrale
di Valerio Pece, da Tempi, del 12.03.2016
Analizzare la ritualità cattolica comparando sinotticamente la
celebrazione della Santa Messa secondo le due forme del rito romano:
straordinaria e ordinaria. Come? Seguendo lo schema di una “critica
teatrale”, prendendo quindi in esame gli aspetti esteriori e percepibili
della liturgia. Esattamente come farebbe un esperto regista teatrale,
il quale, dal banco di una chiesa invece che dal più usuale golfo
mistico, assistendo alle due forme del rito, analizzasse criticamente
ciò che vede, che ascolta, che avverte: ciò che gli parla. Un’analisi
che, tra l’altro, provenendo da un professionista a digiuno di dispute
liturgiche, si rivelerebbe depotenziata dall’estenuante dibattito sul
tema; felicemente “neutra”.
Questo è il geniale punto di vista del saggio di Luigi Martinelli, giovane studioso bresciano di teatro e cristianesimo (Le forme del sacro. La performance nel rito romano,
Cavinato Editore, Brescia, 2015). Un libro che piacerebbe a Benedetto
XVI, e non solo certo perché impreziosito dalla prefazione di quel
monsignor Nicola Bux (autore di saggi di successo nonché professore di
liturgia comparata, teologia orientale e sacramentaria presso la Facoltà
teologica di Bari) che il papa emerito volle fortissimamente con sé
come consultore dell’ufficio delle celebrazioni liturgiche pontificie.
Martinelli,
se scrivessimo che lei ha voluto indagare “l’efficacia” del rito in
quanto performance, avremmo centrato il tema del suo saggio?
Direi proprio di sì. Se il saggio si inserisce idealmente nella discussione sulle forme del rito romano sviluppatasi in seguito alla pubblicazione del motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI, la specifica indagine del mio studio si muove applicando allo studio delle forme del rito cattolico gli strumenti di analisi messi a punto nel campo dell’antropologia della performance da maestri quali Victor Turner e Richard Schechner. Qualsiasi forma di rito, infatti, è anche “performance”, vale a dire azione concertata di natura relazionale in un contesto comunitario. Per questo motivo, proprio uno studio degli aspetti performativi di un rito può contribuire ad indagarne a fondo l’efficacia, in relazione ai presupposti e agli obiettivi dichiarati.
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Direi proprio di sì. Se il saggio si inserisce idealmente nella discussione sulle forme del rito romano sviluppatasi in seguito alla pubblicazione del motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI, la specifica indagine del mio studio si muove applicando allo studio delle forme del rito cattolico gli strumenti di analisi messi a punto nel campo dell’antropologia della performance da maestri quali Victor Turner e Richard Schechner. Qualsiasi forma di rito, infatti, è anche “performance”, vale a dire azione concertata di natura relazionale in un contesto comunitario. Per questo motivo, proprio uno studio degli aspetti performativi di un rito può contribuire ad indagarne a fondo l’efficacia, in relazione ai presupposti e agli obiettivi dichiarati.
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Nel suo libro si sofferma diffusamente sull’analisi della
liturgia nella forma straordinaria del rito romano indicandola come
esempio da seguire. Pur avendo lei evidenziato i punti di forza e le
criticità di entrambe le forme, nel confronto sinottico col rito
ordinario il “Vetus Ordo Missae” sembra vincere abbastanza nettamente.
Cosa può comunicare all’uomo di oggi un rito così antico?
Mi soffermo sulla liturgia romana antica proprio perché in essa ha un ruolo fondamentale la performance corporea e sensoriale che comunica efficacemente all’uomo il contenuto essenziale della fede che viene celebrata. Essa manifesta il senso del sacro sfiorando la sensibilità fisica dell’uomo con l’ausilio di azioni esteriori efficaci come la sapiente disposizione del silenzio “attivo” nelle parti centrali del rito; l’importanza accordata ad un certo tipo di canto, quello gregoriano, e alla musica solistica che accompagna il raccoglimento; la parola viva della lingua sacra che emancipa la parola dall’urgenza di significare rilanciando il valore della vocalità; l’importanza riservata alle azioni, ai gesti, alle posture; l’orientamento spaziale e la verticalità. Tutto è costruito attorno ad elementi performativi in grado di generare realtà ed esperienza. Il rito romano antico è un agglomerato di elementi rituali «esoterici», ovvero quelli che non si rivolgono primariamente alla sfera razionale, ma alla percezione sensibile che trascende la ragione umana. Non è una liturgia di sole parole, concettuale, non è un semplice fare memoria, non è un guardare in modo distante per soddisfare il gusto estetico, ma un’esperienza concreta di realtà, una liturgia che interpella la sensorialità umana coinvolgendo il tutt’uno corpo-mente-anima nella celebrazione dei Santi Misteri.
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Mi soffermo sulla liturgia romana antica proprio perché in essa ha un ruolo fondamentale la performance corporea e sensoriale che comunica efficacemente all’uomo il contenuto essenziale della fede che viene celebrata. Essa manifesta il senso del sacro sfiorando la sensibilità fisica dell’uomo con l’ausilio di azioni esteriori efficaci come la sapiente disposizione del silenzio “attivo” nelle parti centrali del rito; l’importanza accordata ad un certo tipo di canto, quello gregoriano, e alla musica solistica che accompagna il raccoglimento; la parola viva della lingua sacra che emancipa la parola dall’urgenza di significare rilanciando il valore della vocalità; l’importanza riservata alle azioni, ai gesti, alle posture; l’orientamento spaziale e la verticalità. Tutto è costruito attorno ad elementi performativi in grado di generare realtà ed esperienza. Il rito romano antico è un agglomerato di elementi rituali «esoterici», ovvero quelli che non si rivolgono primariamente alla sfera razionale, ma alla percezione sensibile che trascende la ragione umana. Non è una liturgia di sole parole, concettuale, non è un semplice fare memoria, non è un guardare in modo distante per soddisfare il gusto estetico, ma un’esperienza concreta di realtà, una liturgia che interpella la sensorialità umana coinvolgendo il tutt’uno corpo-mente-anima nella celebrazione dei Santi Misteri.
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Come mai, secondo le sue ricerche, la liturgia nella forma
ordinaria del rito romano non riesce ad esprimere appieno il senso del
sacro?
La riforma liturgica ha riformato un rito soffermandosi quasi esclusivamente sul legòmenon, ovvero sulle parole, i testi, le traduzioni, le semplificazioni linguistiche e comunicative, al fine di educare ed istruire le coscienze dei fedeli attraverso la comprensione intellettiva. Si è operato secondo l’atteggiamento moderno di svalutazione del rituale, spostando l’attenzione
dal suo potere emotivo al suo significato, nell’illusione che comprendere un rito sia equivalente a viverlo. Questa deriva razionalistica e logocentrica della liturgia, ha ridimensionato l’importanza del corpo e della corporeità, del valore dei sensi e della sensibilità nell’atto comunicativo ed espressivo. Infatti la forma ordinaria è contraddistinta dall’uso della lingua parlata che ha accresciuto la verbosità; dal ridimensionamento del silenzio; dalla riduzione della performance fisica, della formalità e della ripetitività dei gesti; dall’affioramento della comunità come soggetto della celebrazione favorito dal copioso utilizzo del canto comunitario; da una diversa disposizione dello spazio al fine di favorire la conversazione umana orizzontale. Così da una liturgia del corpo, come quella antica, si è passati ad una liturgia della testa. Pertanto, nella forma ordinaria, vi è una predominanza dei testi proclamati o recitati a scapito della performance corporea, del potere dell’azione, del gesto, del movimento, del suono, in altre parole si è accantonata la ri-presentazione performativa. L’insieme di tutti questi fattori ha determinato la predominanza del contenuto sulla forma, dunque la liturgia ne risulta indebolita, con una conseguente perdita del senso del sacro.
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La riforma liturgica ha riformato un rito soffermandosi quasi esclusivamente sul legòmenon, ovvero sulle parole, i testi, le traduzioni, le semplificazioni linguistiche e comunicative, al fine di educare ed istruire le coscienze dei fedeli attraverso la comprensione intellettiva. Si è operato secondo l’atteggiamento moderno di svalutazione del rituale, spostando l’attenzione
dal suo potere emotivo al suo significato, nell’illusione che comprendere un rito sia equivalente a viverlo. Questa deriva razionalistica e logocentrica della liturgia, ha ridimensionato l’importanza del corpo e della corporeità, del valore dei sensi e della sensibilità nell’atto comunicativo ed espressivo. Infatti la forma ordinaria è contraddistinta dall’uso della lingua parlata che ha accresciuto la verbosità; dal ridimensionamento del silenzio; dalla riduzione della performance fisica, della formalità e della ripetitività dei gesti; dall’affioramento della comunità come soggetto della celebrazione favorito dal copioso utilizzo del canto comunitario; da una diversa disposizione dello spazio al fine di favorire la conversazione umana orizzontale. Così da una liturgia del corpo, come quella antica, si è passati ad una liturgia della testa. Pertanto, nella forma ordinaria, vi è una predominanza dei testi proclamati o recitati a scapito della performance corporea, del potere dell’azione, del gesto, del movimento, del suono, in altre parole si è accantonata la ri-presentazione performativa. L’insieme di tutti questi fattori ha determinato la predominanza del contenuto sulla forma, dunque la liturgia ne risulta indebolita, con una conseguente perdita del senso del sacro.
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Se è vero che «ciò che per le generazioni anteriori era
sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere
improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso»
(così Benedetto XVI nella lettera di presentazione del motu proprio
“Summorum pontificum”) non le sembra che oggi, realisticamente, la
convivenza delle due forme del rito romano possa concorrere a dividere
maggiormente una comunità ecclesiale già per tanti aspetti composita e
discordante?
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Secondo me questo rischio non esiste. Io, come tantissime altre persone, frequento senza problemi sia l’una che l’altra forma. Anzi, una maggiore diffusione del biformalismo rituale può certamente rappresentare una ricchezza spirituale. In particolare, la convivenza della forma straordinaria accanto a quella ordinaria può essere molto positiva per quest’ultima: è auspicabile procedere sulla strada del confronto e dell’osmotico arricchimento dell’antico sul nuovo, recuperando tutti quegli elementi rituali tradizionali che consentiranno anche alla liturgia postconciliare di porsi maggiormente come tangibile esperienza di fede e di sensibile incontro con Dio.
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Secondo me questo rischio non esiste. Io, come tantissime altre persone, frequento senza problemi sia l’una che l’altra forma. Anzi, una maggiore diffusione del biformalismo rituale può certamente rappresentare una ricchezza spirituale. In particolare, la convivenza della forma straordinaria accanto a quella ordinaria può essere molto positiva per quest’ultima: è auspicabile procedere sulla strada del confronto e dell’osmotico arricchimento dell’antico sul nuovo, recuperando tutti quegli elementi rituali tradizionali che consentiranno anche alla liturgia postconciliare di porsi maggiormente come tangibile esperienza di fede e di sensibile incontro con Dio.
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Che direbbe Papa Francesco in proposito?
Molto probabilmente sarebbe d’accordo. La convivenza parallela delle due forme del rito romano, d’altronde, dovrebbe essere la normalità in una Chiesa aperta, inclusiva, “in uscita”, in cui c’è spazio per tutti.
Molto probabilmente sarebbe d’accordo. La convivenza parallela delle due forme del rito romano, d’altronde, dovrebbe essere la normalità in una Chiesa aperta, inclusiva, “in uscita”, in cui c’è spazio per tutti.
Non si possono fare paragoni tra i due riti: uno è cattolico l'altro è stato studiato da menti moderniste a quattro mani con protestanti (la circostanza è incontestabile).
RispondiEliminaDel resto gli atei e gli avversari della Chiesa non hanno nessun impiccio a seguire, quando ciò accade, il rito nuovo.
Il rito di Paolo VI è anche gay friendly (siamo tutti uguali, ci vogliamo tanto bene, il Signore ci ha già perdonato, siamo noi il centro del culto. battiamo le mani come nelle discoteche dei culatoni...)
Anonimo delle 13,05 mi sembri esagerato! Pur vero che il rito nuovo ha una radice massonica-protestante, ma per il resto non condivido! È brutto sì, infantile pure. È un rito per una fede puerile. Non mi sento di andare oltre.
EliminaChe ciazzecca ?
EliminaUna messa eretica da una chiesa eretica...niente di buono nel carnevale che e diventata la neo chiesa di tipo protestante.
EliminaLa coesistenza di due riti è una decisione salomonica negativa, come in Brasile dove una diocesi era guidata da un vescovo tradizionalista, al quale si opponevano ordini religiosi. Ne nacque una forte lite che esitò nella formazione di due diocesi! Il NO deve essere riportato alla tradizione.
RispondiEliminaIl rito del Beato (sottolineo Beato) Paolo VI, è il rito ordinario di Santa Madre Chiesa, chi non lo riconosce è fuori della Chiesa è scismatico ed eretico. Tutto il resto è corollario. La messa non è spettacolo non è un teatro , è l'eterna liturgia di cielo, immutabile nei cieli, mutabile nella forma ma non nella sostanza qui sulla terra. E' sacrificio ma anche banchetto, non è un rito propiziatorio magico, è l'essenza stessa della Trinità, per troppi secoli questa dimensione nella liturgia latina è stata dimenticata.
RispondiEliminaDavide83
Non sapevo che mia nonna 99enne avesse partecipato per buona parte della sua vita a "riti magici". Mo' 'jo chiedo! Ma guarda nel 1969 si è scoperta l'acqua calda.
Eliminadavide 83 curioso che parli del rito ordinario come di sacrificio,dove lo comprendi nella liturgia ordinaria che si sta compiendo un sacrificio?,parli di TRINITà,ma lo sai che con la riforma liturgica del beato che citi ,la preghiera alla santissima TRINITà è stata abolita ,è detta solo una domenica all anno giorno della sua festa ,parli di spettacolo ,ma se oggi lo è divenuta grazie all indecoroso gioco di preti che dissacrano la liturgia ,ti basta andare su youtube per capirlo ,la messa di paolo vi è stata costruita a tavolino e oggi i risultati son eviddenti ,apostasia dilagante ,eresie e sfacelo
Eliminafabio 79
Anonimo delle 14:19. Perché secondo te non è un sacrificio? Io vivo con profondo rispetto la Messa di Paolo VI e vi trovo il mio nutrimento spirituale nell'ascolto e nella meditazione della parola e nella partecipazione ai divini misteri eucaristici. Non c'è bisogno di citare la Trinità per capire che quello che si compie è la liturgia del cielo. Su una cosa però hai ragione purtroppo per colpa di preti, e a volte anche di vescovi si fa un cattivo uso della libertà del messale di Paolo VI, ciò non toglie che tale Messale è e rimane l'unica forma ordinaria della S. Messa per la chiesa latina, negarlo è porsi fuori della Chiesa di Cristo, che sussiste in pienezza nella Chiesa Cattolica. Che senso ha non capire una parola della PAROLA DI DIO me lo spieghi? Lo diceva un santo dottore, l'ignoranza delle scritture è ignoranza di Cristo. Davide83
EliminaDavide 83, Ah bé, se lo dici tu sa tanto di verita' assoluta.
RispondiEliminaLa forma extraordinaria è perfettamente lecita quindi non capisco perchè vengono osteggiate. Se ne osi parlare nella mia diocesi....
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