Recensione del nuovo volume "Discorsi sull'arte sacra"
di Daniel Estivil, Docente della Pontificia Università Gregoriana
ROMA, sabato, 31 marzo 2012 (ZENIT.org)
- “Pittore, teorico e storico dell’arte”, così giustamente viene presentato l’autore del libro “Discorsi sull’arte sacra” (edizioni Cantagalli 2012), Rodolfo Papa. Qualifiche queste che attestano la personalità poliedrica di Rodolfo Papa mentre lo legano alle grandi figure del mondo dell’arte del passato, allorché il pittore univa alla sua capacità tecnica una cospicua cultura classica nonché la conoscenza dei principi teorici dell’arte. Ma non sarebbe completa la presentazione dell’autore se non si aggiungesse che egli è un uomo di fede, attivamente vissuta nella Chiesa cattolica. Solo in questo modo diventa pienamente comprensibile la portata dei suoi discorsi sull’arte, che – senza intaccare la legittima autonomia dell’attività artistica – dischiudono orizzonti ben più larghi addentrandosi nel mondo dello spirito alla luce della fede in Gesù Cristo.
Il discorso, come genere letterario, è stato scelto di proposito dall’autore per affrontare un tema complesso, appunto quello dell’arte, in una struttura di pensiero circolare a diversi livelli, ma tuttavia orientata verso un obiettivo finale: l’arte sacra.Infatti, come viene esplicitamente affermato nell’introduzione, l’idea di fondo che emerge con chiarezza in una lettura d’insieme «è che solo analizzando in modo compiuto l’identità dell’arte si possa affrontare in maniera corretta la delicata condizione dell’arte sacra». Non è un caso, dunque, che il settimo capitolo, dedicato all’arte sacra, sia preceduto da sei capitoli riguardanti il tema dell’arte in genere, pur non mancando in essi, quando necessario, specifici richiami all’arte cristiana.
Così, nella svariata e caotica diversità di opinioni che caratterizzano oggi gli studi sull’arte, l’autore apre il suo grande discorso, nel primo capitolo, affrontando il delicato problema di definire l’arte. A tale scopo entra in un serrato dialogo con i più noti rappresentanti del pensiero contemporaneo sulla materia per smascherare le loro “paure” nonché le loro riluttanze a dare una definizione dell’arte. Convinto però, seppure in controtendenza, della «necessità di definire dei termini sui quali poggiare le scelte individuali e quindi il senso dell’agire e del fare, ed anche del fare artistico», l’autore arriva ad una soluzione del problema proponendo la definizione “reale” e “classica” dell’arte – ars est recta ratio factibilium – ma lasciando anche flessibilmente aperta la questione della definizione di uno statuto epistemologico per ogni specie d’arte.
Dopo questo primo passo, il discorso prosegue sul tema dello stile, termine spesso equivoco nel linguaggio corrente in riferimento alle arti visuali. A tale proposito, prendendo come spunto lo sviluppo storico del concetto di stile e concretizzandolo nell’operare artistico di Caravaggio, la questione “stilistica” viene presentata in relazione alla maniera e alla schola, che sarebbero declinazioni particolari di un sistema più vasto e sottinteso, che è proprio il sistema d’arte, argomento del terzo capitolo. Nel definire il sistema artistico come «un insieme di principi e regole che sottendono un sistema di segni», in stretta relazione con una specifica visione del mondo (Weltanschauung), l’autore stabilisce il fondamento teorico per individuare l’identità e l’essenza del sistema dell’arte cristiana. In questo modo, fa diventare palese non solo, la diversità tra il sistema figurativo e il sistema non figurativo o aniconico, ma soprattutto il rapporto intimo tra religione e sistema artistico.
Molto significativo è il discorso sulla luce, sviluppato nel quarto capitolo, che mette in evidenza come lo «spostamento dalla luce al colore» nell’arte contemporanea non sia altro che il passaggio «da una visione metafisica ad una materialista». La luce, metafora della verità e simbolo della bellezza, diventa in questo discorso principio ermeneutico per comprendere la dimensione della corporeità in senso cristiano. In questa visione l’astrattismo e l’iperrealismo non possono che essere frutti di una concezione fuorviante e riduzionista della corporeità e, in ultima istanza, della luce.
Molto pertinente, poi, è il discorso sulle immagini e sul corpo, finalizzato a dimostrare come da una parte, la cosiddetta “società delle immagini” nella quale viviamo, sia invece una società «intrinsecamente iconofobica», e dall’altra, quanto il rapporto tra immagine e corporeità sia decisivo nella visione occidentale del cristianesimo. È una tale impostazione del discorso che permetterà, tra l’altro, rilevare l’aspetto più rivoluzionario della prospettiva nella sua capacità di “rendere presente” la realtà in imagine picta al servizio delle esigenze contemplative della spiritualità francescana e della fede nell’incarnazione.
Non poteva mancare un discorso sulla bellezza, aspetto basilare diogni riflessione sull’arte. Questo discorso rivela in modo particolare la solida conoscenza della dottrina scolastico-tomista da parte dell’autore. Egli, infatti, richiama più volte la concezione della bellezza in termini ontologici di “trascendentale”, in stretto rapporto con il verum e il bonum. Non manca d’interesse notare che tale prospettiva, come viene appositamente sottolineato, è in continuità con gli insegnamenti del Concilio Vaticano II (cf. Sacrosanctum Concilium, 122) e anche con il Magistero post conciliare (cf. Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 51; Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 31 e 41).
Il discorso sull’arte sacra, l’ultimo della serie, merita la massima attenzione in quanto esso è il coronamento di tutti i discorsi precedenti, così come per l’autore – pittore, teorico e storico dell’arte – tutto è orientato all’arte sacra, che costituisce il leitmotiv della sua vita di “artista e uomo di fede”. La sottolineatura della specificità dell’arte sacra nel suo essere riferita alla liturgia, permette di aprire un discorso di fondamentale importanza per capire l’arte sacra in relazione alla fede e per poterla definire, sulla falsariga della definizione tomista, come «fides et recta ratio factibilium». Sempre in analogia alla relazione tra fides et ratio, l’autore individua nella storia del rapporto tra arte e fede «tre stati: un’arte autonoma rispetto alla fede, un’arte cristiana illuminata dalla fede e un’arte interpellata dalla fede», ovverossia chiamata dalla fede ad un ruolo più specifico. Quest’ultima è proprio l’arte sacra. La distinzione diventa una guida sicura sia per la conoscenza adeguata della tradizione nell’arte della Chiesa, sia per delineare il profilo dell’artista cristiano, sia per riconoscere l’autentica arte sacra. Rispetto a quest’ultimo aspetto risulta illuminate il commento dei cinque punti già segnalati dal Card. Joseph Ratzinger nella sua Opera Omnia sulla Teologia della liturgia: l’inconciliabilità dell’iconoclastia con la fede nell’incarnazione del Verbo, la storia della salvezza come fonte dell’arte sacra, la centralità dell’immagine di Cristo nell’arte figurativa sacra, l’immagine sacra come strumento di contemplazione, l’assenza di spazio per l’arbitrarietà e per il soggettivismo nell’arte sacra. Infine, e nel suo discorso conclusivo, l’autore arriva a sintetizzare con grande lucidità mentale quattro caratteri fondamentali che riguardano l’identità dell’arte sacra: universalità, bellezza, figuratività e narratività.
Il libro, frutto della maturità del pensiero dell’autore, viene alla luce in un momento storico particolarmente significativo per la vita della Chiesa e per l’arte sacra. Infatti, mentre viene pubblicata l’opera di R. Papa si ravvicinano due celebrazioni importanti, quella del 50º anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e quella l’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI con la Lettera apostolica Porta Fidei. Sia per l’uno che per l’altro momento, il libro qui presentato può essere considerato come un contributo valido
e degno di apprezzamento. In riferimento al Concilio Vaticano II, i discorsi sviluppati nel libro non solo si allineano in quella ermeneutica dei testi conciliari auspicata da Benedetto XVI (cf. Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2005), ma soprattutto costituiscono un’applicazione pratica e concreta dell’orientamento conciliare sulla formazione degli artisti e del clero (cf. Sacrosanctum Concilium 127 e 129). In questo senso è auspicabile una larga diffusione dell’opera ai fini della formazione sia negli ambienti universitari ecclesiastici sia in quel vasto “areopago” del mondo dell’arte, che oggi piace presentare come un nuovo scenario di evangelizzazione. Anche in relazione all’Anno della Fede questo libro è in grado di offrire il suo prezioso contributo. Infatti, se oggi una «profonda crisi di fede ... ha toccato molte persone» (Porta fidei, 2), non sembra che ci siano validi motivi per poter escludere gli artisti tra quelli che sono toccati da una tale crisi. Pertanto, questi discorsi sull’arte sacra non possono che essere un allettante invito perché, oggi più che mai, l’arte sacra sia contemplata con gli occhi della fede e, soprattutto, perché gli artisti capiscano quanto nobile può diventare la propria arte allorché essa venga concepita secondo la fede e assuma come finalità ultima servire alla gloria di Dio nella Chiesa.
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