Post in evidenza

AGGIORNAMENTO del programma del 13º Pellegrinaggio Populus Summorum Pontificum #sumpont2024

Cari amici, a pochi giorni dall ’inizio de l  13º Pellegrinaggio  Populus Summorum Pontificum   a Roma da venerdì 25 a domenica 27 ottobre  ...

venerdì 10 dicembre 2010

Ermeneutica della continuità: massimalista e minimalista.


Lo studio di De Mattei sul Concilio e la relativa recensione critica di Introvigne non cessano di alimentare un salutare dibattito. Segno, a tacer d'altro, della vitalità intellettuale del campo che sul Concilio, o quanto meno sulla sua concreta applicazione, esprime riserve ed approcci critici. Il che è quanto mai salutare, dopo decenni di feticistico trionfalismo conciliare imposto come pensiero unico. Corrado Gnerre, docente presso l'Università Europera di Roma, ci ha fatto cortesemente avere questo suo contributo. 



Su "Avvenire" del 1° dicembre scorso è comparso un articolo critico di Massimo Introvigne sul recente testo pubblicato da Roberto de Mattei: Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, edito dalla Lindau.

Le accuse che Introvigne muove al libro di de Mattei sono fondamentalmente due: l’autore non avrebbe adeguatamente "separato" i testi conciliari dalla dimensione dell’"evento" Concilio e inoltre l’autore avrebbe rifiutato la cosiddetta ermeneutica della continuità (tanto raccomandata e sollecitata da Benedetto XVI) per sostenere invece un’ermeneutica della rottura.

Per quanto riguarda la prima accusa, Introvigne scrive: "[Roberto de Mattei] conclude che i documenti [del Concilio] fanno parte dell’evento, fuori del quale perdono significato. Ma la teoria sociologica dell’evento non afferma che sia impossibile la distinzione fra un testo e il suo contesto. Se il testo fosse fagocitato dal contesto, il che applicando il metodo del libro potrebbe essere applicato di qualunque documento che si presenta come autorevole, saremmo di fronte a una sorta di strutturalismo, o un’applicazione al Magistero di quelle teorie –pure criticate da de Mattei con riferimento alla Bibbia- che riducono la Sacra Scrittura alla sola redazione e forma, dove ogni brano è smontato e decostruito in un gioco di riferimenti perpetuo." Mi sembra, però, che questo tipo di critica non centri bene la questione, perché se è vero, come dice Introvigne, che un testo può essere separato dal contesto, è pur vero che c’è testo e testo e qualsiasi indagine che voglia davvero dirsi scientifica deve prendere in considerazione anche come il testo in questione è scritto e soprattutto perché è stato scritto. Ora, sembra proprio che i testi conciliari non possano essere separati da una motivazione di fondo, che fu quella non solo di "avvicinarsi" alla modernità, ma anche di rilevare della modernità principalmente il positivo, trascurando la differenza tra il moderno come categoria filosofica e il moderno come semplice sviluppo della tecnica. Quando Introvigne allude alla Sacra Scrittura fa un esempio che non regge, perché essa (la Sacra Scrittura) non è suscettibile di un’interpretazione strutturalista in quanto nella sua stesura vi sono motivazioni secondo cui la Parola debba costituire salvezza del mondo e non viceversa. Dai testi conciliari, invece -come dicevo prima- si evince un intento di recuperare la modernità e di mettersi in ascolto dei segni dei tempi. Insomma, i documenti conciliari, optando per un’impostazione pastorale, utilizzano un tipo di linguaggio che è d’incontro con la modernità; un linguaggio che risente di quella tipica atmosfera degli anni ’60, cioè di fiducia per l’immediato futuro, che oggi è difficilmente proponibile e che la storia degli ultimi decenni ha anche chiaramente smentito. Ed è proprio l’impostazione pastorale di quei documenti che rende difficile ed anche impropria la separazione testo-contesto.

L’altro punto è senza dubbio più complesso ed è quello riguardante l’ermeneutica della continuità. Benedetto XVI lo ha detto chiaramente più volte, ma soprattutto nel famoso discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005: il Concilio Vaticano II deve essere interpretato alla luce della Tradizione di sempre della Chiesa, e quindi non può esserci rottura tra ciò che è stato insegnato prima e ciò che è stato insegnato con questo concilio. La questione però dov’è? Cosa significa davvero ermerneutica della continuità? Ciò che dice il Papa è una constatazione di ciò che era davvero nell’intenzione di tutti i padri conciliari o invece di ciò che non poteva non accadere? Mi spiego meglio: i testi del Concilio sono davvero tutti nella continuità, oppure dobbiamo fare in modo che lo siano perché non può esserci rottura tra gli atti ufficiali del Magistero? Il celebre teologo, monsignor Brunero Gheraradini, decano della Lateranense, afferma nel suo Concilio Vaticano II. Un discorso da fare (Casa Mariana) che l’emerneutica della continuità non può non essere anche ermeneutica teologica. E dal momento che i testi conciliari, per loro stessa ammissione, non sono dogmatici e definitori, si potrebbe anche intervenire su di essi, perlomeno per chiosarli con un documento chiarificatore in maniera che non possa su di essi essere applicata nessuna ermeneutica della rottura. Da qui anche l’auspicio con cui monsignor Gherardini conclude il suo libro indirizzando una supplica al Santo Padre: "Sembra, infatti, difficile, se non addirittura impossibile, metter mano all’auspicata ermeneutica della continuità, se prima non si sia proceduto ad un’attenta e scientifica analisi dei singoli documenti, del loro insieme e d’ogni loro argomento, delle loro fonti immediate e remote […]. A ciò ripensando, da tempo era nata in me l’idea –che oso ora sottoporre alla Santità Vostra- d’una grandiosa e possibilmente definitiva mess’a punto sull’ultimo Concilio in ognuno dei suoi aspetti e contenuti." Insomma, Introvigne dovrebbe capire che la definizione ermeneutica della continuità può essere suscettibile di due possibili interpretazioni: minimalista e massimalista. La minimalista, che afferma la continuità, ma conservando tutto com’è; la massimalista, che afferma ugualmente la continuità, ritenendo però necessario intervenire con un eventuale documento per annotare quelle parti dei testi conciliari che più difficilmente sono armonizzabili con i documenti del magistero precedente. E’ ermeneutica della continuità in entrambi i casi. Infatti, non mi sembra che né il testo di Roberto de Mattei né tantomeno ciò che affermano coloro che vogliono che il dibattito sulla storia e sui documenti del Vaticano II si sviluppi adeguatamente pretendano di cancellare ciò che è avvenuto. Il Concilio Vaticano II è un fatto. Piuttosto da parte di costoro si vuole prendere in considerazione l’opportunità di andare molto più a fondo per capire davvero le cause di un ormai troppo lungo "inverno" della Chiesa. Pur essendo molto conosciute e frequentemente citate, voglio ugualmente ricordare alcune parole di Paolo VI: "Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E’ venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio". Dunque, Paolo VI non evita di citare il Concilio, e ovviamente nessuno giudicherebbe quel papa come un papa anticonciliare. Certamente i segni della crisi erano già prima, ma indubbiamente sono esplosi da quell’"evento".

Rimane poi una questione di non poco conto. Mi sembra che per la prima volta s’invochi da parte del Magistero un’ermeneutica per un atto del Magistero stesso, un atto per giunta pastorale, quindi che ha volutamente utilizzato un linguaggio che sarebbe dovuto essere quanto più possibile chiaro, semplice e aperto a tutti. Già questo dovrebbe far capire che la questione che pone il testo di Roberto de Mattei di andare ad approfondire la storia del Vaticano II per capirlo fino in fondo, sia una questione tutt’altro che irrilevante.


Corrado Gnerre

27 commenti:

  1. Mi beo per la domanda retorica: "i testi del Concilio sono davvero tutti nella continuità, oppure dobbiamo fare in modo che lo siano perché non può esserci rottura tra gli atti ufficiali del Magistero?

    E ci piace che su un quotidiano come Avvenire si siano pubblicate cose del genere: sono segno che ogni tanto si riesce a mettere timidamente in discussione il Superconcilio.

    Al prudentissimo coro dei dubbiosi si unisce spiritualmente, dal sacello, Montini: "Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E’ venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio", dimentico che fu proprio sotto il suo pontificato che in qualche remota cripta Bugnini & sodali danzavano attorno ad un simulacro di Lutero per invocare le nuvole, la tempesta e il buio sulla Chiesa.

    RispondiElimina
  2. Riformulo:

    <span>I testi del Concilio sono davvero tutti nella continuità, oppure dobbiamo fare in modo che lo siano perché non può esserci rottura tra gli atti ufficiali del Magistero?</span>

                       - dobbiamo fare in modo che lo siano, perché sono in palese contraddizione con atti del Magistero infallibile

                                      - se sono in contraddizione con atti del Magistero, la Chiesa ha insegnato l'errore?

                                                           - no, ma di sicuro molti singoli Prelati e sacerdoti hanno insegnato dottrine eterodosse

                                                                                  - e un Papa che favorisce l'indifferentismo religioso, ha insegnato [...]

    RispondiElimina
  3. te la canti e te la suoni!
    MD

    RispondiElimina
  4. Ma è proprio indispensabile occuparsi di ciò che pensa e dice o scrive Introvigne?

    RispondiElimina
  5. concordo con Cesare stendiamo un velo pietoso su quello che ha scritto Introvigne. Sono d'accordo con l'opinione di Gnerre.

    RispondiElimina
  6. Concordo con Cesare e con Rex, anche perché è giusto che qui su Messainlatino non abbia spazio chi si permette di criticare chi critica il Vat. II. Giù le mani da Gherardini e De Mattei, e vogliamo il card. Bartolucci prossimo Papa !

    RispondiElimina
  7. se ne discute, finalmente di questo megaconcilio quo maius cogitari non potest, che stava anche diventando un idolo, confondendo la fede dei semplici da 45 anni ?
    Bene: vuol dire che Dio stesso, Giustizia e Sapienza Infinita non tollera che la Verità venga calpestata o solo oscurata ancora per lungo tempo.
    Si ricomincia a ragionare e a distinguere il Vero dal falso, aprendo gli occhi sulle mistificazioni: non è mai troppo tardi, se Dio vuole.

    RispondiElimina
  8. <span>se ne discute, finalmente di questo megaconcilio quo maius cogitari non potest, che stava anche diventando un idolo, confondendo la fede dei semplici da 45 anni ?  
    Bene: vuol dire che Dio stesso, Giustizia e Sapienza Infinita non tollera che la Verità venga calpestata o solo oscurata ancora per lungo tempo.  
    Si ricomincia a ragionare e a distinguere il Vero dal falso, aprendo gli occhi sulle mistificazioni, da cui  potremo essere liberati, grazie alla Verità: non è mai troppo tardi per fare chiarezza nella densa nebbia che si va dirandando, giorno dopo giorno, se Dio vuole.</span>

    RispondiElimina
  9. Anch'io sono interamente d'accordo con Cesare, Rex, Ospite (1) e Ospite (2), e per comodità (e per chi fosse d'accordo) propongo di considerarmi Ospite (3). Arridatece la sedia gestatoria!!! A quando una bacchettata a chi critica la FSSPX (beninteso, in ossequio al Santo Padre, la cui volontà vera sarebbe di elevare alla porpora mons. Tissier de Mallerais; ma non può per le oscure trame massoniche della Curia modernista) da parte di Gnocchi e Palmaro, con revisione stilistica di Cristina Siccardi e nihil obstat conclusivo dell'abbé du Chalard?

    RispondiElimina
  10. Io sono ospite 4... lo trovo molto ragionevole!

    RispondiElimina
  11. articolo introvigne, editio maior
    http://www.cesnur.org/2010/mi-dema.html

    RispondiElimina
  12. Ancora una volta un'analisi più ragionevole di quella di Introvigne,  la quale però compare sul quotidiano Avvenire...

    RispondiElimina
  13. .........tanto di tutte queste idee...noi fedeli non abbiamo niente.....abbiamo solo una barca...un cola brodo!

    RispondiElimina
  14. In fondo erano e sono tutti marcioniti a Bologna e altrove. Prima del CVII regnava il demiurgo malvagio, e il CVII ha rivelato Cristo. Lutero era marcionita, e ritenne di rivelare il vangelo nascosto per 1500 anni dal Papa-Anticristo. Anche le obiezioni alle preghiere per la conversione degli ebrei ricordano l'odio marcioniano per l'antico popolo di Dio - salvo affermare che questo è un katechon negativo (la Chiesa di Roma lo è positivo) che nella propria pervicacia dà tempo alla Chiesa affinchè converta tutte le genti. Ma ciò che soprattutto bisogna osservare è che qui non si tratta solo di una questione di metodo, ma di una eresia antica che imperversa da quarant'anni. Quasi uscita dalla boccetta in cui i Padri l'avevano ricacciata.

    RispondiElimina
  15. <span>In fondo erano e sono tutti marcioniti a Bologna e altrove. Prima del CVII regnava il demiurgo malvagio, e il CVII ha rivelato Cristo. Lutero era marcionita, e ritenne di rivelare il vangelo nascosto per 1500 anni dal Papa-Anticristo. Anche le obiezioni alle preghiere per la conversione degli ebrei ricordano l'odio marcioniano per l'antico popolo di Dio - salvo affermare che questo è un katechon negativo (la Chiesa di Roma lo è positivo) che nella propria pervicacia dà tempo alla Chiesa affinchè converta tutte le genti (è a questa dottrina, credo risalente a Erik Peterson, che Benedetto XVI fa riferimento. Ma gli altri sono marcioniti anche in simili affermazioni!). Ma ciò che soprattutto bisogna osservare è che qui non si tratta solo di una questione di metodo, ma di una eresia antica che imperversa da quarant'anni. Quasi uscita dalla boccetta in cui i Padri l'avevano ricacciata.</span>

    RispondiElimina
  16. Beh, intanto speriamo che De Mattei la smetta di scrivere il suo cognome col "de" minuscolo, come se fosse di famiglia nobile (non lo è, ma i pliniani gli hanno messo in testa che bisogna essere aristocratici; per inciso, alcuni pliniani nostrani trescano con elementi massonici, quelli non di sinistra, con la scusa che "tanto anche i massoni credono che Dio esiste"). Gnerre è un dematteiano, dunque il suo intervento non sembra disinteressato, ma è anche una degna persona, e il suo commento è acuto. Meriterebbe davvero di essere pubblicato su "Avvenire", ma credo che la CEI purtroppo non prenda sul serio De Mattei e compagnia bella (mentre magari prende sul serio gli articoli di Cacciari).

    RispondiElimina
  17. Il punto centrale è che la la cosiddetta "ermeneutica della continuità" non va solo affermata, ma va anche dimostrata. Fino a quando questa dimostrazione, approfondita e articolata in relazione alla diversificata aurorità dei documenti conciliari, non ci sarà (e questo è l'auspicio non solo di de Mattei, ma anche di un Gherardini), i dubbi saranno legittimi, considerata, e non è è argomento da poco, la natura "pastorale" e non dogmatica del Concilio. L'opera di de Mattei, così ingenerosamente attaccata da Introvigne, pone ben in luce la genesi e lo sviluppo delle dinamiche che portarono alla pubblicazione di documenti quantomeno discutibili, almeno in alcune loro parti, alla luce della Tradizione. Nonostante de Mattei, con apprezzabile understatement dichiari di porgersi come storico e non come teologo, il suo testo mi sembra che abbia un notevole valore valore anche teologico.  

    RispondiElimina
  18. Il Vaticano II ha certamente dato adito a diverse interpretazioni del magistero per via di una certa (voluta o non voluta?) ambiguità. Ma ricordiamoci che nel Concilio c'è scritto, ad esempio, che il canto gregoriano è il canto della Chiesa romana e che a parità di condizioni gli si riservi il primo posto; e ricordiamoci che i preti che si scagliano con odio contro gli odiati tradizionalisti parlano di una fantomatica abolizione del latino, come don Vigani dalle colonne di Gente Veneta (come abbiamo avuto modo di vedere), quando dice che chi vuole la Messa in latino rifiuta il Concilio per definizione.
    Quindi l'ermeneutica della continuità ha ragione d'essere; secondo me il papa non ha sbagliato quel giorno di dicembre del 2005.
    E' la stragrande maggioranza dei preti di oggi, filo-comunisti, che ha fatto proprio il concilio, dicendo cose che non sono vere; con l'abilità, propria dei comunisti, di farcire di falsità i più ignoranti solo perché non ne sanno quanto loro. Perché questi preti odiano i tradizionalisti? Perché li temono, sanno che costoro (almeno la maggior parte, da quanto ho modo di leggere anche qui), al contrario di tali preti, si sono letti le carte del concilio. Dunque è meglio zittirli ed esiliarli in qualche eremo derelitto.

    RispondiElimina
  19. Nobis quoque peccatoribus11 dicembre 2010 alle ore 00:43

    Per un'eterogenesi dei fini il termine Concilio e' stato fatto coincidere con la conciliazione della Chiesa col mondo (allocuzione di chiusura di Paolo VI). Mentre i 20 Concili precedenti avevano definito verita' e condannato errori per la salvezza delle anime senza preoccuparsi di quel che avrebbero scritto i giornali.

    FdS

    RispondiElimina
  20. <span>"... Tuttavia, anche se l’errore in materia di Fede e di Morale dev’essere formalmente escluso dalle possibilità di un concilio autentico, nessuno per principio può escluderne qualche formulazione meno felice e perfino non totalmente in linea con quelle delle veneranda Tradizione ecclesiastica. </span>
    <span>Ciò si verifica quando si tentano strade nuove, ammaliati dalla sirena delle novità e del progresso. È, poi, da tenere nella dovuta considerazione la natura di ogni singolo concilio ecumenico unitamente alle sue finalità immediate. </span>
    <span>Se a tutti i concili si deve religioso rispetto e generosa adesione, non ne segue che ognuno abbia una medesima efficacia vincolante. Quella di un Concilio rigorosamente dogmatico non si mette nemmeno in discussione: dipende dalla sua infallibilità e irreformabilità e vincola pertanto la Chiesa intera in ogni sua componente. È del pari evidente l’assenza di <span>una </span>tale efficacia in un concilio non rigorosamente dogmatico. Quelli strettamente disciplinari, riformistici o legati alle contingenze dell’epoca possono pure ricollegarsi con indiscussi dogmi di fede, non per questo assurgendo alla dignità di concili dogmatici. Quando poi un concilio presenta se stesso, il contenuto e la ragione dei suoi documenti sotto la categoria della pastorale autoqualificandosi come pastorale, esclude in tal modo ogni intento definitorio.</span>
    <span> Esso, perciò, non può pretendere la qualifica di dogmatico, né altri possono conferirgliela. Nemmeno se, al suo interno, risuoni qualche appello ai dogmi del passato e sviluppi un discorso teologico. </span>
    <span>Teologico non è necessariamente sinonimo di dogmatico. È questa la ratio che guidò, dall’inizio alla fine, il Vaticano II. </span>
    <span>Chi, citandolo, lo equipara al Tridentino e allo stesso Vaticano I, accreditandogli un<span> </span>forza normativa e vincolante che di per sé non possiede, compie un illecito e in ultima analisi non rispetta il Concilio. </span>
    <span>Se, poi, l’esaltazione ha per oggetto una<span> </span>reinterpretazione riduttiva di verità appartenenti al patrimonio dogmatico cattolico e queste passino al vaglio di esigenze estrinseche all’analogia della Fede (Rm 12,6), spogliate del loro stridente contrasto con essa, annacquate secondo attese e simpatie ad essa estranee – quelle per esempio del “dialogo” – allora la stessa categoria della pastoralità vien adulterata e la definizione di “dogmatico” diventa un assurdo.</span>
    <span>(da Brunero Gherardini: "Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare", Frigento (AV), Casa Mariana Editrice, 2009, pp.22-23)</span>
    --------------
    Il CVII non  ha nessuna efficacia vincolante.
    La qualifica di teologico non è equivalente a quella di dogmatico.
    Non è affatto lecito perciò equipararlo al C. Tridentino o al Vaticano I.

    RispondiElimina
  21. No, salvo quando Avvenire gli offre un palcoscenico per stroncare in anteprima un libro cattolico, scritto da un cattolico, non in linea con il pensiero che deve restare dominante.

    RispondiElimina
  22. Ospite 4 trova ospite 3 "ragionevole", bene bene, salvo che i numeri 3 e 4 sono una sola e unica persona...le maglie di certi provocatori perditempo sono molto larghe, il commento delle 19:05 ne è un esempio, invito la REDAZIONE a non lasciare spazio a questi commenti che non contribuiscono di certo alla serietà del blog, il loro solo intento è di screditare e il blog e chi vi scrive.

    RispondiElimina
  23. Luisa, Avvenire, il quotiiano della CEI (che nel 2008 ha introitato grazie all'8x1000 1 miliardo e 2 mln di euro destinati dagli ingenui contrinuenti alla "Chiesa Cattolica") NON E' un giornale cattolico ma, come si autodefinisce, "di ispirazione cattolica" e riceve finanziamenti pubblici, in base alla legge sull'editoria ammontanti a svariati milioni di euro ogni anno (nel 2007 6.174.758,70 €). Il fatto che offra un palcoscenico all'emerito Introvigne dovrebbe costituire (per noi cattolici) un motivo in più per ignorarlo.

    RispondiElimina
  24. Luisa, Avvenire, il quotiiano della CEI (che nel 2008 ha introitato grazie all'8x1000 1 miliardo e 2 mln di euro destinati dagli ingenui contrinuenti alla "Chiesa Cattolica") NON E' un giornale cattolico ma, come si autodefinisce, "di ispirazione cattolica" che, come riportato da wikipedia "...si muove nel rispetto della dottrina della Chiesa cattolica ma in piena autonomia dalla gerarchia: infatti può prendere una sua posizione "per difendere e sostenere valori sulla base di motivazioni umane, morali, solide e profonde" ("Linea del Quotidiano dei cattolici italiani Avvenire", 14 febbraio 1970)...) e riceve finanziamenti pubblici, in base alla legge sull'editoria ammontanti a svariati milioni di euro ogni anno (nel 2007 6.174.758,70 €). Il fatto che offra un palcoscenico all'emerito Introvigne dovrebbe costituire, per noi cattolici, un motivo in più per ignorarlo.

    RispondiElimina
  25. A prescindere dal fatto che il "de" minuscolo nel cognome assolutamente non vale ad indicare alcun tipo di "status" nobiliare, ricorderei al gentile Igino che Umberto II conferì all' avv.Rodolfo de Mattei (suo consuletnte legale e padre del Prof. de Mattei) il titolo di barone appoggiato sul cognome, con trasmissibilità primogenitale: pertanto il Prof. Roberto de Mattei, si trova ad essere, araldicamente parlando, anche il barone Roberto de Mattei.  

    RispondiElimina
  26. <span>A prescindere dal fatto che il "de" minuscolo nel cognome assolutamente non vale ad indicare alcun tipo di "status" nobiliare, ricorderei al gentile Igino che Umberto II conferì all' avv. Rodolfo de Mattei (suo consulente legale e padre del Prof. de Mattei) il titolo di barone appoggiato sul cognome, con trasmissibilità primogenitale: pertanto il Prof. Roberto de Mattei, si trova ad essere, araldicamente parlando, anche il barone Roberto de Mattei. </span>

    RispondiElimina