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domenica 20 dicembre 2009

Echi (anti)tridentini: il modernista Fogazzaro

Campagna nei pressi di Subiaco. Esterno notte. Affranto, piangente, un uomo che si fa chiamare Benedetto trascorre all’aperto ore di preghiera disperata, aggredita e travolta da tentazioni antiche e nuove. Crolla svenuto mentre un acquazzone improvviso si abbatte su di lui, con violenza. 
 «Il suo corpo giaceva immobile nel vento del temporale, come un tronco schiantato, fra il dibattersi delle ginestre e il mareggiare dell’erba. L’anima dovette chiudersi nel contatto centrale con l’Essere senza tempo e senza spazio, perché Benedetto, al primo ritorno della coscienza, non ebbe senso né del luogo né dell’ora. Sentiva una levità strana delle membra, una spossatezza fisica piacevole, una infinita dolcezza interna; prima sul viso, poi sulle mani tanti minuti titillamenti come di animati atomi amorosi dell’aria: teneri sussurri di voci timide intorno a quello che gli pareva il suo letto. Si rizzò a sedere, guardò smarrito ma in pace; dimentico del dove e del quando, ma tanto in pace, tanto contento della quieta fonte interna di un indistinto amore che gli fluiva in tutti i vasi della vita e se ne spandeva per le cose intorno, per le dolci piccole vite fatte amorose a lui. Sorridendo fra sé del suo proprio smarrimento, riconobbe il dove e il come. Il quando, no. Neppure ne sentì desiderio, neppure si domandò se dalla caduta fossero trascorse ore o minuti, tanto lo appagava il beato presente. Il temporale era disceso verso Roma. Nel mormorio della pioggia senza vento, piana piana, nella voce grande dell’Aniene, nella riposata maestà dei monti, nell’odore selvaggio della petraia umida, nello stesso proprio cuore, Benedetto sentiva un Divino confuso alla creatura, un’ascosa essenza di paradiso. Sentiva di fondersi con le anime delle cose come piccola voce in un coro immenso, di essere uno con la montagna odorante, con l’aria beata. E così sommerso nel mare della paradisiaca dolcezza, abbandonate le mani sulle ginocchia, socchiusi gli occhi, blandito dalla pioggia piana piana, godeva non senza un vago desiderio che tanta soavità fosse conosciuta dalla gente che non crede, dalla gente che non ama. Nel declinare del rapimento gli ritornarono a mente i perché della presenza sua sul monte deserto nelle tenebre della notte, e le incertezze del domani, e Jeanne, e l’esilio dal monastero.»

  Antonio Fogazzaro (1842-1911, nella foto) è, dopo Manzoni, il più grande scrittore cattolico italiano dell’Ottocento; è anticipatore e maestro del Decadentismo: slanci, languori, spiritualità intensa animata e segnata da istanze veriste, tentazioni evoluzioniste, misticismi e spiritismi. Il romanzo che stiamo rileggendo è Il Santo, edito nel 1905: il terzo di una tetralogia che dopo Piccolo mondo antico (1895) e Piccolo mondo moderno (1901) si concluderà con Leila (1911).

  Piero Maironi, che la drammatica morte della moglie e un sogno in forma di visione mistica hanno avviato a una conversione religiosa intensa e totale, scompare dal mondo, rifugiandosi col nome di Benedetto nel monastero di Subiaco, dove esercita il mestiere di giardiniere e si prepara alla propria missione macerandosi in digiuni, privazioni, sofferenze. La sua ex-amante, Jeanne Dessalle, non solo non è riuscita a dimenticarlo ma dedica l’esistenza a cercarlo, vuol parlare, spiegare, sperare, aggrapparsi a ogni possibile o impossibile illusione. La missione cui Benedetto si sente vocato attiene a una riforma complessiva del cattolicesimo, un “aggiornamento” della dottrina, della morale, della prassi e dell’organizzazione ecclesiale. Da Subiaco a Jenne e fino a Roma, ovunque appaia si pone con umiltà e dedizione al servizio della gente, che parla di lui come di un “Santo”, un taumaturgo, un guaritore persino. Jeanne riuscirà a trovarlo, ma non a strapparlo alla vocazione. Solo la morte saprà interrompere il progetto riformatore, contro cui nulla hanno potuto, variamente coalizzati, i potenti di questo mondo: ministri atei e massoni, vescovi e cardinali violentemente immobilisti e conservatori. Il progetto riformatore di Benedetto non è pura invenzione letteraria. Seguace di Antonio Rosmini, corrispondente di Romolo Murri, Antonio Fogazzaro, da tempo e consapevolmente, sfiora e accarezza l’eresia modernista. Il Santo ne è chiara testimonianza.
*
Notte buia, in Vaticano. Al di là del Portone di bronzo, al di là del cortile di San Damaso, silenzio e circospezione, parole d’ordine segrete, itinerari misteriosi, un accompagnatore che appare e scompare; il “santo”, perduto fra scalini angusti e immensi corridoi, avanza a tentoni nell’oscurità, fidente in Dio e nella propria coscienza, attraverso la quale Dio comunica e indirizza e guida. A tentoni, spinge una porta e là è il Santo Padre, che lo attende e interroga e ascolta e benedice: «Santo Padre» - dice Benedetto: «la Chiesa è inferma. Quattro spiriti maligni sono entrati nel suo corpo per farvi guerra allo Spirito Santo. Uno è lo spirito di menzogna (...), si trasfigura in angelo di luce e molti pastori, molti maestri della Chiesa, molti fedeli buoni e pii ascoltano devotamente lo spirito di menzogna credendo ascoltare un angelo. (...) Adoratori della lettera, vogliono costringere gli adulti a un cibo d’infanti che gli adulti respingono, non comprendono che se Dio è infinito e immutabile, l’uomo però se ne fa un’idea sempre più grande di secolo in secolo e che di tutta la Verità Divina si può dire così. (...) Se il clero insegna poco al popolo la preghiera interiore che risana l’anima quanto certe superstizioni la corrompono, è per causa del secondo spirito maligno che infesta la Chiesa (...) Questo è lo spirito di dominazione del clero. A quei sacerdoti che hanno lo spirito di dominazione non piace che le anime comunichino direttamente e normalmente con Dio per domandarne consiglio e direzione. (...) Ma le vogliono dirigere essi in qualità di mediatori e queste anime diventano fiacche, timide, servili. (...) Il terzo spirito maligno che corrompe la Chiesa (...) è lo spirito di avarizia. (...) Non è opera di un giorno ma si prepari il giorno e non si lasci questo cómpito ai nemici di Dio e della Chiesa, si prepari il giorno in cui i sacerdoti di Cristo dieno l’esempio della effettiva povertà, vivano poveri per obbligo come per obbligo vivono casti (...) saranno pochi ma la luce del mondo. (...) Il quarto spirito maligno è lo spirito d’immobilità. (...) Anche i cattolici, ecclesiastici e laici, dominati dallo spirito d’immobilità credono piacere a Dio come gli ebrei zelanti che fecero crocifiggere Cristo. Tutti i clericali, Santità, anzi tutti gli uomini religiosi che oggi avversano il cattolicismo progressista, avrebbero fatto crocifiggere Cristo in buona fede, nel nome di Mosè. Sono idolatri del passato, tutto vorrebbero immutabile nella Chiesa, sino alle forme del linguaggio pontificio (...)» «Una mano lo toccò lievemente sulla spalla. Trasalì e aperse gli occhi. Era il Papa e il suo viso diceva come avesse finalmente maturate nel pensiero parole che lo appagavano. (...) “Figlio mio, disse Sua Santità: alcune di queste cose il Signore le ha dette da gran tempo anche nel cuore mio. Tu, Dio ti benedica, te la intendi col Signore solo; io devo intendermela anche cogli uomini che il Signore ha posto intorno a me perché io mi governi con essi secondo carità e prudenza; e devo sovratutto misurare i miei consigli, i miei comandi, alle capacità diverse, alle mentalità diverse di tanti milioni di uomini. Io sono un povero maestro di scuola che di settanta scolari ne ha venti meno che mediocri, quaranta mediocri e dieci soli buoni. Egli non può governare la scuola per i soli dieci buoni e io non posso governare la Chiesa soltanto per te e per quelli che somigliano a te. (...) E poi sono vecchio, sono stanco, i cardinali non sanno chi hanno messo qui, non volevo. Sono anche ammalato, ho certi segni di dover presto comparire davanti al mio Giudice. Sento, figlio mio, che tu hai lo spirito buono ma il Signore non può volere da un poveruomo come me le cose che tu dici, cose a cui non basterebbe neppure un Pontefice giovine e valido. Però vi sono cose che anch’io, con il Suo aiuto, potrò fare; se non le cose grandi, almeno altre cose. Le cose grandi preghiamo il Signore che susciti chi a loro tempo le sappia fare e chi sappia bene aiutare a farle”. (...) Sua Santità prese tacendo una mano di Benedetto, la chiuse fra le sue, gli fece intendere con quella muta stretta sensi e consensi trattenuti dalla bocca prudente. La strinse, la scosse, l’accarezzò, la strinse ancora, disse finalmente con voce soffocata: “Prega per me, prega che il Signore m’illumini”.»
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Fra le tante osservazioni che verrebbero spontanee, mi piace proporne due: primo, il numero di alunni per classe era proprio incredibilmente alto, cent’anni fa; secondo, perbacco quanto sbagliava Fogazzaro nel rappresentare un romano pontefice stanco, rassegnato e cripto-simpatizzante per l’eresia modernista! Il sommo pontefice regnante era, in quel 1905, san Pio X. Il successo di pubblico del romanzo fu clamoroso: traduzioni in tutta Europa e non solo, polemiche, recensioni entusiastiche, stroncature. Il 5 aprile 1906 Roma parlò: Il Santo fu inserito nell’Indice dei libri proibiti. Con una lettera al marchese Crispolti pubblicata sul quotidiano cattolico “L’Avvenire d’Italia” il 21 aprile successivo, Fogazzaro fece pubblica ammenda inchinandosi all’autorità ecclesiastica. Poco più di un anno dopo, il modernismo e i suoi seguaci venivano individuati e condannati ex cathedra con l’enciclica “Pascendi Dominici Gregis”, firmata da Pio X l’8 settembre 1907. [Nota 1: l’atto di sottomissione di Antonio Fogazzaro non piacque al potere politico e culturale dominante: qualcuno fece osservare che con la lettera al Crispolti lo scrittore si era reso indegno di svolgere un ruolo pubblico nel Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione; si ebbero manifestazioni studentesche anticattoliche; l’eco della polemica raggiunse anche la Camera dei Deputati.] [Nota 2: il lupo perde il pelo, con tutto ciò che segue: anche il romanzo successivo di Fogazzaro, Leila, fu condannato dalla Chiesa e messo all’Indice.] [Nota 3: prima di morire lo scrittore si pentì e ricevette i Sacramenti.] [Nota 4: Il Santo è oggi nel catalogo degli Oscar Mondadori; ma il testo integrale - di questa come di tutte le altre opere importanti di Fogazzaro - è scaricabile liberamente in Internet dal sito www.liberliber.it/biblioteca/f/fogazzaro/index.htm]
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E gli echi tridentini? Non ce n’è. Nulla, zero via zero. Nessun riferimento al rito tridentino, ma nessun riferimento ad altro rito quale che sia. In un romanzo in cui in una pagina sì e nell’altra pure i personaggi parlano di Dio, comunicano con Dio, cercano, fuggono, pregano, invocano lo Spirito divino, se ne imbevono, si inchinano e stramazzano ai Suoi piedi, Lo vedono in sogno, ad occhi aperti e ad occhi chiusi, ebbene: niente liturgia, nessuna citazione dal rito della Messa, né dell’Ufficio divino, niente formule sante, né in latino né in vernacolo. In un romanzo che è una sorta di manifesto del modernismo di cent’anni fa, oh via, anche questo silenzio assordante è una notizia. Va detto che i modernisti del giorno d’oggi appaiono, in confronto, molto ma molto più astuti.
Giuseppe

4 commenti:

  1. Professore di Lettere e Filosofia20 dicembre 2009 alle ore 15:58

    Meglio che ci rida su.

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  2. E se, dopo esserti ripreso dalla ridarola, con tuo comodo provassi a far ridere (o piangere) anche noi?

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  3. Quando frequentavo io le elementari, le classi di 60 o 50 ragazzi non eran poche! Ed eravamo dei diavoli scatenati da tener a bada a furia di ceffoni e bacchettate.

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  4. E pensare che nel Suo Epistolario l'Autore scrisse che fanciullo si preparava a ricevere la Comunione in occasione dell'Immacolata sin dai primi di Novembre perche' ribadiva , oramai giunto alla maturita', che i frutti d'una buona Comunione dipendono da una lunga e profonda preparazione.

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