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venerdì 30 gennaio 2009

Mons. Barreiro: "i lefebvriani non dovranno ingoiare il Concilio"

Il titolo di questo post è tratto da un lungo e interessantissimo articolo di Brian Mershon, in The Remnant. Pubblichiamo di seguito, e per riassunto, un excerptum dell’articolo.


Fonti vaticane indicano che la piena regolarizzazione della Fraternità potrebbe avvenire già il 2 febbraio 2009, Festa della Purificazione di Nostra Signora e Candelora; il che, se fosse vero, sarebbe un regalo di Natale per la Chiesa e specialmente per i tradizionalisti cattolici di tutto il mondo [per il calendario tradizionale, ricordiamo, fino al 2 febbraio siamo ancora in periodo natalizio. Che si possa arrivare alla regolarizzazione così presto ci sembra francamente inverosimile: è appena stata concessa la seconda condizione preliminare, la revoca delle scomuniche, che secondo la Fraternità avrebbe dovuto precedere, insieme alla liberalizzazione della Messa tridentina, l’inizio di colloqui "teologici" che, secondo il vescovo Tissier de Mallerais, sarebbero durati anche trent’anni. Che bastino solo dieci giorni...]
Mons. Ignacio Barreiro, non ha confermato la data del 2 febbraio, ma ha detto che una fonte curiale gli ha detto che stanno al momento lavorando solo sugli accorgimenti pratici per una Fraternità di S. Pio X pienamente regolarizzata.
La soluzione finale "non potrà dipendere dalla volontà del singolo vescovo diocesano", ha detto mons. Barreiro, considerando le lunghe sofferenze che molti tradizionalisti hanno sperimentato dai vescovi per quasi 20 sotto l’indulto Ecclesia Dei Adflicta.
"Loro certamente hanno bisogno di avere garanzie che dove attualmente sono, non possano essere disturbati dal vescovo locale", ha detto Barreiro, rilevando che le cappelle della Fraternità sono in tutto il mondo, e descrivendole come parrocchie di fatto. Barreiro giustamente ha aggiunto che i vescovi della Fraternità non accetterebbero molto probabilmente alcuna soluzione che comportasse una giurisdizione del locale Ordinario territoriale.
In effetti, una resistenza specifica è prevalente nelle morenti chiese di Francia, con i loro vescovi e preti. Con la regolarizzazione finale, Mons. Barreiro ha detto, "più di un terzo di tutti i seminaristi i Francia saranno in seminari tradizionali". Questi includono la Fraternità S. Pio X, la Fraternità S. Pietro, l’Istituto del Buon Pastore e l’Istituto di Cristo Re, insieme ad altri minori gruppi sacerdotali tradizionalisti.
"Io mi aspetto che qualche struttura come una Amministrazione Apostolica universale possa essere l’unica soluzione", ha detto mons. Barreiro, pur avvertendo di non avere accesso diretto a dettagli specifici.
Parecchi articoli sull’annullamento delle scomuniche della Fraternità contengono in questi giorni specifici commenti di vescovi che insistono sulla necessità che i vescovi della Fraternità aderiscano esplicitamente in qualche modo al Concilio Vaticano II. Comunque, Mons. Barreiro ritiene che sia sufficiente un esplicito riconoscimento dell’autorità del S. Padre e del magistero della Chiesa.
"Non sarà loro richiesto di accettare il Concilio" dice mons. Barreiro, "Non c’è niente di dogmatico concernente fede e morale nei documenti del Concilio. Molti hanno elevato il Concilio come se fosse un superdogma quando, in realtà non fu dogmatico per niente".
Le prospettive di Mons. Barreiro e Fellay trovano corripondenza con l’allocuzione del Card. Ratzinger ai Vescovi del Cile nel 1988:


Certamente, c’è una mentalità ristretta che isola il Vaticano II e che ha provocato questa opposizione. Ci sono molti aspetti che danno l’impressione che, dal Vaticano II in poi, tutto sia stato cambiato, e che quanto lo ha preceduto non abbia valore o, al massimo, abbia valore solo nella luce del Vaticano II. Il Concilio Vaticano Secondo non è stato trattato come parte dell’intera Tradizione vivente della Chiesa, ma come una fine della Tradizione, una nuova partenza da zero. La verità è che questo particolare Concilio non ha definito alcun dogma, e deliberatamente scelse di rimanere su un livello modesto, come un concilio meramente pastorale; e nondimeno molti lo trattano come se esso si fosse considerato come una sorta di superdogma, che porta via l’importanza di tutto il resto.
Questa idea è resa più forte dalle cose che stanno accadendo. Quanto prima era considerato più sacro – la forma in cui la liturgia era stata trasmessa – improvvisamente appare la più proibita di tutte le cose, la sola cosa che può essere proibita in sicurezza. E’ intollerabile criticare decisione che sono state prese dopo il Concilio; ma dall’altra parte, se le persone
mettono in questione le antiche regole, o persino le grandi verità della Fede – per esempio, la virginità corporale di Maria, la resurrezione corporea di Gesù, l’immortalità dell’anima, ecc. – nessuno si lamenta o lo fa con la più grande moderazione.


Nella lettera ai Vescovi di Papa Benedetto che accompagna il motu proprio, il Papa scrisse quanto segue che, a ben vedere, è un importante ma trascurata parte del documento. Parte di questo testo corrisponde significativamente al citato documento ai vescovi cileni:



Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.



Nel muoverci speditamente verso la piena regolarizzazione canonica della Fraternità, in qualsiasi forma ciò avvenga, notiamo che il precedente è già stato dato, recentemente, dall’Istituto del Buon Pastore, ai cui preti è stato concesso di continuare a lavorare sui punti teologici discussi dei documenti del Concilio Vaticano II, in buona fede ed evitando pubblici rancori, nel cuore della Chiesa.
In altri termini, non ci sarà richiesta per la leadership lefebvriana di accettare il "Decreto sulle Comunicazioni Sociali" come un documento infallibile e dogmatico.
E, nonostante le ruminazioni di certi vescovi, cardinali (come il Card. Kasper), preti, nemmeno sarà richiesto di accettare il Decreto sull’Ecumenismo, la Dichiarazione sulla Libertà Religiosa, Nostra Aetate o perfino Lumen Gentium e Dei Verbum come dichiarazioni dogmatiche che possono stare in piedi da sole senza essere lette alla luce della Tradizione.
Il Papa lo ha reso chiaro nel suo discorso del 22 dicembre 2005. La "ermeneutica della continuità" non consente di interpretare il Concilio in alcun altro modo che "alla luce della Tradizione". E certo, i tradizionalisti non dovrebbero esagerare il grado di autorità vincolante che assiste i documenti conciliari. Se c’è errore o imprecisione allora ci può e deve essere correzione. E noi ora abbiamo un papa che è in grado di disporre quella correzione. Su quali basi può un cattolico tradizionale obiettare a ciò? Speculazione teologica su punti discussi e oscuri in uno spirito di carità e senza polemiche e rancori aiuterà le future generazioni a comprendere la verità cattolica.
Preghiamo che i teologi, preti e vescovi della S. Pio X, come quelli dell’Istituto del Buon Pastore, della S. Pietro e di Cristo Re, esercitino influenza considerevole in questo campo. E se ci fossero punti nel Concilio che non possono essere interpretati alla luce della Trazione, allora, ovviamente, dovranno essere esposti ed espunti. Di nuovo, su quali basi un cattolico tradizionale potrebbe obbiettare?

2 commenti:

  1. Sorvolando su "Decreti" e "Dichiarazioni" e perfino "Costituzioni Pastorali" che sono documenti segnati dal tempo e possono invecchiare, non possiamo però transigere sull'accettazione piena, secondo la lettera interpretata dalla "analogia fidei" delle due "Costituzioni Dogmatiche" Lumen Gentium e Dei Verbum. Infatti hanno lo stesso peso dogmatico delle Costituzioni del Vaticano I Pastor Aeternus e Dei Filius che il Vaticano II intendeva completare e integrare.

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  2. ma su quali basi i tradizionalisti possono ergersi a giudici di un concilio ecumenico formato da tutti i vescovi cattolici e che ha a capo il papa? questo, ancor prima che un problema di accettazione o meno di alcuni documenti, è un problema ecclesiologico serio. Essi credono di aver custodito la Tradizione, a differenza del resto della Chiesa dal Vaticano II in poi. La hybris di questa mentalità sottesa alle loro richieste fa spavento.

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