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mercoledì 3 dicembre 2025

Masciullo\The European Conservative. Messainlatino "Libertà di Religione vs Big Tech"

Ancora sulla rimnozione del nostro blog.
"L’impersonalità dei grandi operatori digitali genera un vuoto di responsabilità che entra in conflitto con i diritti fondamentali sanciti dall’Unione Europea".
Luigi Casalini

Gaetano Masciullo, Dec 01, 2025

This is the Italian translation of the article published in The European Conservative, November 19, 2025.

La vicenda che ha travolto nell’estate del 2025 una delle più importanti voci del mondo cattolico conservatore in Italia, ossia il blog Messainlatino.it, rimane uno dei segnali più eloquenti delle fragilità etiche che affliggono l’attuale ecosistema digitale.
Il blog era stato oscurato per dodici giorni da Google-Blogger con l’accusa generica di “hate speech”. Fu privato senza preavviso del proprio spazio pubblico, nonostante l’attenzione e la cura dei redattori nel bilanciare la piena conformità dei contenuti alla dottrina cattolica e il rispetto massimo dovuto alle persone.

La rimozione improvvisa — avvenuta dopo la pubblicazione di una lettera di mons. Strickland contro il diaconato femminile, dopo una serie di segnalazioni da parte di hater e nel clima già teso seguito alle rivelazioni sul dossier di Summorum Pontificum — mise in luce quanto facilmente un algoritmo possa diventare strumento di ingiusta censura, specie quando il giudizio quantitativo prevale sulla valutazione dei fatti. The European Conservative se n’era occupato qui.

Oggi, però, lo scenario è cambiato. Dopo tre mesi di battaglia legale, i curatori del sito hanno ottenuto piena ragione in tribunale: Google è stato ritenuto responsabile di aver violato la libertà di espressione e di religione dei redattori, ed è stato condannato a pagare le spese processuali, aprendo così una pagina nuova nella tutela dei contenuti confessionali online. Questa vittoria non solo restituisce onore a una voce fedele alla Tradizione cattolica, ma segna l’inizio di sviluppi più ampi, destinati a incidere sul rapporto tra piattaforme digitali e comunità cristiane che desiderano mettersi al servizio della verità con franchezza.

Non bisogna, infatti, dimenticare che la vicenda di MIL non è un’eccezione, non è una querelle marginale nata su un post equivoco, ma il sintomo della più larga falla di un sistema censorio completamente delegato a un algoritmo da parte di una Big Tech, quasi per definizione spersonalizzata. Non è un caso che l’iniqua censura sia stata denunciata sia a livello nazionale, con un’interrogazione parlamentare da parte della deputata italiana Maddalena Morgante, e a livello europeo, con un’analoga interrogazione da parte dell’eurodeputato italiano Paolo Inselvini.

Detto ciò, come dichiarato dal volto pubblico del blog in questione, ossia Luigi Casalini, in una recente intervista, il caso MIL è destinato a fare scuola. Sono già diverse le riviste specialistiche che hanno chiesto di studiare e analizzare a fondo la vicenda giudiziaria per trarre conclusioni utili sia per gli studiosi di governance digitale sia (forse soprattutto) per i legislatori.

Il caso si è configurato anzitutto come una violazione procedurale rilevante nel quadro del Digital Services Act, il nuovo regolamento europeo sui servizi digitali. L’oscuramento del blog, avvenuto l’11 luglio 2025, era stato eseguito senza alcuna motivazione specifica, in aperto contrasto con l’obbligo di notice-and-action previsto dalla legge europea, secondo il quale la decisione di limitare o rimuovere contenuti online, in seguito a segnalazioni da parte di utenti o individuazioni da parte dell’algoritmo, deve essere comunicata all’utente interessato con motivazioni chiare e precise, oltre che con la possibilità di ricorso.

Nella fattispecie, Google non avrebbe indicato il contenuto contestato, non avrebbe attivato un processo di revisione umano e avrebbe delegato l’intera decisione a un algoritmo, come dimostrato dall’e-mail senza firma ricevuta dai gestori del sito. Questo elemento rappresenta il punto di frizione più evidente con i principi di trasparenza e responsabilità che l’Unione Europea vorrebbe imporre a ciò che si è soliti definire come VLOP - Very Large Online Platforms.

Si aggiunga poi la difficoltà riscontrata dai redattori nel trovare un referente territoriale competente — tra Italia, Irlanda e Stati Uniti — che ha ulteriormente evidenziato le attuali criticità dell’architettura europea di “sovranità digitale”, ancora incapace di garantire un’interlocuzione effettiva e immediata tra utenti e grandi operatori extra-europei.

La pronuncia del tribunale italiano, che ha dato ragione al blog, dovrebbe segnare un punto di svolta per la retta comprensione della libertà di espressione e della libertà religiosa nell’odierno mondo della moderazione algoritmica digitale. Il giudice, infatti, ha riaffermato la prevalenza del diritto fondamentale alla libera manifestazione del proprio pensiero su decisioni automatizzate prive di motivazione, riconoscendo che un intervento censorio senza indicazione puntuale del contenuto contestato non può essere ritenuto conforme né al DSA né ai principi generali dell’ordinamento europeo.

La reintegrazione immediata del blog costituisce un’applicazione esemplare del principio di proporzionalità: quando la misura restrittiva è adottata senza adeguata base fattuale, la riparazione dev’essere piena, tempestiva e non condizionata da procedure interne opache. L’ordine imposto a Google di sostenere le spese processuali ribadisce che la responsabilità del provider non è solo tecnica, ma giuridica e istituzionale: le piattaforme, soprattutto quando designate come VLOP, rispondono concretamente degli effetti delle proprie scelte sullo spazio pubblico europeo. Non bisogna, infatti, dimenticare che questi errori dell’algoritmo potrebbero causare, in altre circostanze, danni economici significativi.

L’impersonalità dei grandi operatori digitali produce un vuoto di responsabilità che si traduce in una tensione diretta con i diritti fondamentali sanciti dall’Unione Europea. Nel nostro caso, la censura è stata attivata - almeno in base a quanto chiarito da Google in sede processuale - da una combinazione di fattori: segnalazioni coordinate da parte di utenti ostili, un algoritmo incapace di distinguere tra dottrina religiosa e incitamento all’odio, e un’interpretazione automatica di termini che fuori dal loro contesto culturale, ancor prima che testuale, possono risultare fuorvianti.

Questo episodio evidenzia con chiarezza come il confine tra moderazione privata e norme pubbliche europee resti oggi giuridicamente fragile, lasciando spazio a interventi arbitrari che possono incidere direttamente sulla libertà di espressione e religiosa.

La vicenda MIL mette in luce la necessità urgente, da parte dei legislatori europei e nazionali, di definire in maniera chiara i limiti dell’hate speech religioso. Chi ha oggi l’autorità formale di determinare cosa costituisca hate speech in Europa? Appare evidente la necessità di avviare in Europa un processo di standardizzazione normativa, capace di delimitare con precisione il confine tra l’insegnamento dottrinale, che include il diritto di critica argomentata alle posizioni altrui, e la manifestazione verbale o scritta ingiusta in quanto lesiva della dignità e dell’onorabilità degli individui, tutelando così la libertà religiosa senza indebolire la protezione contro i veri discorsi d’odio.

Se la vicenda MiL non verrà interpretata per ciò che realmente rappresenta — un test critico sulla sovranità digitale e sulla tutela della libertà religiosa — il rischio non sarà solo la censura di singoli contenuti, ma l’instaurazione di un precedente pericoloso, in cui gli algoritmi anonimi diventano gli arbitri incontrastati dei diritti fondamentali in Europa.

Gaetano Masciullo